Kraugé, la storia raccontata dai non protagonisti

Mag 2, 2025

Un’elegia che procede per atti, che racconta l’Italia degli ultimi 45 anni, che piange i suoi morti. La storia contemporanea di Eugenio Sideri raccontata in Kraugé – Tre tragedie moderne, edito da Pendragon e dato alle stampe in febbraio è, come spiega il docente e critico teatrale Lorenzo Donati che ne cura la prefazione, riportata nel presente perché ancora incompleta, irrisolta.

Ma soprattutto, è una storia raccontata dai non protagonisti, da chi la subisce. Le vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980, ad esempio, narrata nell’opera di apertura, Tantum Ergo, attraverso le voci di 2 delle 85 vittime, Antonella Ceci e Leo Luca Marino, coppia di fidanzati travolti dall’esplosione della bomba mentre aspettavano il treno per Ravenna. Con loro le due sorelle del ragazzo arrivate dal Sud per conoscere la sua fidanzata. 

Un oratorio civile in dodici stazioni, come in una via Crucis, in cui Sideri riprende l’approccio di Antigone delle città di Marco Baliani e Bruno Tognolini nel 1990 sulla stessa vicenda, per riportare la storia nel presente, adottando una prospettiva che parta dal basso e mostri le conseguenze che la macrostoria ha avuto nelle vite della gente comune. 

Nell’ottava stazione, intitolata anche questa Tantum Ergo, l’attrice, sollevando l’abito nuziale consegnatole da due bimbe, inveisce contro i colpevoli rimasti impuniti: Vi odio, voi uomini senza faccia, uomini senza macchia, uomini che avete le chiavi delle stanze, uomini dalle impronte su carta e carne, segni di carta e di carne, macchiati, sporchi, maledetti uomini, senza faccia… (Tantum Ergo, pag. 36)

Ma anche un omaggio al teatro industriale che ritroviamo in autori come Gerhart Hauptmann, Erwin Pescator e Bertolt Brecht, dove il lavoro è visto in tutta la sua ambivalenza: strumento di riscatto sociale ma anche di oppressione. Leo Luca, ad esempio, viene da un paesino del Sud dove vige il caporalato e dove se vuoi lavorare in regola devi andare a cercarlo altrove. Nella provincia del Nord, dove va a vivere, conosce la solidarietà cooperativa e la dignità di una giusta retribuzione. 

Vedremo però nell’opera drammaturgica successiva di Kraugé, intitolata Lo Squalo, che anche nella prospera Romagna degli anni ’80, c’è il caporalato. Qui, il 13 marzo 1987, muoiono 13 operai asfissiati dalle esalazioni di gas all’interno della stiva di una nave, in mancanza di un estintore e di qualsiasi misura di sicurezza per i lavoratori. 

Questa vicenda, considerata in retrospettiva, sembra avere qualcosa di epifanico, un’anticipazione delle ormai ripetute e sempre più frequenti morti sul lavoro che si sono susseguite negli ultimi anni, tanto da diventare nuovamente un’emergenza, in barba alle conquiste sindacali dei decenni precedenti.

…soffocati ecco così che sono morti che li han trovati alcuni che non han fatto neanche in tempo a cercare di scappare… sono morti lì dov’erano … il fumo nero che aveva invaso tutti i cunicoli là sotto la stiva li ha uccisi (Lo squalo, pag. 63)

La narrazione prende qui la forma apparente del dialogo, quello di un uomo scampato alla strage della nave perché quel giorno non stava bene e al suo posto è andato un altro collega. Si rivolge ad un’anziana donna, Betta, diminutivo di Elisabetta, lo stesso nome della nave entro cui sono morti gli operai, l’Elisabetta Montanari
Via via che lo si ascolta, però, si capisce che in realtà questa donna non esiste, sta delirando, sta semplicemente aspettando di morire. Lo squalo a cui il titolo dell’opera allude e ispirato alla scena dell’omonimo film americano di Spielberg, è l’angosciante senso di assedio che l’uomo avverte in attesa della fine, amplificato ancora di più, quando l’opera è andata in scena, dalle sonorità cupe di Fioravanti. 

Nella drammaturgia di Sideri c’è poi una volontà di rivolgersi al teatro come strumento di conoscenza che richiama l’Ascanio Celestini di Memorie di fabbrica e il drammaturgo tedesco Heiner Müller al quale Sideri ha dichiarato più volte di essersi ispirato, anche per il suo metodo di lavoro, che è quello di costruire le drammaturgie a partire da articoli di giornale.Microstorie accatastate l’una sull’altra che ad un certo punto iniziano a riecheggiare dentro e con le quali si entra in connessione e si intuisce che si è aperto un guado per iniziare a scrivere.

Potrà essere un’invettiva, un lamento pieno di rabbia (Kraugé, appunto), una preghiera, una fredda lista di nomi o di eventi, o un dialogo surreale col proprio angelo custode come avviene nell’ultima opera, l’inedita Quasi una farsa (italiana), forse la più tragica perché qui non ci sono più nemmeno le azioni, ma solo gli stasimi del coro, come avveniva nell’Antica Grecia. Ma cosa commentare, su cosa riflettere se tutto è già avvenuto? 

Rimane allora l’importanza della memoria collettiva, anche e soprattutto attraverso il teatro civile, che continua a voler mantenere vivo il dialogo con la storia, malgrado la sua ineluttabile coazione a ripetersi ciclicamente con l’insensatezza delle guerre e delle sopraffazioni. 

Con Kraugé, Sideri dichiara, alla fine del libro,  di avere concluso un ciclo iniziato con il primo e finora unico romanzo, Ernesto faceva le case, del 2021, in cui racconta la storia di una famiglia contadina tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, percorso da sconvolgimenti sociali e politici concomitanti alle due guerre e proseguita con Calēre, del 2022, dedicata a Pier Paolo Pasolini, che  tra i primi intuisce contraddizioni, insidie e ambiguità del miracolo economico e della società industriale. 
Calēre rappresenta così l’anello di congiunzione tra il periodo post bellico, carico di spinte ideologiche raccontate nel romanzo, dove i personaggi sono ancorati ai valori della civiltà contadina ormai al tramonto e la crisi irreversibile che risuona invece in Kraugé

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