Una tavola rotonda per ragionare sulla danza e il suo rapporto con la disabilità, in una prospettiva chiamata a scardinare preconcetti e aspettative legati all’abilità performativa come siamo abituati a figurarcela assistendo ad uno spettacolo. Ma anche la possibilità di superare il pregiudizio di artista diversamente abile al quale debbano essere riservate rassegne o produzioni dedicate.
Queste sono solo alcune delle riflessioni emerse nell’ambito dell’incontro intitolato L’arte che include, alla Sala d’Attorre di Casa Melandri a Ravenna, sabato 22 ottobre, con una prima parte dedicata in modo specifico al teatro e la seconda, che andiamo ad approfondire qui, alla danza.
Organizzata dalla compagnia teatrale Nerval Teatro di Maurizio Lupinelli ed Elisa Pol, impegnati dal 2007 nella pratica degli “attraversamenti”, pratiche teatrali finalizzate all’inclusione e ispirati alle opere e ai personaggi di Samuel Beckett a Castiglioncello, in provincia di Livorno, in collaborazione con gli studiosi Gerardo Guccini e Marco Menini, l’evento ha chiamato a raccolta coreografi, registi, performer e storici del teatro.
Sia per fare un punto della situazione sul percorso dell’arte inclusiva che tante compagnie e registi hanno iniziato e portato avanti negli anni, sia per definire progettualità condivise che si sono rivelate efficaci, sia per approfondire in particolare il tema cruciale, per il teatro-danza, della centralità del corpo.
Come ha evidenziato Rossella Mazzaglia, storica, nella sua relazione intitolata Attraversamenti su danza e disabilità: corpi, soggettività e tecniche, l’Italia non ha una produzione storiografica molto ampia sulle produzioni teatrali e coreografiche pensate per la disabilità, a differenza degli Usa, ad esempio.
Per la critica teatrale, inoltre, è piuttosto ostico interpretare la danza al di fuori delle categorie tradizionali. Non è facile nemmeno, aggiunge, definire un parametro che non sia vincolato al concetto di abilità del performer, che è legato inevitabilmente alla velocità e quindi al virtuosismo, quando si assiste ad uno spettacolo di danza. Per questo, aggiunge, sarebbe il caso di affiancare al concetto di corpo a quello di persona, come già suggerito dalla formatrice e danzatrice Franca Zagatti.
Mazzaglia ha fatto riferimento alle tecniche utilizzate quali la contact improvisation, nata in America negli anni ‘70, una pratica in cui il contatto fisico fra almeno due danzatori diventa il punto di partenza di un’esplorazione fatta di movimenti improvvisati, riadattata attraverso la lentezza e applicata con successo a persone con disabilità.
Oggi che il movimento, la coreografia e la dimensione performativa tendono a mischiarsi sulla scena, conclude, potrebbe essere più facile superare i codici tradizionali per permettere alla persona disabile una sempre maggiore libertà espressiva. Così come devono essere approfonditi altri aspetti quali il tipo di immaginario che la persona disabile interiorizza mentre danza e il tipo di relazione che instaura con lo spettatore quando è in scena.
Veniamo ora a Doppelgänger-Chi Incontra il Suo Doppio Muore, di Michele Abbondanza, Antonella Bertoni e Maurizio Lupinelli, lo spettacolo in scena al teatro Rasi dopo la tavola rotonda, vincitore del Premio Ubu come miglior spettacolo di danza 2021 e inserito nella rassegna di danza d’autore Today To Dance.
Un lavoro centrato sulla ricerca del sé e dell’altro, dell’identità e della complementarietà attraverso una coreografia, quella di Abbondanza, che giocando sulla luce e sul mandala dell’abbraccio, sviluppa tutte le diadi possibili (vecchio-giovane, adulto-bambino, forza-delicatezza) dei corpi dei due performer, Francesco Mastrocinque e Filippo Porro, per poi renderli visivamente un unicuum.
A parlare invece di danza non come semplice performance ma come azione danzata, capace di parlare alla civis e di tradurre quella complessità che è nella vita stessa, è stata Michela Lucenti, danzatrice e coreografa, fondatrice nel 2003 di Balletto Civile, collettivo nomade di performers. Ex esponente del gruppo L’Impasto, ha descritto l’intensa esperienza di Udine, accanto all’ospedale psichiatrico di Sant’Osvaldo, in cui è venuta a contatto con la diversità e ne ha compreso le urgenze espressive, dando vita così ad un percorso ventennale che l’ha portata a sviluppare il sogno di una drammaturgia fisica insieme ad attori con o senza disabilità, guidandoli insieme, senza che il pubblico se ne accorga.
