Night Stories apre la rassegna Körper al Teatro Nuovo di Napoli 

Nov 4, 2024

A cura di Sara Raia

Nel cuore di Napoli, la rassegna Körper al Nuovo si è aperta con la MM Contemporay Dance Company che ha presentato Short Stories di Michele Merola e a Skrik di Adriano Bolognino. 

Michele Merola mette in scena musica e danza, facendo dialogare sapientemente strumento, voce e movimento. Natalia Abbascia dà origine alla performance intonando Era de maggio di R. Murolo, accompagnandosi delicatamente con il proprio violino. Da questo momento in poi, mentre le luci sono ancora basse, brevi storie prendono forma. Un corpo inizia a narrare con la danza, raggiunto da altre cinque figure ci si avvia a un racconto che da personale diviene collettivo. Corpi tecnicamente forti, armonici, fluidi. I performer indossano abiti neri: pantaloni, calzini e camicie. Si cercano: è attraverso l’insieme che si entra nel vivo della narrazione. Vi sono molti momenti di contact, ciascun danzatore accompagna l’altro verso legazioni dinamiche. I piedi tesi sviluppano rond de jambes e orientano i movimenti tramite up and over, generando vortici ininterrotti. Non mancano prese, fuori asse, gran battements, cambi di peso e cambré. La struttura coreografica muta ininterrottamente, alternando momenti d’insieme con dei solo, senza mai bipartire la scena: la violinista e la compagnia lavorano in sinergia, si scambiano sguardi e si ascoltano reciprocamente. Per un momento la cornice è abitata solo dalle donne e la cantante arriva ad un mutamento di codice: le corde del violino lasciano spazio al femminile e la voce cambia lingua, canta in inglese. Dalle quinte fuoriesce solamente un braccio e quella tensione porta l’intero corpo del danzatore a prendere il centro, a diramare la propria potenza sulla scena, aprendosi silenziosamente all’ascolto dell’altro. Tre corpi in diagonale tramutano in danza il pizzicato del violino. Quando il gruppo si riforma, è teso tra balance e unbalance, piccole e sempre più grandi circonduzioni. Una ricerca di equilibrio porta alla caduta e rende visibile che anche – e soprattutto – in disequilibrio si resta in piedi. Con Short Stories, la MM Contemporary Dance Company travalica i confini mediali e i performer, nell’intrecciarsi l’uno con l’altra in una spirale in continua evoluzione, terminano la propria esibizione. 

Night Stories
Skirk – Adriano Bolognino © Riccardo Panozzo

Quando il sipario si chiude, qualche minuto d’attesa prepara il pubblico all’ascolto di un suono stridente, lungo, fastidioso. Sulla scena tre danzatori si tengono per mano, ognuno è di spalle e la figura al centro si allontana lentamente. Le mani cercano di resistere al distacco ma poi, quasi come se si annullassero i minuti precedenti, il tempo squarcia repentinamente la fatica e il trio si scioglie. La coreografia di Adriano Bolognino attinge al celebre quadro di E. Munch. In norvegese, la parola skrik termina con la consonante occlusiva /k/ che suggerisce una brusca frenata. La medesima che avverte lo spettatore osservando già solo la prima sequenza coreografica. In italiano, il titolo dell’opera si è tradotto con “urlo”, per adattare il suono che produce la stessa sensazione della lingua di partenza, grazie ad aspetti fonosimbolici: il susseguirsi dell’articolazione delle due vocali posteriori /u/ e /o/ può essere ricondotta all’espressione del volto, emblema dell’opera dell’artista. La trasposizione del medium artistico conduce il coreografo a scavare a fondo. Rispetto al dialogo che le arti intessono tra loro, si pensa all’antico motto oraziano di ut pictura poesis e si riflette su questo particolare lavoro coreografico secondo cui è il tema del quadro ad assumere movimento, forma, dinamismo. Il topos lavorativo di Bolognino risiede in questa ricerca incessante di un disegno preciso che bruscamente tagli l’aria. 

I dieci danzatori sfidano il loro stesso corpo, mostrando fino a che punto la ripetizione può susseguirsi, in maniera netta, a livelli d’intensità costanti o sempre maggiori. La scena si colora di rosso, riprendendo le tinte calde del Munch e si articola secondo un penetrante turbine emotivo. In un particolare momento, Bolognino sceglie di lasciare due soli danzatori, un uomo e una donna, in fondo alla scena, quasi nascosti dal resto dei performer che continuano a muoversi energicamente. Si genera un chaos calmo e apparente, per cui l’occhio dello spettatore è chiamato a scegliere. Si può osservare il contorno o focalizzarsi su quelle due uniche figure, quasi immobili, che intensamente si guardano negli occhi. La mente riporta a quelle due stesse figure che nell’opera di Munch sono forse secondarie ma che se vengono osservate, parlano quanto la figura in primo piano. Il coreografo gioca su ciò che il pubblico può interpretare in maniera del tutto personale: non suggerisce letture ma apre molteplici orizzonti di pensiero. Sono frequenti i momenti in cui i danzatori si spostano con veloci pas de bouré suivi alla maniera classica, gravando sulla resistenza muscolare, sottolineando i propri respiri fìno a quando la tensione fuoriesce dalla scatola scenica e ognuno tende la mano al pubblico. Skrik vuole inglobare le sensazioni dentro cui spesso ci si chiude, dando forma al guazzabuglio che può celarsi dietro l’apparenza. Seguendo una direzione singolare, Bolognino permette la soggettiva immedesimazione attraverso l’atmosfera musicale e l’alternanza di assoli, duetti e ensemble. La MMCDC ben sa orientarsi in questo stile e dà prova di un ottimo lavoro corale e corporale. L’urlo non è effettivamente mai pronunciato, eppure viene a manifestarsi tramite la compagnia che rompe con lo sguardo la distanza con il pubblico, manifestando la disperazione dell’anima, generando dilatati istanti d’alta carica emotiva. Il grido in un momento è lentamente accennato tramite l’espressione facciale dei danzatori ma si rende esplicito, e costante, nell’insieme dell’intera performance: scatti, respiri, ripetizioni. Fervide vene emergono grazie alla tensione muscolare, insieme a energiche braccia, gambe, mani e piedi, scattanti movimenti di testa, lievi e morbide pause, brevi, che rilassano la pulsione a cui si tende dal principio. Mentre l’ensemble si orienta nello spazio un corpo resta immobile, accovacciato a terra di spalle al pubblico. Una figura continua la sua danza en face e l’esibizione si conclude con i performer che seguono la propria traiettoria in stasi, osservando altrove nel momento in cui un corpo non riesce ad arrestare la propria energia e continua a battere i moti dell’animo che risuonano sulla scena.Michele Merola e Adriano Bolognino utilizzano linguaggi differenti eppure i due lavori ben si intrecciano tra loro, mostrando l’armonia da una parte e la tragedia dall’altra, legati dal medesimo intento di mostrare la bellezza: tangibile o nascosta.

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