«Perché non cercare di dare visibilità a chi ha dei testi nel cassetto, o che non sa come diffonderli?». Da questa domanda è nato il progetto Pubblicazioni a cura di Teatro i, una chiamata pubblica che ha generato una nutrita biblioteca virtuale di testi, consultabile sul sito dello spazio indipendente milanese. Un esperimento che ha avuto il suo impulso dalle chiusure causate dalla pandemia e quindi dall’invenzione di modalità alternative di pensare il teatro. Coronato da grande successo e partecipazione – a dimostrazione di quanto ci sia necessità di questo genere di spazi – il progetto vivrà una nuova stagione, con una seconda chiamata che verrà diffusa a breve.
Francesca Garolla, autrice, dramaturg e parte della direzione artistica di Teatro i insieme a Renzo Martinelli e Federica Fracassi, ci ha raccontato le varie fasi di Pubblicazioni nel quadro più ampio del lavoro di scouting che lo spazio porta avanti da diverso tempo.
Bisogna poi sottolineare che l’interesse e la ricerca sulla drammaturgia non esclude, ma anzi integra, lo sforzo profuso nella fase di realizzazione, infatti due dei testi inseriti nella biblioteca sono poi diventati spettacoli della stagione di Teatro i, prima L’ultimo animale di Caterina Filograno e poi, in scena fino all’8 maggio, Questa lettera sul pagliaccio morto di Davide Pascarella.
Pubblicazioni è nato durante la pandemia, quali riflessioni vi hanno spinto a realizzare questo progetto?
Quando ci sono state le riaperture frammentate della primavera del 2021, come Teatro i siamo rimasti chiusi perché per il contingentamento avremmo potuto accogliere solo 25 spettatori. Allora abbiamo pensato di mettere in campo dei progetti collaterali. Negli ultimi anni abbiamo fatto un buon lavoro a livello di scouting, producendo registi e attori emergenti, quindi ci siamo detti che in un periodo in cui attori e registi facevano fatica a lavorare sarebbe stato il caso di pensare anche agli autori, che già normalmente non hanno un percorso chiaro da seguire. In Italia ci sono infatti alcuni rari percorsi di formazione come la Paolo Grassi, ma tolte queste poche opportunità un drammaturgo o una drammaturga che ha scritto un testo non sa a chi rivolgersi, infatti accade spesso che si crea una sua compagnia per mettere in scena i propri testi. In seguito a queste riflessioni è nata la proposta di questa call aperta a tutti, senza limiti di età. L’unica condizione che abbiamo posto è che il testo non avesse avuto ottenuto già una produzione istituzionale.
Avete ricevuto quasi 200 testi. Ve lo aspettavate?
All’inizio non avevamo il polso di quanta sarebbe stata la partecipazione, considerate le possibilità che avevano i canali del Teatro i per promuovere la chiamata. Quindi sì, è stata una sorpresa e siamo stati molto felici di questa adesione, ma allo stesso tempo ci siamo anche chiesti: quanta gente c’è che non sa cosa fare di quello che scrive? Dal punto di vista della selezione abbiamo valutato di farne una piuttosto ampia, nel senso che i testi che abbiamo escluso li abbiamo ritenuti ancora fragili. Lo abbiamo fatto anche per tutelare gli autori, perché esporre un testo che non è finito, che non è ancora al meglio, non fa gioco a nessuno. E per le selezioni abbiamo creato due comitati: un comitato di esperti, quindi autori, registi, teatranti; e un comitato, invece, di spettatori/lettori, quindi un comitato di non operatori. E l’altra cosa che è andata effettivamente al di là delle nostre aspettative è stata l’adesione a questo secondo comitato.
Come avete coinvolto questi spettatori?
Abbiamo lanciato una call che diceva che il comitato di esperti aveva già fatto una preselezione e che il comitato di spettatori/lettori sarebbe intervenuto per selezionare 5 tra quei testi per farli diventare dei podcast, la fase successiva di questo progetto, ovvero la realizzazione di materiali audio in quel periodo in cui eravamo chiusi.
Hanno aderito circa 100 persone, e allora ho pensato che forse tendiamo ad avere uno sguardo troppo pessimista perché trovare un numero tale di spettatori che abbia voglia di leggere dei testi di drammaturgia contemporanea di autori che ovviamente non conoscevano, è stata una grande soddisfazione devo dire. L’esito finale di Pubblicazioni è infine la biblioteca online che si trova sul sito di Teatro i, con schede per tutti gli autori selezionati, la sinossi e un estratto del testo, per poi fare richiesta per avere il testo completo.
Stanno arrivando alcune richieste per i testi integrali?
Sì, sono arrivate soprattutto in una prima fase, tramite il passaparola. In realtà adesso c’è di nuovo una crescita delle richieste, probabilmente determinata dal fatto che dei primi tre spettacoli del 2022 della stagione del Teatro i due sono realizzati da autori/registi usciti dalla biblioteca online. Credo che questo sviluppo abbia ulteriormente incuriosito. Infatti l’idea non è solo di scoprire qualcuno e poi di lasciarlo lì, ma di costruire qualcosa sul medio-lungo periodo.
