Da più di 10 anni il collettivo che anima la direzione artistica di Strabismi, interviene in maniera sostanziale sull’offerta culturale umbra.
Diverse sono le attività condotte da Strabismi, associazione nota per la realizzazione di spettacoli e per l’organizzazione di un festival multidisciplinare che nel corso del tempo ha fatto emergere e sostenuto il percorso di talenti oggi affermati sulle scene nazionali.
Questo processo di cura, però, si estende ben oltre il periodo festivaliero e caratterizza tutte le iniziative proposte, segno di una sensibilità artistica che intercetta nella proposta culturale uno strumento fondamentale per lo sviluppo della comunità e del territorio di riferimento.
Rafforzare il senso civico e lo spirito critico delle giovani generazioni e creare concrete opportunità per percorsi artistici in fieri sono le matrici del nuovo corso inaugurato da Strabismi: da un lato il ritorno del Festival che inaugurerà a Perugia la sua XI edizione con una conformazione del tutto rivoluzionata, dall’altro un progetto di scoperta delle arti performative rivolto a studentesse e studenti delle scuole medie.
Ne abbiamo parlato con Alessandro Sesti, regista, performer, direttore artistico di Strabismi.
Perché avete scelto di connotare il vostro lavoro con una simile visione curatoriale, cosa significa assumersi la responsabilità di un simile intervento?
Quando abbiamo dato vita a Strabismi nel 2015 eravamo molto giovani, per il panorama teatrale italiano direi dei bambini, ma nonostante ciò avevamo percepito un vuoto nella nostra regione per ciò che riguardava cura, sostegno e programmazione di giovani artisti.
La nostra intenzione iniziale fu di riempire quel vuoto creando un contenitore per ospitare e dare l’occasione di mostrare il proprio percorso artistico a tutti gli artisti emergenti che faticavano a trovare un’occasione quando muovono i primi passi. Pertanto tutte le nostre iniziative, da lì in avanti, hanno avuto tale unico vettore.
Ci siamo resi conto, edizione dopo edizione, che limitare il concetto di “emergente” al confine anagrafico dei 35 anni fosse un errore in quanto il percorso artistico non è sempre direttamente proporzionale all’età. Allo stesso modo ci siamo a lungo interrogati su cosa dovesse essere Strabismi in termini di ricaduta sociale sul territorio dove operavamo.
Dopo i primi anni un po’ nomadi, finalmente abbiamo trovato casa in un piccolo paese umbro e lì abbiamo potuto esprimere al meglio ciò in cui credevamo: abbiamo dato vita a progetti di Direzione artistica Partecipata, progetti scolastici come StraBimbi, abbiamo creato un focus sui “giovani maestri” ovvero su quegli artisti che nonostante la giovane età hanno già un percorso artistico ben definito e soprattutto abbiamo potenziato il sostegno ai giovani artisti attraverso residenze autosostenute – Strabismi non ha mai fatto parte delle residenze artistiche nazionali – e collaborazioni con molte realtà artistiche del territorio nazionale.
Una delle parole chiave che associo a Strabismi è continuità, proprio perché credo sia la grande assente per la nostra generazione. Siamo cresciuti e continuiamo ad invecchiare coscienti che “oggi sei utile, ma domani ci occorre qualcosa di più nuovo del nuovo”. Ogni anno assistiamo ad una proliferazione di bandi che cercano opere nuove, lavori inediti, concorsi che chiedono esclusive, insomma un meccanismo fagocitante dove a farne le spese è l’artista che probabilmente è stato confuso per una macchina a gettoni. Come si può costruire un percorso artistico di reale ricerca se cerchiamo sempre qualcosa di nuovo? Ed ecco che nascono e muoiono i famosi progetti “da bando” dove anche l’artista è costretto a perdersi per avere occasioni.
Con Strabismi vogliamo che l’artista percepisca un senso di certezza, seppur piccolo, che lo spinga ad andare avanti sapendo che l’anno successivo presenterà ancora un suo lavoro nel nostro festival in Umbria, con un cachet adeguato e operatori partner per intercettare nuove occasioni. Anche per questo motivo abbiamo interrotto il meccanismo del bando e iniziato un processo di recupero di tutte le compagnie che avevano catturato il nostro interesse, ma che non eravamo riusciti a programmare.
Crediamo che, oggi come oggi, assumersi questa responsabilità sia necessario. Dare fiducia e occasioni a quelli che mi piace immaginare come “maestri del futuro” è però, credo, anche una vocazione: sull’under 35, da parte del Ministero abbiamo visto più e più volte delle modifiche nei piani organizzativi, ma se la mission è di sostenere i giovani vai avanti lo stesso, offrendo un servizio fondamentale per le nuove generazioni, perché sei cosciente che questo “non è un paese per giovani”.
