Fondata a Parma nel 2015 da Maria Federica Maestri, compositrice teatrale e artista visiva e dal dramaturg e artista visivo Francesco Pititto, Fondazione Lenz emerge nel panorama della produzione e creazione teatrale contemporanea come una realtà tra le più poliedriche e complesse, in grado di unire le performance multidisciplinari al pensiero ecologico e filosofico, ma soprattutto di ripensare l’arte visuale in una fitta rete di relazioni ontologiche con il mondo della natura, della cultura e della psiche.
Riparazione e rigenerazione sono due concetti chiave con i quali il lavoro di Lenz, affiancandosi a quello delle associazioni ambientaliste, sta portando avanti la teatro-azione tesa a re-immaginarsi la natura antecedente al disumano processo di urbanizzazione degli ultimi secoli. A dare vita ad un’ecologia profonda che investa il pensiero stesso e la percezione di sé come parte di un tutto, di una molteplicità da cui l’essere umano è inseparabile e di cui non ha più memoria, a causa della sua visione antropocentrica.
Riflessioni che riprendono il pensiero poetico-filosofico di Friedrich Hölderlin e di Jakob Lenz per quanto riguarda il rapporto tra uomo e natura, ma anche dello psicanalista di stampo junghiano James Hillman, scomparso nel 2011, tra i teorici della visione immaginale.
Di seguito l’intervista a Maestri e Pititto, a pochi giorni dalle Apocalissi Gnostiche, in scena dal 25 al 31 ottobre scorsi a Parma, negli spazi di Lenz Teatro e dopo la presentazione, nel marzo scorso, del progetto Haiku – Dove prima era Aria, poi riproposto a settembre, nell’ambito di Insolito Festival.
Partiamo dal vostro progetto Haiku- Dove prima era Aria che è parte di un progetto pluriennale. Come è nato e che cosa rappresenta in questo preciso momento per la vostra ricerca artistica?
Il pensiero performativo di Haiku_Dove prima era Bosco|Acqua| Aria|Roccia interpreta artisticamente i presupposti politico-culturali delle associazioni ambientaliste per potenziare le azioni pratiche di ripristino della natura su larga scala. Il progetto tende a re-immaginare la natura scomparsa nelle città e a restaurare la memoria dell’ambiente perduto, attraverso la potenza di versi brevi secondo la formula giapponese dell’haiku dedicati alla sacralità dell’esistenza nel ri-vivente animale e vegetale.
Come dice Danilo Selvaggi, Direttore generale Lipu – Bird Life Italia e Coordinatore Policy, Ecologia della cultura: “Abbiamo bisogno di due grandi opere di rigenerazione: quella della natura, che è stata progressivamente impoverita dall’avanzare dell’urbanizzazione, e quella della cultura, che deve riscrivere il proprio alfabeto ecologico con nuove consapevolezze scientifiche e morali. Anche per questo il contributo di Lenz è prezioso: ci aiuta a guardare la realtà con occhi diversi, sorpresi, non abitudinari, il che in molti sensi è già un esercizio ecologico”.
“La poesia in atto agisce secondo il principio della riparazione: il danno che l’uomo ha provocato nella natura non si limita infatti alla distruzione effettiva dell’ambiente, ma intacca la capacità stessa di saperci/sentirci nel tutto, parte di una cosmogonia plurale: esseri nel molteplice. Quindi la rigenerazione dovrà essere duplice: riparare la perdita e ricostruire ciò che abbiamo perduto ‘fuori’ e ‘dentro’.”
Installazione, performance, arte visuale, drammaturgia, pensiero ecologico e filosofico: in che modo si sviluppa la vostra ricerca in cui co-esistono e si incrociano molteplici prospettive? Qual è il punto di partenza e quale il momento in cui avete consapevolezza di aver raggiunto una sintesi tra tutti questi differenti sguardi?
In una convergenza estetica tra fedeltà esegetica alla parola del testo, radicalità visiva della creazione filmica, originalità ed estremismo concettuale dell’installazione artistica, le opere di Lenz riscrivono in segni visionari tensioni filosofiche e inquietudini estetiche del presente. Illuminati fin dagli inizi del nostro percorso artistico dal pensiero poetico-filosofico di Friedrich Hölderlin e di Jakob Lenz abbiamo sempre sentito che non possiamo prescindere dall’unità tra uomo e natura, una fusione profonda con la radice da cui veniamo, liquida, magmatica, ibrida, ctonia. Ce ne siamo allontanati ed è per questo che stiamo morendo, che siamo irreparabilmente malati. Ma aspettando la fine “continuiamo a gridare fino all’esaurimento impossibile dell’eternità immensa”.