“È fondamentale – precisa – estrarre le persone diversamente abili che fanno teatro-danza dalla campana di vetro protettiva in cui sono avvolti. Di fatto non incontrano mai il pubblico né i critici, mentre sarebbe importante che ciò avvenisse ed è quanto sto cercando di fare nell’ambito di Ert, la rassegna di drammaturgia fisica che sto cercando di avvicinare alla prosa”.
L’Io, come ci racconta poi la coreografa e regista Silvia Rampelli, è una dimensione relazionale che può essere potenziata o ridotta. “Se mi rivolgo al corpo che sono, e non a quello che ho e che è sottoposto alle etichette che gli vengono attribuite nel quotidiano, attraverso l’esercizio, posso percepire il corpo in un modo completamente diverso. L’esercizio – spiega – lascia che il corpo si renda disponibile, si esprima.
Così ci si dà una possibilità, si amplia la coscienza e infine si giunge ad una ridefinizione del sé. In questo modo, sempre attraverso la dimensione relazionale, io vedo me stesso in modo diverso, nuovo. Questa riconfigurazione, anche estetica del sé, è quanto sta alla base di qualsiasi creazione artistica, che parte sempre dal vedere il mondo in una luce diversa”.
Per questo, conclude, il laboratorio è un’azione sul mondo tanto quanto lo è la creazione artistica. Entrambi, infatti, hanno la capacità di raggiungere quella che è la finalità del teatro: incontrare l’altro nella sua essenza.Quanto sia centrale la dimensione relazionale nel teatro e nella danza in particolare, è emerso da tutti gli interventi. Il teatro-danza vive di relazioni: della persona con se stessa e col proprio corpo, con quello dell’altro e col pubblico.
Emblematico il caso di Al Di Qua Artists, acronimo di ALternative DIsability QUAlity Artists di cui fanno parte i performer Camilla Guarino e Giuseppe Comuniello, presenti all’incontro, la prima associazione di categoria di artisti diversamente abili, nata nel 2020 per garantire maggiore accessibilità degli spazi artistici sia a chi intende praticare l’attività sia a chi vuole fruirne come spettatore.
“Fino ad ora – racconta Guarino– abbiamo dovuto delegare ad altri la gestione della nostra vita, ma non ci siamo mai sentiti rappresentati veramente per quello che siamo. La stessa parola disabile è incompleta e inadeguata. Sta di fatto che eravamo in pochi, desiderosi di fare arte e con scuole che non erano pronte ad accoglierci.
Alla fine abbiamo deciso di unirci in associazione e i nostri punti di riferimento sono sostanzialmente tre: l’accessibilità per chi sta sul palco, attraverso la rimozione di barriere architettoniche per salire; l’accessibilità per un pubblico diversamente abile che comprende sia la disabilità motoria che quella di ipovedenti, sordomuti e comportamentale. L’accessibilità, infine, di chi lavora dietro il palco”.
Mentre per il teatro qualcosa si sta già muovendo, continua Guarino, gli spettacoli di danza rimangono inaccessibili a chi è ipovedente, ad esempio. Di qui la creazione di audio descrizioni che realizziamo di concerto con il regista per dare la possibilità a questa tipologia di pubblico di assistere allo spettacolo utilizzando le cuffie e che in realtà è adatto anche ai normodotati, per la possibilità di approfondire la propria conoscenza sull’opera.
I lavori sono terminati con la testimonianza della coreografa Selina Bassini, attiva a Ravenna da oltre 30 anni con l’associazione Cantieri Danza dedicata alla danza contemporanea e d’autore e inserita nella rete del network Anticorpi XL, dove tante sono state le esperienze laboratoriali che hanno visto unirsi aspiranti danzatori professionisti e persone diversamente abili che attraverso la pratica teatrale e di danza hanno sviluppato competenze trasversali come la capacità di resilienza, di gestione del conflitto e di amore per l’apprendimento.
Grande soddisfazione, al termine della giornata, è stata espressa da Lupinelli che anche a Ravenna, per il primo anno, ha voluto dar vita ad un laboratorio simile a quello di Castiglioncello, sollecitato in questo dall’ assessore alle Politche sociali della scorsa legislatura Valentina Morigi.
Attualmente, ha detto Lupinelli, vi partecipano una ventina di ragazzi e ragazze, seguiti dalla cooperative sociali del territorio, che saranno a breve impegnati nella realizzazione di uno spettacolo finale per il quale è stato attivato il crowdfunding A Ciascuno la sua parte su ideaginger.it
Insegnante di italiano come seconda lingua, formatasi all’Università per Stranieri di Siena, giornalista pubblicista iscritta all’Ordine laureata in Filosofia e Beni culturali all’Università degli Studi di Bologna, una grande passione per il teatro. Pirandello, De Filippo, Pasolini e le avanguardie del Novecento i preferiti di sempre.