L’umanità in bilico tra ombra e buio, incontro con Alberto Fumagalli e Ludovica D’Auria de Les Moustaches

Gen 18, 2022

Recita un vecchio proverbio che «quando il sole è al tramonto le ombre dei nani si allungano». L’autore è ignoto, ma il significato di questo adagio è evidente. Nel momento del declino, quando le qualità morali vengono meno, iniziano contemporaneamente ad imporsi i mediocri, elevandosi a grandi uomini o grandi donne. Non sarebbe e non è corretto individuare i “nani” come gli unici responsabili di questo “crepuscolo” che è la metafora della decadenza. Ognuno di noi, senza ombra (termine quanto mai appropriato) di dubbio può diventare il responsabile più o meno diretto di tale processo. A volte per debolezza o per indifferenza, ma anche per vigliaccheria o per opportunismo. E in generale tutte le volte che non si contrastano le cattive abitudini o la corruzione, si diviene inevitabilmente complici di un inesorabile disfacimento, come il lento prosciugarsi di un lago.  

«Io detesto i laghi – esordisce così Alberto Fumagalli, autore, attore e regista della compagnia Les Moustaches – luogo domenicale di coppie destinate allo spegnersi della fiamma dell’amore». In questa affermazione “fuori onda” è contenuto il senso dell’incontro con Fumagalli e Ludovica D’Auria. L’occasione è stata quella di parlare della loro ultima produzione teatrale, L’ombra lunga del nano, ma anche di fiabe, di amore e altre oscenità. In senso più o meno figurato.

«Tutto ha avuto origine con quella che è stata come una grande storia d’amore – dichiara Ludovica D’Auria. Da subito, da quando ho letto il testo, la prima stesura che Alberto aveva realizzato, mi sono innamorata del personaggio di Neve. Lei mi piace tantissimo perché è dolce, ha delle caratteristiche di debolezza e di fragilità. Nello stesso tempo è una donna molto frustrata. In alcuni momenti è capace di rivelare tutta la sua ferocia estrema e il suo incredibile cinismo, cose che me la fanno amare. 

Mi piace molto il doppio aspetto che ha e che la rende tridimensionale. E soprattutto è estremamente divertente da interpretare. Entrambi i personaggi modificano il loro status, le loro vite a secondo della presenza o meno dell’altro. Per la crescita dello spettacolo è stato fondamentale il percorso e la relazione che si è creata tra personaggi e attori. Io e Claudio Gaetani siamo riusciti ad avere fiducia reciproca e questo ci ha permesso di stare sul palco insieme».

Olo e Neve sono marito e moglie. La loro vita coniugale è peggiorata e sono crollate, una ad una, le aspettative sul loro rapporto di coppia. Lui è un operaio geloso, affetto da nanismo. Lei è una donna depressa e una moglie insoddisfatta, tormentata dal tempo che passa. I due personaggi si realizzano nel colpevolizzarsi a vicenda sui loro fallimenti, anche se rimane inalterato il loro legame di appartenenza e di dipendenza reciproca.

Alberto Fumagalli precisa che: «L’ombra lunga del nano nasce da un regalo di Ludovica, un bellissimo libro che ora appartiene alla mia collezione personale: Le fiabe del focolare dei fratelli Grimm. All’interno di questa raccolta c’è, ovviamente, Biancaneve, insieme a tanti altri racconti con i quali mi sono già scontrato nel corso del tempo. Ho riflettuto molto sulla figura di Biancaneve e su come è stata tramandata e raccontata in chiave Disney; rappresenta l’esempio di una non emancipazione femminile. Una relazione sociale alla cui base c’è uno scambio tra cucinare, pulire e rattoppare i vestiti, da un lato, e, dall’altro, ricevere in cambio un tetto e un posto caldo dove abitare e dormire. Da questo passaggio, da questa lettura sul presente che contiene il maschilismo e la condizione della donna, abbiamo voluto alzare il tiro attraverso il filtro e il tema del fiabesco, portando la narrazione verso qualcosa di più».

Una fiaba (moderna), non una favola, sottolinea Alberto Fumagalli: «Dove riecheggia un’assenza, una non necessità di morale, e dove c’è l’elemento fondamentale che è quello del magico, del surreale che attraverso il meccanismo teatrale porta la lettura della quotidianità, superandola. L’ombra lunga del nano avrebbe potuto svilupparsi come il rapporto tra un marito e una moglie che non si amano più, raccontato con una forma dialogica che è lo specchio della realtà. Tutto ciò non avrebbe suscitato in me alcun interesse. 