Il concetto di imagoturgia e il modo in cui si inserisce nella vostra pratica drammaturgica e performativa.
Dagli inizi del Duemila la ricerca plastica e visuale diventa centrale nel nostro processo creativo: la partitura attoriale si incunea tra la scrittura per immagini e la re-invenzione materica dello spazio, che eccede i limiti funzionali dell’impianto scenografico per farsi opera artistica non subordinata all’azione performativa. Dagli anni Dieci il lavoro è caratterizzato da una più ampia e articolata azione installativa che ci porta a creare, in stretto dialogo con le imagoturgie di Francesco Pititto e il disegno sonoro di diversi musicisti della scena elettronica internazionale ambienti performativi e visuali site-specific in importanti complessi architettonici e monumentali.
Rimangono sempre sopra ogni cosa, ogni atto, ogni fatto sempre le stesse domande: perché fare, perché per-formare, perché teatr-agire, a quale fine, superato ogni intento comico-tragico delle più svariate forme della finzione, ricercare infine quel che dovrebbe essere sinceramente la verità vera; il mondo come io lo vivo e vedo? Serve un corpo altrui per svelarmi il mio interno? il mio esterno mondo? Anche se io sono cieco io vedo di dentro, immagino e creo il mio mondo fuori. Movimento empatico non verso l’altro ma con l’altro. Sono immagini quelle che vediamo, ogni istante immagini che si fanno toccare, intoccabili e irreali, ma anche al tocco una pietra è sempre, prima, una pietra-immagine.
Tra l’Io e il mondo il dialogo è per immagini, e anche oltre, nell’inconscio di un sogno, nel delirio di una patologia, di un rito sciamanico, di un haiku 7+5+7 sillabe poi immagini, la Natura e il pensiero. Ma immaginare per dare uno scopo al fare forse non è abbastanza, fare altre immagini-pensiero, immagine_emozione, riflessi e rifrazioni, immaginazione al potere per il tempo del per-formare. Ma non è sufficiente, forse creare realtà dal fare immagine, ma quale immagine? Immaginarsi l’utopia, una realtà che verrà mai? Divisa dal nostro tempo interiore che la desidera adesso e non domani?
L’immaginazione non è soltanto pensiero ma il luogo dove abitano insieme la realtà esterna, concreta e tangibile, e la realtà interna, invisibile e intangibile. L’immaginazione è il tramite tra le due, comunicano tra loro. E comunicare forse non basta, serve il fare nel suo habitat. Un luogo originario, quello del cuore e del pensiero insieme. Dove si fa l’anima.
“Nelle tradizioni sapienziali e spirituali antiche l’anima selvaggia, l’io istintuale, si esprime nell’immaginale o “liminale” la zona tra inconscio e conscio dove immaginazione e realtà operano congiuntamente. In questo “luogo”, che è un non luogo, troviamo i simboli e gli archetipi, che sono le forme dell’esperienza umana…Prende le sue radici dalle tradizioni spirituali, i rituali sciamanici delle tribù animiste, la mitologia greca, l’arte, la letteratura, la poesia, l’ecologia profonda. Capacità di stimolare una percezione differente degli eventi, considerando la realtà come una proiezione della propria psiche e trovando in se stessi le risorse per agire costruttivamente su questa. Quindi utilizzare un approccio immaginale significa, in primis, lavorare con le immagini.” (Rifrazioni da Mundus Imaginalis, o l’Immaginario e l’Immaginale di Henry Corbin e James Hillman).
Lavorare con le immagini dentro se stessi per cambiare lo stato di cose fuori, di ognuno e per ognuno. Nello stato di rappresentazione del Sé, nel tempo performativo, l’agente artistico può tendere a vivere una realtà ricreata in un tempo percepito che non corrisponde al tempo codificato. E, rifratta, farcela vivere. Ogni capitolo creativo di Lenz pone al centro queste questioni fondamentali per l’arte teatrale, coinvolge persone artistiche per le quali cambiare lo stato di cose diventa l’opera più compiuta, o incompiuta ma sempre permanentemente in costruzione. L’utopia è capovolta, il Potere è all’Immaginale.
