La contaminazione tra teatro e stand up comedy si mostra in tutta la sua prorompenza in artisti che sono partiti dalla scrittura. Non siamo di fronte al/alla performer che si affida principalmente a imitazioni o ritornelli, ma piuttosto ad autori/autrici che decidono di dare un volto e una voce a parole che, di solito, cedono ad altri. Il gusto della narrazione, quotidiana o straordinaria che sia, esplode in questi casi regalando un punto di vista nuovo, curato, brillante.
Greta Cappelletti è un’attenta osservatrice del mondo, oltre a contare una ricca carriera da autrice teatrale, televisiva, dramaturg, copywriter. Il passo dalla scrittura mordace al prendersi la responsabilità di salire su un palco è avvenuto di recente, in modo quasi fisiologico.
Le abbiamo chiesto, in virtù della sua esperienza e del suo acume, di farci un quadro sulla stand up dal punto di vista di un’autrice e ora performer che spazia in più campi senza mai perdere la sua tagliente lucidità.
Quando, come e perché hai deciso di dedicarti alla stand up?
Ho sempre avuto un amore sconfinato per la comicità e ho sempre scritto per altri perché una parte di me ama lamentarsi degli attori. Dopo la pandemia qualcosa è cambiato, i miei pezzi sono diventati più personali e non mi piacevano in bocca ad altri. Inoltre, mi infastidiva che il pubblico non riconoscesse il mio ruolo e quando qualcuno si complimentava con l’attore per le belle battute continuavo a pensare “Oh, ma devi ringraziare me mica lui!” Quindi avevo molti atteggiamenti da elettore non votante: mi lamentavo costantemente e non facevo niente per cambiare. Poi un giorno ho scritto di getto un pezzo, l’ho letto ad alta voce e nel giugno 2022 mi sono iscritta a un open mic. La gente rideva, io sono andata in brodo di giuggiole, e ho pensato “Mi piace, voglio fare questo”.
Cosa vuol dire essere una comica (e sottolineo comicA) nel 2024 in Italia?
Essere una comica nel 2024 in Italia significa essere una donna nel 2024 in Italia. Meglio essere donna oggi che negli anni Cinquanta? Certo. Va tutto bene? No. Invito a fare la conta delle comiche nelle rassegne, palinsesti, festival etc. (parlo per grandi numeri sia chiaro, ci sono organizzazioni più attente di altre).Qualità e quantità si sono alzate tanto, ci sono numerose comiche brave, originali, perfezioniste, spregiudicate, coraggiose. Ultimamente sono andata a vedere un paio di serate con più comici dove, a un certo punto, chi presentava ha detto “E ora abbiamo una comicA Donna!”. A parte la strana specifica di genere che fa sorridere, qualcuno dalla sala ha urlato “Era ora!”. Il pubblico mica sta a contare uomini/donne, il pubblico sente semplicemente che manca qualcosa. E se manca qualcosa ne va di una serata, della pluralità di sguardi e ne perdi tu, direzione artistica, in termini di visione, lungimiranza e mercato.
Come nasce un nuovo pezzo?
La rabbia è per me è un grande motore. Se qualcosa mi dà fastidio sono contenta perché inizio a macinare idee. Se qualcosa mi fa incazzare sono soddisfatta perché di sicuro ci posso ricavare un pezzo. Oltre a questo, la cosa bella della stand up comedy è che segue il ritmo di quello che ti circonda, è radicata nel contemporaneo e un pezzo, in generale, può nascere in mille modi diversi. Per gli autori di teatro è una liberazione, non ti serve riscrivere Pirandello per essere attuale e figurare nel cartellone di una stagione, ma vuoi mettere?
Quali sono i tuoi modelli artistici?
Modelli non ne ho, ti dico cosa mi fa ridere. Sono cresciuta con Paolo Rossi, Antonio Albanese, Jim Carrey. L’attuale Olimpo è: Louis Ck e Woody Allen (lo so, lo so!). A seguire: l’umorismo di Fran Lebowitz, la scrittura di Michelle Wolf, la follia di Jessica Kirson. Aggiungo i Contenuti Zero e Daniele Raco, amici che seguo da anni e che mi fanno impazzire. Poi, va a periodi. Questo è il periodo Edoardo Ferrario, l’ho visto di recente dal vivo ed è stata un’epifania. Comunque la cosa più divertente, assoluta, eterna è: qualcuno che appoggia il gomito sul tavolo e manca il tavolo.
Come cambia il tuo approccio nella dimensione autoriale-performativa rispetto a quella “semplicemente” autoriale?
Non ho più intermediari tra me e il pubblico. Il linguaggio di un pezzo subisce continue mutazioni di sera in sera, prima ero più riflessiva sui cambiamenti da fare, ora taglio smonto e riscrivo continuamente fino a due secondi prima di andare in scena. Sono più esposta ma anche più leggera, se mi diverto e ascolto di solito funziona e, se qualcosa non va, dormo male la notte ma almeno il giorno dopo non devo discuterne con un attore.
Secondo te, ci sono argomenti ancora tabù in Italia? Se sì, quali sono?
Non ci sono tabù, ci sono argomenti su cui si scivola più facilmente e a cui bisogna prestare più attenzione. Per me si può ridere di tutto ma è corretto chiedersi perché vuoi fare una battuta su un soggetto piuttosto che un altro. Penso serva onestà. È giusto cercare il proprio linguaggio, il proprio punto di vista sul mondo e riuscire a sostenerlo. Io non ho ancora trovato un motivo valido per fare battute, che ne so, sui campi di concentramento o sulla lattuga. O, ancora più difficile, sulla lattuga nei campi di concentramento. Detto ciò, mezzi diversi applicano politiche diverse. In un bar puoi sentire un pezzo sui campi di concentramento, in tv no, ma tu comico puoi comunque diffonderlo in mille altre maniere.Ciò detto, magari un pezzo con quel soggetto non è poi così necessario, ma questo è un altro discorso.
Emilia Agnesa, sarda trapiantata a Roma. Drammaturga, autrice e attrice teatrale, diplomata in drammaturgia all’Accademia Nazionale Silvio d’Amico. Laurea specialistica in lettere antiche, insegnante abilitata di latino e greco. Collabora come autrice con diverse compagnie nazionali e internazionali.