Le memorie di Ivan Karamazov. Il viaggio di Dostoevskij nel teatro italiano

Nov 7, 2023

Articolo a cura di Annateresa Mirabella

De I fratelli Karamazov, ultimo capolavoro di Fëdor Dostoevskij, il teatro italiano sembra non averne mai abbastanza. Tra i lavori degli ultimi decenni ispirati al romanzo, uno ha la firma di Luca Ronconi, che nel 1998 realizza uno spettacolo in due parti, I lussuriosi e Il grande inquisitore, ciascuna della durata di quattro ore. 

Quella che Gianfranco Capitta definì la «Maratona Dostoevskij», e che ottenne il plauso e la reticenza della critica, era nell’intenzione del regista un tentativo di «Estendere la teatralità del romanzo». Al 2019 risale invece l’adattamento della compagnia Mauri-Sturno, diretto da Matteo Tarasco

Nel 1953, Glauco Mauri aveva vestito i panni di Smerdjakov diretto da André Barsacq, per poi calarsi, più di sessant’anni dopo, nella parte di Fëdor Pavlovic.

Il richiamo dell’autore russo, anche a distanza di tempo, sembra irresistibile: così anche per Umberto Orsini, che è tornato quest’anno nei teatri con Le memorie di Ivan Karamazov, una produzione della Compagnia Umberto Orsini. 

L’incontro dell’attore con Ivan Karamazov risale al fortunato sceneggiato trasmesso dalla Rai nel 1969, dalla regia di Sandro Bolchi; qualche anno fa, Orsini era già tornato a teatro con La leggenda del grande inquisitore, diretto da Pietro Babina. Babina porta in scena la fragilità dell’uomo messo a nudo dinanzi al proprio rimorso: in poco più di un’ora, la vicenda è attraversata dagli  occhi di uno solo dei tre fratelli.

Il processo irrisolto di Ivan Karamazov

Protagonista assoluto, diretto da Luca Micheletti (con il quale co-firma la drammaturgia), ne Le memorie di Ivan Karamazov Umberto Orsini incarna ancora una volta un personaggio controverso e profondamente umano. 

La scena solenne che si presenta allo spettatore restituisce un’atmosfera di incuria e abbandono: nella semioscurità troneggia un’ampia struttura in legno riconducibile all’aula di un tribunale, che ospita il banco dei testimoni e una piccola scala che conduce a una porticina. 

A destra, gradini ricoperti di ciarpame; a sinistra due botole sbucano dal pavimento. Per terra, batuffoli bianchi, polvere o forse neve; sul proscenio, una pila di volumi malconci. Un tendaggio blu copre per metà il palcoscenico, nascondendo un uomo seduto, chino su un libro, con in testa un cilindro. 

Illuminato da un fascio di luce bianca dall’alto, l’uomo prende a leggere ad alta voce e a strappare le pagine, mentre il drappo scorre dietro le quinte e ne rivela le sembianze: alto, magro e canuto, indossa un lungo cappotto scuro e calza stivali neri. Si alza in piedi, il monologo ha inizio.

A distanza di anni, Ivan Karamazov, ripercorre così il dramma familiare, soffermandosi sui tragici eventi collegati al parricidio. Un racconto che si fa sempre più concitato, che porterà rivelazioni non soltanto allo spettatore ma al personaggio stesso, e lo vedrà dialogare con i suoi demoni. 

Alla ricerca di risposte, e desideroso di dimostrare l’innocenza del fratello Dmitrij, Ivan arriverà infatti pian piano ad ammettere la propria colpevolezza. 

Frugando tra gli atti del tribunale, rivolgendosi alla giuria assente, l’uomo cade vittima dell’ennesima replica di un ciclo infinito: da tempo incalcolabile attende il momento in cui potrà raccontare la sua versione, preparandosi a chiudere un processo rimasto troppo a lungo irrisolto.

I lussuriosi – Luca Ronconi

La psicologia di un personaggio tormentato

Nel suo saggio Il giudizio su Ivan Karamazov, Vladimir Lakšin commentava così il personaggio: «È indiscutibile che nel progetto dell’autore proprio Ivan è il principale perturbatore della quiete, l’istigatore al parricidio […] L’autore condurrà Ivan su un patibolo morale, gli preparerà un tormentoso appuntamento col diavolo, il diavolo della sua immaginazione scissa e malata». 

Proprio come nel romanzo, nel lavoro di Micheletti Ivan deve confrontarsi con la voce diabolica nella sua testa: nascosto dalla porta di legno dietro lo scranno – che talvolta si illumina di rosso – l’interlocutore indesiderato insinua in lui dubbi e sofferenze. 

Esplorando lo spazio circostante come se lo conoscesse a fondo, esamina i ricordi (voci registrate, pagine che piovono dall’alto), li commenta, talvolta li smentisce. Si viene così sfiorati dall’intuizione che quel luogo solitario e imponente, non sia altro che la psiche del personaggio, consumata dall’ossessione

Il foglio che lo inchioda alla colpevolezza viene affisso sullo scranno dallo stesso Ivan: è la confessione di Smerdjakov, il fratello illegittimo che nelle sue parole aveva letto un’esortazione a commettere l’omicidio. 