Il rapporto tra spazio naturale e testo, con particolare riferimento alla poetica di Pier Luigi Bacchini e alla sua influenza nella vostra pratica drammaturgica.
In Haiku_Dove Prima Era scorrono in un flusso pulsante le liriche di Emily Dickinson, Rainer Maria Rilke, Ingeborg Bachmann, Ezra Pound, Antonia Pozzi, Friedrich Hölderlin, Patrizia Cavalli, Marina Cvetaeva, e naturalmente le poesie di Pier Luigi Bacchini, poeta parmigiano scomparso nel 2014, autore amatissimo a cui Lenz ha dedicato dal 1996 al 2015 numerose e vibranti letture sceniche curate dal dramaturg e artista visuale Francesco Pititto.
E a proposito del progetto triennale Natura dèi Teatri, teso verso l’ibridazione di materia filosofica, scientifica e artistica? Questa contaminazione ha sempre fatto parte del vostro percorso?
La drammaturgia del nostro primo lavoro del 1986 Lenz da Büchner, si apriva con una lunga citazione dal De Rerum Natura di Lucrezio, ma conteneva anche un frammento dell’Apocalisse. Quindi fin dall’inizio abbiamo sentito necessaria una duplice visione: quella della visione scientifica del mondo, dell’universo, dell’infinitamente piccolo che contiene il tutto e quella del mistero, del sacro, dell’ignoto, dell’inspiegabile, di cui si nutre l’atto artistico.
Delle vostre passate esperienze nelle Associazioni Culturali Lenz Rifrazioni e Natura Dèi Teatri cosa avete conservato e cosa avete rielaborato/trasformato o abbandonato?
Nella Fondazione si sono fuse le due anime, quella creativa e produttiva di Lenz Rifrazioni e quella dialogica di Natura Dèi Teatri, confluita nel progetto Parentele_Femminile_Animale portato avanti nello scorso triennio. Si sono stretti i legami con un’area molto interessante del panorama italiano, interpretata da artiste dallo sguardo aperto, autentiche, dalla forte identità linguistica.
Apocalissi Gnostiche chiude il progetto sulle Sacre Scritture. Come siete giunti ad interrogare i Codici di Nag Hammadi?
Dopo La Creazione (2021), Numeri (2022) e Apocalisse (2023), Apocalissi Gnostiche prosegue la nostra ricerca sulle scritture del sacro e apocalittiche, dando corpo scenico ad alcuni Codici di Nag Hammadi, un antico tesoro testuale di recente e casuale ritrovamento (Egitto, 1945), costruito con sequenze narrative oscure e lampeggianti, denso di immagini criptiche, radicali e brucianti, che indicano strade ignote per arrivare alla nuova conoscenza. La ragione della ricerca di Lenz nelle pieghe dei codici gnostici, la cui datazione risale al I e II secolo dopo Cristo, sta nel bisogno di essere narrati da una diversa apocalittica – così già processata dalla storia passata e presente – di essere ‘illuminati’ da una nuova e divergente Rivelazione.
Le Apocalissi Gnostiche annunciano con parole-immagine l’avvento di un’altra sapienza umana_non-umana, senza età, senza ordine, senza volontà, una Sophia che ci invita a percorrere la via del paradosso linguistico per tornare alla radice ed essere guidati nelle tempeste della materia del presente da una ‘femmina nata dalla femmina’.
Progetti futuri?
Un nuovo progetto pluriennale sulla violenza con un lavoro anatomico sull’Iliade, come il primo grande libro dell’Occidente che trascrive poeticamente i temi quali il conflitto, la prevaricazione, la violenza, l’empietà, affiancati in questa indagine dal pensiero di Hannah Arendt e Simone Weil. Parallelamente a questa ricerca drammaturgica e proseguendo il lavoro iniziato nel 2024 con Gina Pane, ci avventureremo, sempre nei prossimi tre anni, nella ri-trascrizione performativa delle opere di alcune artiste fondamentali per il nostro percorso estetico: Leonora Carrington, Marisa Merz di cui ricorrono nel 2026 i 100 anni dalla nascita e la grandissima Louise Bourgeois.
Insegnante di italiano come seconda lingua, formatasi all’Università per Stranieri di Siena, giornalista pubblicista iscritta all’Ordine laureata in Filosofia e Beni culturali all’Università degli Studi di Bologna, una grande passione per il teatro. Pirandello, De Filippo, Pasolini e le avanguardie del Novecento i preferiti di sempre.