La forza della danza. Intervista a Christian Fagetti, ballerino del Teatro alla Scala

Giu 4, 2020

La danza, per Christian Fagetti, è arte e poesia. Ballerino solista del Teatro alla Scala di Milano, è noto per gli slanci dinamici della sua tecnica, il carisma e la capacità di dare spessore ai ruoli che interpreta, l’architettura euritmica delle sue linee, le fibre muscolari veloci e l’intensità dello sguardo. In questa intervista Christian Fagetti, ha raccontato la sua storia, la sua esperienza di artista e di uomo del suo tempo, ricalcando l’importanza di realizzare i sogni e gli obiettivi con pazienza, gentilezza d’animo e determinazione.

Brescia e Amisano ©️ Teatro alla Scala
Brescia e Amisano ©️ Teatro alla Scala

Puoi raccontarci la tua esperienza come ballerino alla Scala di Milano?

Ho fatto molta gavetta. A un anno dal mio ingresso nel corpo di ballo del Teatro alla Scala, grazie alla compianta direttrice dell’epoca Elisabetta Terabust, la mia carriera è iniziata in modo molto felice. Fu lei a notarmi e a darmi i primi ruoli da solista. Con l’arrivo di una nuova direzione, succeduta alla Terabust, era normale che cambiassero i gusti e con essi i ballerini. Per tre o quattro anni ho lavorato solo nel corpo di ballo facendo piccole parti da solista.

È stato uno dei momenti più duri per me, perché ho avuto la sensazione di essere tornato indietro. Il lavoro, però, non si è mai fermato e, anche in quella circostanza, ho trovato la forza di fare ancora di più per dimostrare a me stesso e a chi di dovere la mia determinazione. A livello psicologico è stata un’esperienza pesante da gestire. Al giorno d’oggi, se sei bravo e talentuoso, puoi essere scelto per ruoli di prestigio anche se sei appena entrato in una compagnia. Un tempo si facevano molti più sacrifici per raggiungere questo tipo di obiettivi.

Il primo ruolo importante, come primo ballerino, mi è stato assegnato quando avevo poco più di ventisei anni. Era l’Oscurantismo, nel balletto Excelsior, ma il ricordo al quale sono più legato in assoluto è quello di Rothbart ne Il lago dei cigni di Rudolf Nureyev. Un ruolo molto profondo che richiede grandi sforzi di interpretazione. Tutto il lavoro di danza è concentrato nella variazione del terzo atto, molto musicale e complessa a livello tecnico. Si tratta di un passo a due che in questa versione diventa a tre con Odile (il Cigno Nero), il Principe Siegfried e Rothbart.

Un altro ruolo che mi sta particolarmente a cuore e che sento molto nelle mie corde è Mercuzio in Romeo e Giulietta con la coreografia di Kenneth MacMillan. Ultimo, ma non il meno importante, è un personaggio al quale sono affezionato e che ho interpretato tante volte, ovvero Espada nel Don Chisciotte di Nureyev. Nel 2014 ho avuto l’onore di danzare con artisti come Natalia Osipova e Leonid Sarafanov e di realizzare, successivamente, il video che è andato in commercio e che, recentemente, è stato trasmesso da Rai5 e Rai Play.

L’esperienza è stato il valore aggiunto per il cambiamento e l’evoluzione artistica?

All’inizio non credevo molto in me. Quando ero più giovane avevo un basso livello di autostima e mai avrei pensato di raggiungere determinati risultati. Il lavoro in sala, le difficoltà e le esibizioni dal vivo hanno plasmato il mio carattere, la mia personalità. Ho realizzato così che avrei potuto fare qualcosa in più rispetto al far parte del corpo di ballo. Guardando indietro, ripensando a tutto ciò che mi sono lasciato alle spalle, posso dire che, adesso, alla soglia dei miei trentatré anni, mi sento un ballerino e un artista migliore.

Sento di avere un’esperienza e un bagaglio molto più ampi: vivo diversamente la scena, i momenti di tensione, le difficoltà di quando si danza. A vent’anni si danza con la voglia di ballare e con la disinvoltura che è tipica della giovane età. Crescendo, le paure un po’ aumentano ma vengono gestite meglio con la consapevolezza e la maturità. Le occasioni arrivano al momento giusto, non bisogna forzare troppo le cose.