A proposito del Festival Strabismi. Le ultime edizioni hanno segnato un cambio di passo importante. Con lo spostamento dalla storica location di Cannara, il Festival ha assunto una nuova conformazione pur mantenendo le specificità che lo connotano fin dalla sua fondazione. In occasione della prossima edizione avete costruito il festival intorno a una serie di nuclei tematici di grande rilevanza sociale. Perché questa scelta e quali sono le aspettative riguardo all’impatto di queste iniziative sulla comunità perugina?
Le ultime due edizioni sono state di transizione, le abbiamo realizzate con l’ospitalità del Piccolo Teatro degli Instabili di Fulvia Angeletti e di Fontemaggiore, che ringraziamo. Abbiamo cercato di mantenere la nostra azione di sostegno alle giovani compagnie, ma altro non potevamo prevedere. Da quest’anno abbiamo potuto riprendere ad immaginare il futuro grazie alla collaborazione con Spazio Mai – Movement Art Is, che ci ha accolto nei propri spazi, in un progetto di residenza permanente. Spazio Mai è una realtà che da molti anni opera su Perugia e con la quale abbiamo trovato grande sintonia.
Quindi possiamo finalmente dirlo, che dopo due anni di incertezze e difficoltà, oggi Strabismi Festival rinasce nel capoluogo della Regione, Perugia.
Il motivo per cui abbiamo trasformato il festival in qualcosa di differente è relativo al territorio di riferimento, ma anche agli anni di Strabismi. Diciamo che ci eravamo dati come obiettivo quello di svecchiare il festival e di provare a immaginare qualcosa di differente in primis perché ciò che funzionava a Cannara, con ogni probabilità, non funzionerebbe a Perugia, ma soprattutto perché un festival di teatro (sia anch’esso multidisciplinare) inteso come una rassegna di eventi compressa in pochi giorni, oggi come oggi, a mio avviso è anacronistico e non in ascolto con il cambiamento che stiamo vivendo.
Ciò cui abbiamo assistito negli ultimi 15-20 anni è stato un progressivo aumento di “festival vetrina” che sono certamente utili, ma non possono essere l’unica possibilità. Sono aumentati esponenzialmente anche i concorsi e i famigerati bandi per residenze e sostegni produttivi. Ciò che abbiamo perso nel tempo è il contatto con lo spettatore, ma non inteso come cittadino che acquista un biglietto e assiste a ciò che proponiamo, ma come fruitore attivo dell’offerta culturale. Abbiamo dimenticato la necessità di intendere il teatro come un veicolo utile a ricostruire una comunità di cittadini attivi e partecipi.
Non ci sono colpe, è una constatazione dei fatti. Giriamo festival da artisti o da operatori e ci ritroviamo, ci riconosciamo fra di noi. Sono rari e preziosi gli esempi di luoghi dove questo non accade.
Perciò abbiamo cercato di creare un progetto che mantenga il sostegno alle giovani realtà, ma che richiami a sé la cittadinanza e soprattutto i giovani, di cui Perugia è grande attrattore essendo anche un’importante città universitaria.
Quindi dopo il momento dedicato agli emergenti che prende il nome di Exotropia, inizierà il festival vero e proprio che avrà una durata di circa tre mesi, con eventi lontani fra loro nel tempo. Poiché crediamo anche che, al netto delle condizioni economiche sempre più precarie nel nostro Paese, c’è anche l’aspetto della mancanza di tempo per se stessi, che le nuove generazioni percepiscono molto chiaramente. Non siamo più disposti a “sospendere” la nostra vita per rincorrere una programmazione bulimica di eventi, questo credo valga per ogni manifestazione, non solo per il teatro.
Riguardo i contenuti dell’XI° edizione di Strabismi festival, la prima a Perugia, abbiamo deciso di affrontare il tema dell’inquinamento ambientale e del cambiamento climatico, l’aumento dei casi di depressione e suicidi nei giovani adulti, la violenza di genere e la dipendenza affettiva e infine il bullismo e il bullismo omotransfobico nella dimensione scolastica.
Di volta in volta intorno a questi argomenti costruiremo delle conferenze, dei panel in cui cittadini, studenti universitari, associazioni di categoria e rappresentanti delle amministrazioni cittadine e regionali possano confrontarsi, avere un dialogo, realizzare un documento utile a portare un cambiamento concreto nella dimensione sociale. Facile? Non lo credo affatto, ma se non puntiamo a qualcosa di ambizioso, in fondo, perché lo stiamo facendo?
Per entrare nello specifico della programmazione aspettiamo ancora un po’, ma una cosa possiamo già anticiparla. A Giugno, grazie alla collaborazione con Dance Gallery, storica realtà della città di Perugia, realizzeremo una Strabismi Festival Preview dove ospiteremo lo spettacolo vincitore del Premio Cantiere Risonanze 2024.