Tornando alla questione dell’invisibilità, quali sono secondo te le cause principali? Una mancanza di curiosità oppure un problema di risorse che non permette di mettere in scena questi testi?
Oltre alla difficoltà da parte di chi scrive nel capire a chi rivolgersi, dall’altra parte c’è chi ha una mancanza di curiosità nel cercare degli autori che non siano già stati riconosciuti. Spesso ci si accontenta di riconoscere il conosciuto, che non è scouting, non è un lavoro sull’emersione ma sull’emerso, che va benissimo nel momento in cui diventa la costruzione di un percorso, ma quando invece è semplicemente una continua estemporaneità, si blocca un po’ il sistema. Questo lo possiamo applicare a tante cose, non solo agli autori ma anche a compagnie, teatri o al problema della distribuzione.
Visto che anche tu sei un’autrice e hai una lunga esperienza, tra i testi che avete ricevuto hai colto delle tendenze, delle caratteristiche?
La mia impressione è che negli ultimi dieci anni la drammaturgia contemporanea è diventata più libera nei temi e nelle forme, mentre fino a qualche anno fa sembrava che uno dei focus principali in Italia fosse spesso il microcosmo familiare, con delle forme che andavano in una direzione dialogica tradizionale. Invece nei testi che ci sono arrivati ho visto tanta varietà; una varietà di linguaggio, nel senso che c’è un tentativo di cercare forme nuove, più astratte e meno collegate ai magari, con un’intenzione immaginifica; ma anche una varietà di situazioni, tendendo verso un’approccio surreale o immaginano mondi che vanno al di là del nostro microcosmo, si allargano ad una visione più ampia della realtà.
Ho anche pensato che fosse uno sviluppo determinato dalla pandemia, nel senso che è stata la vera globalizzazione degli ultimi anni, ha riguardato tutti trasversalmente. Nessuno dei testi affronta direttamente quanto accaduto dal 2020 ma ho avuto la sensazione che abbia portato gli autori a guardare ad un mondo più ampio di cui si era necessariamente parte.
Quest’anno lancerete una nuova call, il percorso sarà strutturato allo stesso modo?
In realtà ne lanceremo due, per quanto riguarda quella dei drammaturghi stiamo pensando ad invertire la successione, cioè far fare prima la selezione al comitato di spettatori e poi al comitato degli esperti. Vorremmo poi portare avanti alcuni testi come abbiamo fatto quest’anno con le due piccoli produzioni che ci sono ora. Ci stiamo anche interrogando su come costruire il comitato di esperti, magari coinvolgendo registi, direttori di teatro, persone che effettivamente potrebbero realizzare quei testi forse riusciremmo anche minimamente a sbloccare il meccanismo di cui parlavamo prima.
Parallelamente abbiamo lanciato una call per registi, in scadenza il 2 maggio. In questo caso c’è il limite di età, cerchiamo registi e registe under 30 perché faremo delle mise en espace su tre testi di autori «strutturati», che hanno già una loro tradizione. Nello specifico saranno Valentina Diana, Angela Demattè e Fabrizio Sinisi. Vorremmo che questa chiamata permetta a tre giovani registi di mettersi a confronto con un testo di drammaturgia consolidato ma comunque contemporaneo. Un’altra mancanza che abbiamo identificato infatti è che i gruppi più giovani difficilmente mettono in scena questo tipo di testi, ma lavorano piuttosto su proprie scritture. Quindi ci è venuta voglia di fare questo esperimento.
Qual è la ragione di questa mancanza secondo te?
Forse la drammaturgia contemporanea non ha «storicità», cioè non ha esperienze di palcoscenico e non è stabilizzata da una storia di rappresentazioni. Se, facciamo un esempio, affronto Beckett ho un testo solido con cui confrontarmi, con una sua tradizione, mentre un testo di drammaturgia contemporanea è per sua natura liquido, prevede una lettura di certi meccanismi che non sono già stati compresi da qualcun altro. Infatti penso sempre alla mia esperienza, quando i miei testi vengono realizzati c’è sempre il regista o l’attore che chiede: Cosa intendi qui, con questa cosa che hai scritto? domanda che ovviamente non si pone agli autori morti. Può darsi quindi che un giovane fatichi a mettersi in relazione con queste difficoltà, oltre all’esigenza di dire qualcosa di proprio e di originale nelle scritture di scena. Credo sia per queste ragioni, o forse semplicemente non è una prassi, e quindi faremo è un piccolo tentativo per avviarla.

Lucrezia Ercolani è nata a Roma nel 1992. Interessi e mondi diversi hanno sempre fatto parte del suo percorso, con alcuni punti fermi: la passione per le arti, soprattutto quelle dal vivo; l’attenzione per le espressioni sotterranee, d’avanguardia, fuori dai canoni. Laureata in Filosofia all’Università La Sapienza, è stata redattrice per diverse riviste online (Nucleo Artzine, Extra! Music Magazie, The New Noise, Filmparlato) e ha lavorato al Teatro Spazio Diamante. Ultimamente collabora con Il Manifesto.