Esprimersi, interpretare, lavorare con il corpo: in che modo si determina questo processo?

La possibilità di esprimersi che ha un danzatore è diversa da quella di ogni altro artista in differenti contesti artistico-espressivi. Noi ballerini dobbiamo essere capaci di comunicare con il pubblico attraverso la mimica facciale, le espressioni del volto, il linguaggio della musica e del corpo. Quando affrontiamo un balletto narrativo, dobbiamo raccontare una storia e non possiamo fermarci alla semplice variazione. Per esempio, quando ho interpretato Lescaut ne L’histoire de Manon, è stato necessario lavorare anche sulle caratteristiche del personaggio. A me capita spesso di interpretare ruoli decisi o da cattivo.

Bisogna essere duttili, cogliere tutte le sfumature e non cadere nella trappola di interpretare i diversi personaggi allo stesso modo. In questo risiede la nostra difficoltà più grande, ma devo dire che ci sono dei bravissimi Maître de ballet in grado di migliorare le nostre interpretazioni proponendo chiavi di lettura molto utili.

Questo periodo di emergenza ci ha costretto a guardarci dentro, nell’attesa di tornare ad avere un contatto fisico senza distanziamento. Qual è la tua riflessione?

Questo lungo periodo di emergenza sanitaria ci ha fatto riflettere su tante cose. Prima del blocco, vivevamo la nostra vita senza fermarci un attimo. Io ad esempio, pur avendo comprato il mio appartamento circa due anni fa, non sono mai riuscito a viverlo a fondo, uscendo di casa la mattina presto e ritornando all’ora di cena. Mai avrei pensato di utilizzarlo come una sala prove. Nei giorni della quarantena ho continuato ad allenarmi, iniziando alla sbarra il mio training quotidiano di almeno due ore.

Ho comprato anche un tappeto di linoleum, ma tutto questo non potrà mai sostituire quella che è la nostra routine, la specificità del nostro lavoro. Noi danzatori siamo abituati a lavorare a stretto contatto, dalle dieci del mattino fino alle sei di sera in sala prove, mantenendo in esercizio la resistenza fisica e il fiato. Al di là del mio allenamento, ho occupato il mio tempo dedicandomi a tutte quelle cose che a lungo avevo trascurato, a causa dei miei impegni.

Come hai vissuto e attraversato l’esperienza di isolamento e di lockdown?

All’inizio credo che ci sia stata, da parte dei mezzi di comunicazione, la tendenza a minimizzare la situazione. Abbiamo continuato a vivere le nostre vite pensando di non correre rischi, fino al momento in cui tutti siamo rimasti chiusi dentro le nostre case. Purtroppo, ho dovuto prendere le distanze anche dai miei cari, dalla mia famiglia. Una scelta condivisa ma molto sofferta. Con loro ho sempre avuto un rapporto simbiotico e questa è stata la mia prima grande difficoltà. Ognuno di noi ha imparato a vivere la quotidianità in modo diverso, con delle forti restrizioni sociali. Il rapporto con gli altri ha subìto delle trasformazioni radicali.

Essendo una persona molto espansiva ho sempre bisogno del contatto fisico con gli amici, con i miei cari. Adesso, pur avendo la possibilità di incontrarci con le persone le limitazioni ci impongono ancora un distanziamento. Quando potremo tornare ad abbracciarci e stringerci la mano, probabilmente ognuno di noi proverà un po’ di paura. Questo periodo ha segnato tutti. Nonostante questa catastrofe, cerco di vedere sempre gli aspetti positivi nelle cose. In questa emergenza sanitaria ho fatto un lavoro interiore di ascolto e devo dire che ad oggi ho trovato la mia pace. Sono riuscito a dialogare e a convivere serenamente con me stesso.

Brescia e Amisano ©️ Teatro alla Scala
Brescia e Amisano ©️ Teatro alla Scala

Quello della Danza e del Teatro è un settore al quale, purtroppo, non viene riservata la giusta considerazione. Quali sono secondo te i principali problemi, le urgenze su cui occorre lavorare per trovare delle possibili soluzioni ?

