Kepler-452, Gli Altri: un breve intervallo

Lug 13, 2023

Articolo a cura di Francesca Lupo

La rabbia ha il suono metallico di una voce sfinita e strascicante che riecheggia tra il microfono sull’asta e l’archetto indossato da Nicola Borghesi. Gli manca il fiato come manca agli spettatori in sala, così non importa se qualche parola non si riesce ad afferrare. Anzi: siamo arrivati quasi alla fine dello spettacolo, probabilmente non c’è miglior epilogo di queste sillabe divenute suono indistinto. Durante la rassegna estiva InChiostro organizzata dall’Arena del Sole di Bologna, il 4 luglio va in scena Gli Altri. Indagine sui nuovissimi mostri, uno spettacolo dei Kepler-452 con la drammaturgia di Riccardo Tabilio. Il debutto, con Borghesi in scena, avviene nel maggio 2021, ma è un’altra la data in cui tutto ha inizio. Il 29 giugno 2019 Carola Rackete, capitano della Sea-Watch 3, sbarca nel porto di Lampedusa con 42 naufraghi, dove viene arrestata. Sul palcoscenico un proiettore ci mostra il video ormai celebre, mentre Borghesi avvicinandosi al microfono sull’asta ripete gli insulti che si sentono in sottofondo per portarli all’attenzione dello spettatore. Parole oscene contro Rackete e i naufraghi. 

Parole che né Borghesi né il pubblico in sala si sognerebbero forse di pensare. Eppure, è proprio degli altri che questo spettacolo parla, perché questi famigerati “altri”, al contrario di persone come Borghesi e il pubblico, sanno fare gruppo, sanno diventare un “noi”. Per provare a comprenderli davvero, suggerisce Borghesi, è necessario che tutti credano in un noi, per capire cosa si prova ad urlare oscenità simili, molto vicine a un pensiero retrogrado, di questi tempi preponderante. Così tutto l’uditorio inizia a battere le mani, a intonare in coro «venduta», di sottofondo agli sproloqui che Borghesi riporta dal video. Ma tra le tante voci del video dell’arresto, ce n’è una più toccante delle altre. 

Quella del giovane Mario Lombardini, l’attore-mondo protagonista di questo spettacolo, che seppure un corpo in scena non ce l’abbia, è tangibile più di chiunque altro. Borghesi ce lo presenta completo dei suoi dati anagrafici, analizza il suo profilo Facebook, si riesce addirittura a donargli sommariamente un volto, una voce. Perché Gli Altri è una avvincente caccia all’uomo, al rapporto che Borghesi prova a intessere con Lombardini, una delle tante voci che quella notte del 2019 insultarono Rackete al porto di Lampedusa, una delle più forti, perché persino la stampa si volta ad ascoltarlo, vedendovi un prelibato scoop. Anche Borghesi sembra cascarci, vorrebbe cucirgli addosso un nuovo spettacolo della compagnia. Racconta di come riesce a pattuire una telefonata in pochissimo tempo ma alla quale il ragazzo non risponderà se non dopo molto tempo. Viene mostrato un video che documenta quella telefonata, mentre viene registrata. 

Lombardini spiega il suo gesto, che avrà vissuto con una incredibile adrenalina nel momento in cui l’attività più entusiasmante di un giovane nato a Lampedusa consiste ne «il giro in macchina», ovvero mettersi alla guida con la musica ad alto volume, percorrendo tutto il perimetro dell’isola. «Che cazzo di divertimento è?» risponde Borghesi ridendo. Poco dopo realizza che alla fine la differenza tra la strada che percorre Lombardini in una piccolissima isola nel Mediterraneo non è tanto diversa da una ad alta velocità in Emilia-Romagna: sono entrambe degli acquari, ma di diverse dimensioni.

