Lettera cividalese da Mittelfest, scritta da una giornalista ungherese

Ago 16, 2022

Ospitiamo questo articolo a firma della giornalista ungherese Alexandra Kozár dedicato alla 32° edizione di Mittelfest

Quando Giorgio Pressburger, scrittore italo-ungherese, figura emblematica della Mitteleuropa ha parlato e scritto ripetutamente del mito di Cividale del Friuli, gli credevamo sempre. Gli credevamo, perché chi se non lui, grande conoscitore di Cividale e della sua zona limitrofa, nonché fondatore del festival culturale internazionale “Mittelfest” (attivo da tre decenni), potrebbe testimoniare meglio il suo segreto e la sua incomparabile bellezza.

Tre decenni sono tanti, una generazione, nascite e morti, cambiamenti politici, culturali, geografici e sociali che vengono rappresentati, mostrati, improntati attraverso anche le tendenze artistiche del festival, la vita dei teatri e delle loro compagnie e artisti in continuo movimento.
Ma credere a qualcuno è sempre più difficile dell’ancorarsi alle nostre proprie convinzioni, all’esperienze personali, ai nostri propri passi, ai nostri percorsi individuali.

Quando sono arrivata a Cividale del Friuli dall’Ungheria, mi sono convinta della verità profonda delle parole del mio connazionale. Mittelfest è un festival che vale la pena di conoscere da vicino non solo per la singolarità meravigliosa del posto e l’ospitalità della gente della Regione, ma anche per l’ampia diversità del suo programma artistico. Giorgio Pressburger è morto cinque anni fa e noi ungheresi purtroppo ancora non possiamo vantarci di un festival internazionale simile, dove teatro, danza e musica siano presenti in modo simultaneo.

Avendo visto una decina di spettacoli, e avendo visitato e ammirato i luoghi e le bellezze della città, posso dire che Pressburger ha fatto bene a scegliere proprio questo centro longobardo, col suo labirintico borgo storico, col fiume Natisone, con la presenza ancora viva di mestieri artigianali e con la sua vivace produzione vinicola. Così, il più noto festival culturale internazionale nella zona, attrae, invita, e rappresenta a ragione l’esistenza mitica mitteleuropea, l’essere italiano, sloveno, austro-ungherese, sempre in transizione, in cambiamento, in movimento. Dove 31 anni dopo la sua fondazione, lo slogan iniziale “Incontro delle culture contemporaneamente somiglianti e diverse” è sempre valido, e dove per oggi le frontiere fra i generi teatrali diversi sono infatti dissolte.

Subito lo spettacolo d’apertura, La singolarità di Schwarzschild mostra, quanto è profondamente internazionale tutto il festival. Lo scrittore Benjamin Labatut, è di origine olandese: è nato a Rotterdam, ora vive a Santiago in Argentina. Il regista Giacomo Pedini, direttore artistico del Mittelfest è italiano, lo scenografo Csaba Antal è ungherese, con il suo lavoro attivamente presente in vari Paesi dell’Europa. Il soggetto stesso parla del fisico tedesco-ebreo, contemporaneo di Albert Einstein, Karl Schwarzschild, della sua vita e teoria rivoluzionaria sui buchi neri nell’universo. Questo scienziato tedesco durante la Grande Guerra ha mandato a Einstein lettere appassionate e molto interessanti dalle trincee orientali, ora frontiera tra Ucraina e Bielorussia in piena di guerra. Tante Nazioni, con le stesse ansie per il futuro, per l’insicurezza umana e l’ignoto.

mittelfest
Foto © 2022 Luca d’Agostino / Phocus Agency

Un altro aspetto molto notevole del Mittelfest 2022 è la ricerca continua e appassionante della missione storica e attuale del teatro, aprendo nuove strade, nuove frontiere, nuove prospettive mescolando generi, strumenti e spazi per produzioni sempre più singolari, insolite, sorprendenti e stravaganti. Perché come, se non così, definiremmo uno spettacolo (Stand-alones) che si svolge in un museo (ispirato dai quadri del pittore espressionista Egon Schiele per il Leopold Museum di Vienna), con sei danzatori che si muovono in maniera distaccata e nervosa in un angolo stretto o sbattono per terra, davanti ai dipinti locali del pittore friulano Pravoslav Kotík? Si chiama questa danza contemporanea? Produzione museale gesamtkunstwerk? O sinfonia fisica dei corpi umani che esprimono la paura universale dei tempi pandemici, dell’abuso sessuale e l’ansia da catastrofi ambientali?

Effettivamente, ci si pone la domanda: bisogna sempre stabilire categorie, costruire scatole virtuali, definire tutto? La risposta è definitivamente no. Quante più strade, interpretazioni e tentativi, forme artistiche ci sono, meglio è.