Il passaggio a teatro, secondo la mia opinione, consiste nel riuscire ad aumentare il filtro del fiabesco e a potenziare la condizione della realtà. Ci sono alcuni elementi della fiaba che mi appassionano e che sono quella condizione radicale dell’essere profetici, estremamente semplici e comprensibili ma al tempo stesso violenti. La fiaba è molto elementare, ma è piena di violenza e, dunque, di vita, di verità, pur essendo non vera».

Fumagalli ricorda Raymond Carver con il suo libro Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, individuando le “Tre A” (aria, acqua e amore) come un trittico vitale. «Spero e credo che ci sia l’amore in tutto quello che faccio, che facciamo. Anche al di fuori dell’attività teatrale. C’è una frase biblica di San Giovanni Della Croce  che è diventata l’epitaffio della tomba di mio nonno. “ Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”. Ciò che conta è avere amato. Lui che è stato un uomo molto silenzioso mi ha fatto conoscere questa parola essenziale, amore, e questa citazione che condivido parecchio». 

L’ombra lunga del nano
Les Moustaches

Ph Francesco Bondi

Ci sono due livelli di diversità che vengono utilizzati nella drammaturgia de L’ombra lunga del nano. Il primo è una condizione dell’aspetto fisico, un elemento di partenza che viene superato nell’evolversi del plot e dello spettacolo. «La diversità si supera nel momento in cui si vanno ad utilizzare ed esaminare gli aspetti umani – afferma Alberto Fumagalli. Ci si può affezionare a Olo e al tempo stesso detestarlo, senza pietismo, credo che questo accada anche con Ciccio Speranza (il protagonista de La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza, ndr). 

Partire dalla diversità per superarla, per dimenticarla, credo che sia la cosa più bella che possa esistere. Raccontare la storia di un essere umano che ha un corpo diverso significa raccontare esclusivamente il bello e il brutto di un essere umano. Io credo che sia questa la caratteristica molto forte e potente della nostra compagnia, Les Moustaches e lo abbiamo voluto raccontare durante il nostro percorso».

Il secondo livello è quello rappresentato dall’ombra, intesa come «Una proiezione sia buona, ma, in particolar modo cattiva di quello che siamo – prosegue Fumagalli. È un altro “io”, un altro “noi”. Ciò che proiettiamo, come se fuoriuscisse dalla nostra interiorità senza che possiamo averne il pieno controllo, senza che possiamo vederla. L’ombra di Peter Pan è quasi una forma di coscienza. Scappa da lui e si ribella alla sua anima già ribelle. Al tempo stesso la possibilità che da un nano, confinato nella sua piccolezza da un punto di vista fisico, si riesca a proiettare qualcosa di gigantesco, il suo opposto, questa cosa mi ha molto affascinato, mi ha spinto a ordinare la creazione fino a farlo diventare un racconto, una fiaba».

Olo non è l’unico a proiettare la sua ombra, in un certo senso anche Neve ne possiede una, la sua antagonista invisibile: Mariapia Bonaiuti, «La donna idealizzata, tutto quello che avrebbe voluto diventare e non è diventata – dichiara Ludovica D’Auria. La Bonaiuti è il simbolo di tutte le sue frustrazioni. Noi ci confrontiamo spesso con la vita e i successi degli altri, al punto che ho notato che il pubblico è come se si riconoscesse in questi meccanismi, in una forma di invidia collettiva. C’è una battuta alla quale sono molto legata. Olo prima di uscire di casa dice a Neve che è fortunata e la donna rivolge una considerazione a sé stessa. “Fortunata? Fortunata di cosa? Vorrei proprio sapere chi ha il coraggio di dire che sono fortunata. Sarà Maria Pia Bonaiuti dell’ottavo piano a dire queste cazzate, quella zozzona che ancora piange raccontando del marito morto in guerra, che nel palazzo la chiamano la moglie dell’eroe. È saltato su una mina! Allora adesso non è che tutta la gente distratta può diventare un eroe”. Per me questa battuta è stupenda perché solo una donna frustrata può tirare fuori tanta cattiveria ».

Olo, tuttavia, scopre che mediante la sua ombra può diventare un gigante e utilizza questa scoperta in modo scorretto. Neve si innamora della proiezione di suo marito, senza sapere a chi appartiene quella figura enorme. Arriva a tradirlo con l’immaginazione e in quel tradimento, in quella scena di sesso solitario riecheggia il crepuscolo, il declino. In quel momento di tristezza e di opacità affiora la sensazione di un contatto fisico con il buio che presto divorerà l’ultimo quantum di luce. Lo sguardo cercherà di memorizzare freneticamente, per l’ultima volta, l’ombra visibile di Olo e quella invisibile di Neve. Si allungano entrambe, fino a quando verranno inghiottite dal buio. Senza pietà.

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