Parto dal presupposto che il grande pubblico sicuramente conoscerà i calciatori molto meglio dei ballerini. In termini di visibilità, noi artisti abbiamo bisogno di emergere. E, in generale, ci meritiamo di più. Oggi esistono dei potenti mezzi di comunicazione, ovvero Internet e i social network che ci offrono la possibilità di farci conoscere più facilmente. Sono felice del fatto che in questo periodo di lockdown siano stati trasmessi in televisione diversi spettacoli.

Ho trovato che fosse un modo interessante per avvicinare al teatro un maggior numero di persone e per allargarne gli orizzonti culturali. La Danza, in Italia, dovrebbe essere sovvenzionata maggiormente. Mi auguro che vengano trovate delle soluzioni per dare sicurezza ai molti che vivono una condizione lavorativa precaria. Da un lato, il pubblico dovrà essere educato nuovamente ad andare a teatro, dall’altro occorrerà una certezza finanziaria, sia per le grandi sia per le piccole realtà teatrali, che assicurare stabilità al settore.

Le scuole di danza, fondamentali per realizzare gli obiettivi di tanti giovani danzatori, stanno attraversando un momento di estrema difficoltà. Come si potrebbe migliorare l’attuale situazione?

Sono molto legato all’argomento delle scuole. È da lì che vengono i ballerini di oggi, di ieri e di domani. Sono entrato nell’Accademia del Teatro alla Scala all’età di 15 anni. Ero già grande e abbastanza formato, ma ho dovuto lavorare tanto durante mio percorso professionale. In poco tempo, ho capito e deciso che avrei fatto questo nella vita. Il mio sogno è sempre stato quello di diventare un ballerino. Appena iniziava la musica, entrando nella coreografia, mi sembrava di un’altra persona. Ero totalmente a mio agio con me stesso, con il mio corpo, con i movimenti.

Grazie agli studi che ho fatto nella scuola privata dove ho mosso i miei primi passi, grazie alle mie maestre che mi hanno spronato, sono riuscito a entrare nell’Accademia di danza del Teatro alla Scala. Servono impegno e sudore per diventare un bravo ballerino professionista. I sacrifici più grandi li hanno fatti i miei genitori e i miei zii che hanno pagato i miei studi. Verso di loro sarò sempre riconoscente. Il mio era un sogno che ha richiesto un grande lavoro su me stesso.Tanta fatica, tanti pianti, tanti ripensamenti ma, alla fine, se si nutre amore per quel che si fa, tutto il resto si annulla.

Mi auguro che lo Stato possa sostenere economicamente tutte quelle scuole che rischiano di chiudere o che già sanno di non poter riaprire. Sarebbe una grande perdita che porterebbe via molta forza lavoro. I bambini e le bambine, le ragazze e i ragazzi, che si affacciano a questo mondo hanno un sogno e dei diritti che devono essere salvaguardati. È come se vedessi me in ognuno di loro, per questo sento di dovermi fare portavoce della loro preoccupazione. Spero che il Governo abbia a cuore il futuro e le speranze di una nuova generazione di artisti, aiutando questo settore a ripartire.

Da uomo del XXI secolo come declini in chiave attuale le regole e il linguaggio della danza classica?

Credo di essere un ballerino abbastanza contemporaneo. Ho avuto certamente bisogno della rigidità della danza classica, senza la quale non sarei potuto diventare il ballerino che sono oggi. Nella scuola privata in cui ho studiato da bambino ero il migliore. Arrivato in Accademia, alla Scala, ho trovato una realtà totalmente diversa: lì ero uno tra tanti. Ho dovuto fare un grande lavoro su me stesso, sui miei “difetti fisici” e trovare la mia dimensione.

Ho smussato il mio corpo spigoloso grazie all’allenamento e alla mia forza di volontà, ma soprattutto grazie alla disciplina ferrea, al codice universale di un’arte senza tempo come la danza classica. Mi sento a mio agio nei costumi di un ballerino classico così come nelle coreografie del contemporaneo. Amo questi due mondi nello stesso identico modo, per me sono entrambi sullo stesso livello.

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