La vita sommersa di Arpad Weisz

Feb 4, 2023

Un reading teatrale dedicato a uno dei nomi illustri del calcio, Arpad Weisz, calciatore e allenatore di nazionalità ungherese, di origine ebraiche, immigrato in Italia e attivo soprattutto a Bologna negli anni del fascismo, che lo costrinse ben presto, una volta entrate in vigore le leggi razziali, a lasciare il nostro Paese per vivere prima in Francia, poi nei Paesi Bassi, dove venne prelevato e arrestato insieme alla sua famiglia per poi essere deportato e morire nel campo di concentramento di Auschwitz il 30 gennaio 1944.

È stata la compagnia teatrale Menoventi, diretta da Gianni Farina, il 27 gennaio scorso, giornata in cui si ricorda l’Olocausto, a portare in scena Lei conosce Arpad Weisz? ispirato al testo di Matteo Marani e il cui titolo gioca con una punta di amarezza sulla difficoltà a reperire testimonianze su questo personaggio. Giocatore di discreto livello diventa poco più tardi il brillante allenatore capace di far vincere lo scudetto all’Inter e poi al Bologna per due annate di seguito ed è rimasto tuttora il più giovane allenatore straniero ad avere vinto nella serie A.

Dal dibattito che ha seguito lo spettacolo, organizzato da Ravenna Teatro in occasione della ricorrenza e nell’ambito del progetto Gli spazi della Memoria, che ha portato nelle scuole gli spettacoli di Fanny & Alexander Se questo è Levi e il reading dei Menoventi, è emerso quanto spesso il nostro Paese abbia faticato a riappropriarsi della propria storia recente (e per Bologna in particolare, fare i conti con il periodo del Vittoriale). L’Italia fascista dell’italianizzazione dei cognomi stranieri e addirittura dell’italianizzazione dei nomi stranieri delle squadre. Pensiamo alla squadra dell’Inter che all’epoca si chiamava Ambrosiana e al cognome stesso di Weisz, italianizzato in Veisz

Ma soprattutto, come ha ricordato il giornalista e moderatore dell’incontro Jacopo Gardelli, il rapporto molto stretto tra totalitarisimi e mondo sportivo che fa sì che un personaggio della caratura di Weisz venga praticamente inghiottito nel nulla nel giro di poco tempo senza che quasi nessuno se ne accorga e nell’indifferenza della carta stampata che fino a poco prima lo aveva osannato per il suo talento.

Arpad Weisz
Ph Paolo Cortesi

Sempre Gardelli, richiamandosi ad un altro spettacolo dedicato all’Olocausto intitolato I sommersi e i salvati, di Fanny & Alexander, ha rimarcato questa dualità che ha caratterizzato il destino del popolo ebraico dividendo quelli che “salvati”, come Primo Levi ad esempio, sono riusciti  a sopravvivere e raccontare ciò che hanno vissuto e i “sommersi” tra i quali rientra purtroppo Weisz.

Poco sapremmo di lui se non fosse stato per il giornalista Matteo Marani che, incalzato dalla sorella, ha svolto ricerche approfondite sui luoghi che lui e la sua famiglia hanno frequentato e proprio scoprendo le lettere che il piccolo Roberto aveva scritto al compagno di classe italiano Giovanni Savini è stata possibile una parziale ricostruzione di quanto accaduto alla famiglia una volta lasciata l’Italia e che sono raccontate nel testo edito nel 2019 da Diarkos, Dallo scudetto ad Auschwitz- Vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo.

Una mente creativa, istruito, cosmopolita, capace di imparare l’italiano perfettamente in poco tempo, ma soprattutto di innovare il calcio: segue i giocatori passo passo e indossando come loro calzoncini  e magliette, cosa fino ad allora impensabile, tanto era considerato formale il ruolo dell’allenatore. Così come è lui a intuire l’importanza di utilizzare i giocatori esterni sia in difesa che in attacco, a seguire con attenzione i campionati minori alla ricerca di nuovi talenti e che lo porta a scoprire nomi del calibro di Giuseppe Meazza.

Come gli ebrei sono divisi in sommersi e salvati, così la vita di Weisz, racconta Alfredo Tassoni, presidente del Club cosmopolita Arpad Weisz, è divisa in due tempi, proprio come una partita di calcio: un primo tempo splendido tra i clamori del pubblico ed una meritata fama, seguito da un secondo tempo di buio e silenzio, in cui la vita trascorre prima a Parigi, in albergo, poi in Olanda, in una squadra piccola e forse poco dotata, ma l’impegno di Weisz non cambia, la sua passione è intatta. Fino a quando gli viene proibito anche di allenare e questa è la sua fine. Un’immagine che lo ritrae dietro gli spalti a guardare, triste, i giocatori. Il silenzio dignitoso e rassegnato con cui apre la porta alle squadre della Polizia quando vengono a prelevarlo.

Il reading è sobrio, essenziale, come fa notare Gardelli agli attori Consuelo Battiston e Leonardo Bianconi. Come siete riusciti a rendere questo testo così lineare e privo di retorica? “Il dolore provato da queste persone in realtà non si può rappresentare – ha precisato Battiston – . Ci sarebbe il rischio di essere irrispettosi, anche solo il tentarlo. Per questo siamo riusciti ad essere sobri, grazie al distacco, al volere rimanere indietro rispetto a parole così forti che già in sé, racchiudono tutto, senza bisogno di aggiungere altro”.

La musica invece, ha attinto a piene mani dalle composizioni cupe di autori ebraici o album che raccontano la Shoah, tra i quali Songs from the depth of Hell di Peter Worstmann in cui ha trascritto brani composti dai musicisti durante la loro permanenza nei lager. Tutte ad eccezione della sigla del programma 90° Minuto di Jack Trombey e il Tango Capinera rivisitato da Secondo Casadei.

Un primo e un secondo tempo, dunque. O forse un destino segnato dall’anno di nascita, come suggerito da Gardelli, il 1896, anno della Lost Generation, che vive tra i fasti della Belle Epoque per andare incontro al volto sanguinario del XX secolo.

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