Anche se a prima vista un genere, una forma sembra non solo nuova, ma forse un po’ troppo. Come, per esempio, in una declinazione del festival allo stesso tempo artistico ed urbano, la poetica passeggiata cividalese chiamata Déja walk, che parte dalla piazza del Duomo ed evoca l’esperienza delle passeggiate urbane già conosciute, però qui, in un percorso parallelo registrato su video, una donna misteriosa in abito nero ci mostra la strada; noi la seguiamo, mentre con l’aiuto delle cuffie e un tablet ascoltiamo la storia delle case, degli edifici, dei quartieri nascosti, dei punti speciali della città ascoltando la voce di giovani, con le loro ansie e aspettative del futuro. Il passeggiatore ha la possibilità di confrontare quello che vede con i suoi propri occhi e quello che è stato ripreso, in una stagione diversa, con elementi ambientali diversi. Una passeggiata sfiancante, ma alla fine siamo molto grati per aver raggiunto dei posti che senza questo spettacolo non avremmo raggiunto mai. La video passeggiata è corredata da poesie e canzoni friulane, dando una bella impronta letteraria e artistica della zona. Un racconto poetico di Cividale in un cammino che attraversa il tempo e gioca col confine tra realtà e finzione.

O una altra produzione di danza contemporanea dalla città di Ginevra (One, one, one) che si costruisce e si basa sul contatto con gli spettatori. Questa si svolge in abiti quotidiani, senza palcoscenico sotto una semplice tenda, in mezzo ad un prato, in pieno giorno con 38 gradi. Le due giovani ballerine franco-svizzere non chiamano questo uno spettacolo, ma piuttosto un modo di comunicarsi, di connettersi a noi attraverso lo sguardo, l’attenzione continua, la curiosità tra artista e pubblico. Non danza, piuttosto movimenti con effetti vocali e soprattutto col contatto continuo con il pubblico.

O la produzione KuKu di Anatoli Akerman, uno dei più importanti clown al mondo, concepita soprattutto per bambini ma che riscalda il cuore a tutti. Qui, due artisti, due buffoni gentili ci presentano microscene con microeventi senza una parola ma con tanta invenzione e creatività, che si tratti del funzionamento misterioso di un orologio meccanico o di una festa che ci si regala fra amici. La produzione è una festa dell’invenzione teatrale e circense, con charme incredibile.

Lo spettacolo più provocatorio, Il progetto Handke (or justice for Peter’s stupidities) è un teatro agit prop che si pone la domanda: dove sono le frontiere del politically correct nell’arte? La produzione attacca il parere del premio Nobel austriaco Peter Handke sulla guerra serbo-croata, e in particolare la sua posizione sulle stragi di Srebrenica, come anche la decisione e la politica del comitato Nobel dall’Accademia Svedese. Gli attori dichiarano durante lo spettacolo che partecipando a questa produzione non lavoreranno più in Serbia, e alla fine della serata urlano le parole “fuck you Handke, fuck you Swedish Academy, fuck you Salvini”, in una Regione dove il leader fa parte della Lega, partito di Salvini. Cos’ è questo se non coraggio?

Foto © 2022 Luca A. d’Agostino / Phocus Agency

Tutto questo ci induce a ripensare ai nostri concetti del teatro, spingendoci a pensare senza definizioni e concezioni precise, muovendoci dal nostro punto di partenza, costringendoci ad essere sempre più aperti, più ricettivi e autoriflessivi, e prova che un vero festival richiede non solo produzioni sorprendenti, ma anche un pubblico pronto per essere sorpreso, sempre affamato di un cibo sia per la mente che per l’anima.

Biografia dell’autrice

Alexandra Kozár nasce a Budapest nel 1974. Si laurea a Parigi all’Università di Paris VIII e a Budapest all’ELTE, Università degli studi Eötvös Lóránd in Lettere moderne, linguistica e letteratura francese e ungherese.
Incomincia la sua carriera nel 2001 nel Magyar Hírlap, l’ultimo quotidiano liberale e indipendente d’Ungheria, come giornalista culturale e lavora come tale da 21 anni per varie riviste artistiche, teatrali e quotidiani. Attualmente pubblica i suoi articoli su Index, primo quotidiano online del paese.
Negli anni Duemila per cinque anni è caporedattrice del supplemento culturale del quotidiano Népszava, creando uno spazio intellettuale importante con pubblicazioni letterarie, filosofiche, sociologiche e artistiche.
Ha lavorato per Radio France e altre radio francesi e collabora spesso come reporter per varie televisioni italiane.
Scrive anche racconti, pubblicati in un’antologia letteraria e nelle riviste più prestigiose del Paese.

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