Proprio con il Festival Strabismi avete avviato da diverso tempo un percorso di Direzione Artistica Partecipata che affida a giovani spettatori e spettatrici la selezione di alcuni degli spettacoli programmati, ma che si sostanzia soprattutto in un processo di avvicinamento alle arti performative. Avete poi esteso questa traiettoria a studenti e studentesse delle scuole di diverso grado del territorio. Qual è l’obiettivo principale della Direzione Artistica Partecipata (DAP) e come si è evoluta nel tempo, in particolare con l’inclusione degli alunni delle scuole medie nel processo di selezione e valutazione degli spettacoli?
Le DAP sono uno strumento che ormai tantissimi festival creano, curano e rendono parte integrante della propria progettualità. All’interno di Risonanze Network di cui Strabismi è partner, sono tantissime le realtà che considerano le DAP la normalità. Noi stessi l’abbiamo creata dopo aver conosciuto e visto questa pratica già attiva in altri festival come ad esempio Dominio Pubblico a Roma. Anche la DAP, purtroppo, è stata vittima del nostro addio a Cannara, poiché nel pieno di un processo di cambiamento obbligato non riesci a dedicare la giusta cura a un progetto così stratificato e complesso, ma ora siamo già a lavoro per costruire un nuovo gruppo che unisca i membri veterani con uno proveniente dal territorio perugino.
L’idea di estendere il progetto di DAP ai giovani delle scuole medie mi è venuta durante la pandemia. Allora c’era un grande affanno, tutti a trovare il modo di continuare a fare pur di non fermarsi. Ho vissuto quel periodo con particolare confusione e senso di inadeguatezza. Non mi sentivo a mio agio nel parlare di teatro attraverso un dispositivo, né tantomeno a chiamarlo con il suo nome. Quella cosa è stata un’altra cosa.
Però, e qui l’idea, ci sono stati dei giovanissimi che hanno in un certo senso “saltato” due anni scolastici ritrovandosi catapultati dalla quinta elementare, in seconda media. Questi studenti appartengono alla Glass generation o alla Z generation, sono nati nell’epoca in cui tutto è smart e a differenza nostra non hanno vissuto il passaggio dall’analogico al digitale. Non è un caso o un lapsus il fatto che spesso chiamino “film” uno spettacolo visto attraverso uno schermo.
Da questi pensieri e ragionamenti ho strutturato un progetto di “Educazione alla visione”, che trasforma le alunne e gli alunni delle classi seconde nelle direttrici e nei direttori artistici della rassegna che sarà realizzata nella loro città.
Il meccanismo è semplice: i giovani vedono una serie di spettacoli, di volta in volta, dopo la visione, si crea un dibattito in merito alla tematica, agli aspetti più tecnici e logistici legati all’ospitalità di quel progetto. Al termine sono chiamati a selezionarne uno o più, a seconda delle disponibilità di Strabismi, e qui entriamo in gioco noi garantendo loro un rischio di impresa “protetto”. Loro scelgono come fossero dei direttori, ma è Strabismi a investire nelle loro scelte e offrire alla città quegli spettacoli, in replica mattutina per le studentesse e gli studenti e in replica serale per la cittadinanza.
Qual è il ruolo curatoriale degli studenti nella scelta degli spettacoli da portare in scena, e in che modo questa partecipazione attiva contribuisce a rafforzare il loro senso di appartenenza alla comunità?
Credo che un simile processo crei un senso di responsabilità importante nei giovani e che soprattutto li porti a scoprire i meccanismi con cui si organizza una stagione teatrale o un festival, a dare meno cose per scontate e anche se il mondo gli ricorda ogni giorno che devono correre ed essere al passo con la “società dello spettacolo” possono anche fermarsi e confrontarsi per trovare “il meglio” da offrire alla propria città, ma in tempistiche lente e dilatate. Gli spettacoli selezionati infatti vengono poi portati dal vivo nel successivo anno scolastico, per necessità logistiche, ma anche per contrapporre il teatro alla pessima abitudine del tutto e subito.
Quest’anno stiamo già operando su Norcia, presso l’istituto De Gasperi – Battaglia (con il quale stiamo curando anche un progetto di teatro, legalità e musica, ma ne parlerò più in là) e stiamo sottoponendo loro spettacoli legati ai temi d’attualità più critici, notando, di anno in anno, quanto i giovani siano molto più consapevoli e inclusivi rispetto le generazioni precedenti.

Ornella Rosato è giornalista, autrice e progettista. Direttrice editoriale della testata giornalistica Theatron 2.0. Conduce corsi formativi di giornalismo culturale presso università, accademie, istituti scolastici e festival. Si occupa dell’ideazione e realizzazione di progetti volti alla promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.