Ivan Karamazov è così posto di fronte a un dilemma, che mette in discussione le sue certezze: negando l’immortalità dell’essere umano e persino l’importanza delle sue azioni, a quali conseguenze si va incontro?

La leggenda del grande inquisitore – Pietro Babina

La trappola del nichilismo

È lo stesso Orsini a ricordare, a proposito della trasposizione televisiva, l’impegno profuso per ritagliare uno spazio maggiore al suo personaggio e al capitolo del Grande Inquisitore, «inizialmente dato per troppo cerebrale e dunque probabilmente indigesto al grande pubblico». 

Dopo il progetto con Babina, l’Inquisitore – che per molti è la chiave di lettura dell’opera di Dostoevskij – trova spazio anche ne Le memorie di Ivan Karamazov, in una virtuosistica interpretazione dello stesso Orsini. 

Rivolgendosi a una sedia vuota, che crede occupata dal fratello Aleksej, Ivan rievoca la leggenda da lui ideata calandosi nelle parti dell’Inquisitore e di Cristo. 

Il disvelamento di un grande specchio, al sollevarsi di un pannello di legno, sdoppia la figura del protagonista. Facilitando la resa del dialogo, lo specchio identifica in un solo personaggio il peccato e l’innocenza, intrecciati nella figura di Ivan Karamazov a indicare la complessa condizione umana, su cui grava la libertà di scelta.

È a una sedia vuota che Ivan domanda ascolto, ascolto che può trovare soltanto nella figura di Aleksej – l’unico Karamazov capace di bontà – che comunque non riesce a salvare il fratello dalla prigione della solitudine. 

Aleksej è poi l’unico in grado di comprendere la sua malattia: «Era venuta a chiarirglisi la malattia di Ivan: torture d’una decisione orgogliosa: anima profonda! Dio, a cui non credeva, e la verità di Lui, s’andavano impossessando di quel cuore, che ancora non voleva assoggettarvisi». 

Quest’ultimo rimette alla volontà divina la guarigione di Ivan, credendola possibile soltanto attraverso la riconoscenza dell’esistenza di Dio. Ricerca cara a Dostoevskij e che, nel Karamazov di Orsini, si può ritrovare appieno e che nel romanzo resta sospesa, allo stesso modo rimane nell’adattamento, dove però sembra ribadita la necessità di non arrendersi al nichilismo.

I fratelli Karamazov – (miniserie televisiva) Sandro Bolchi

Il rapporto con il romanzo

Nel dibattito circa la possibilità e le strategie di adattamento di un testo non teatrale, I fratelli Karamazov è fra i romanzi che maggiormente si è prestato a diverse forme di sperimentazione. 

Ronconi e Tarasco, ad esempio, scelgono di preservare l’intreccio, pur affidandosi a soluzioni differenti. Il lavoro di Orsini e Micheletti nasce dalla manipolazione del testo originale ma non altera o riscrive la trama. 

Le novità – trattasi soprattutto di citazioni integrate nel monologo – arricchiscono la drammaturgia di sfumature esistenziali, non di risvolti narrativi: una sorta di spin-off, la cui novità è rappresentata dalla collocazione cronologica, diversi anni dopo gli eventi narrati nel romanzo, in uno spazio-tempo indefinito, teatro del logorio incessante di uno dei personaggi principali.  

L’angoscia di Ivan Karamazov rischia tuttavia di giungere attutita a uno spettatore estraneo alla trama o alla lettura del romanzo, ostacolando l’immedesimazione. 

Se ripercorrere i momenti salienti può dare l’impressione di inquadrare la vicenda, non è detto che riesca a garantire una reale comprensione del discorso morale e religioso che permea l’intera opera.

 Le memorie di Ivan Karamazov resta un lavoro molto accurato (con il contributo di Giacomo Andrico per le scene, di Daniele Gelsi per i costumi, di Alessandro Saviozzi per il suono, di Carlo Pediani per le luci e di Francesco Martucci, assistente alla regia), in grado di ravvivare quella scintilla che, secondo Ronconi, accende il romanzo, ovvero «la necessità della fede in un mondo che ha perduto finanche la possibilità della fede stessa».

Bibliografia e link di riferimento:

Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, traduzione di Agostino Villa, con un saggio introduttivo di Vladimir Lakšin, Giulio Einaudi Editore, 2014.

Marta Marchetti, Guardare il romanzo – Luca Ronconi e la parola in scena, Rubbettino Editore, 2016.

L’anima al nero, Gianfranco Capitta, Il manifesto, martedì 27 gennaio 1998, https://lucaronconi.it/storage/filemedia/rassegna-stampa-karamazov-2.pdf

https://www.piccoloteatro.org/it/2022-2023/le-memorie-di-ivan-karamazov

https://lucaronconi.it/scheda/teatro/i-fratelli-karamazov

https://www.raicultura.it/letteratura/articoli/2021/11/I-fratelli-Karamazov-77e2804a-f445-4f6b-ac9e-ac7045d7842f.

htmlhttps://www.mauristurno.it/it/teatrografia/i-fratelli-karamazov/

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