«È difficile dire io», è uno dei ritornelli di Borghesi. Io esisto perché esistono gli altri, che mi riconoscono, che mi interpellano, e io con gli altri sono altre persone, tante altre persone. Il proprio io è composto da tutti gli altri io che si indossano con gli amici, i familiari, in fila alle poste. Quindi, come è possibile parlare degli altri senza parlare di noi stessi? Il pubblico dell’Arena del Sole è molto vicino ai Kepler, li supporta, basti notare il nutrito numero di gente che scompone l’assetto informale del chiostro (quattro sedie attorno a un tavolo) per ristabilire una platea; sta per scendere il buio in sala quando si sono già create le prime tre file, tutte compatte e allineate, una muraglia invalicabile. Sono pronti a recepire la richiesta di interazione ancora prima che venga pronunciata, colgono dei veri e propri inside joke che riguardano vecchi spettacoli e quindi vecchie battaglie che strizzano l’occhio al pubblico, ma con particolare trasporto a quello specificatamente bolognese. 

Tutt’intorno si nota ciò che i Kepler-452 dal 2015 seminano e continuano a raccogliere, ovvero l’idea del teatro come cornice, perché il vero teatro è già per strada, là fuori. Il teatro è la GKN, è FICO, è Mario Lombardini che dà della troia a Carola Rackete perché è un naufrago tanto quanto quelli salvati dalla Sea-Watch. Mario Lombardini affoga nella melma dell’apparente benessere dell’Occidente. Borghesi fa fatica a dire io perché alla fine nell’io composto dagli altri io c’è anche Lombardini. «Un disastro aereo» come molti altri, o come tutti noi.

Le storie e la Storia. I Kepler condividono con molti colleghi internazionali la cifra del reality trend, di certo divenuta anche una moda del nostro tempo, interpretabile come una spasmodica ricerca di qualcosa sempre più vera della realtà che ci circonda, che evidentemente non ci soddisfa più. D’altra parte, sarebbe assurdo non notare quanto per il linguaggio teatrale una tensione simile sia incredibilmente necessaria sia da un punto di vista prettamente artistico, che sociale. Un servizio pubblico simile a quello che fornisce una puntata di Report o la prima pagina di un giornale. Così, dal particolare dei due personaggi della storia ci muoviamo verso il generale, verso la Storia. 

Con foga quasi disperata Borghesi commenta le date proiettate alle sue spalle, date salienti, spesso precise, punti di svolta della contemporaneità, davanti alle quali l’essere umano vacilla, perché ha definitivamente perso il controllo di tutte le azioni che ha compiuto. Si parte dalla morte di dio annunciata da Nietzsche alla fine dell’Ottocento, passando per Hiroshima e Nagasaki nel 1945, per concludere proprio nel 2020, in cui l’uomo è diventato potenzialmente una minaccia nei confronti del suo simile al supermercato, per strada, nei palazzi, nei bar; semplicemente perché esiste. E adesso che si fa?

Niente di diverso rispetto al solito. Sul palcoscenico Borghesi sino ad ora ha retto uno specchio sul quale si è riflesso insieme al pubblico. Adesso obbliga tutti ad attraversarlo. Si è riso molto di Lombardini, della didascalica immagine di copertina del suo profilo Facebook (una pizza, dato che è un pizzaiolo), di post motivazionali e di commenti poco edificanti sui migranti che rubano il lavoro. Il fiato ora si mozza, mentre sulle note di A New Error dei Moderat Borghesi ripercorre alcune tappe dell’età contemporanea, ricordandoci che siamo tutti spacciati. Fa una pausa tecnica, giusto per bere dell’acqua, per riprendere fiato. 

Al posto delle date viene proiettata a tutto schermo la parola «intervallo». Borghesi afferma che sì, ci sarà un piccolo intervallo e non solo per permettergli di riposare dopo quel momento particolarmente evocativo. Ricorda che la soglia dell’attenzione ad oggi si è vertiginosamente abbassata ed è proprio per questa ragione che gli spettacoli di teatro contemporaneo ormai non superano la durata di un’ora e un quarto. Inutile dire che le motivazioni sono i continui stimoli a portata di cellulare, che sta proprio nelle tasche degli spettatori, anche in platea. Da artista detesta notare dal palco i volti degli spettatori fievolmente illuminati dai cellulari. Eppure, confessa che da spettatore, invece, trascorsi quasi cinquanta minuti inizia a chiedersi se qualcuno lo abbia cercato, in qualsiasi modo, attraverso qualsiasi piattaforma, per il motivo più futile o più urgente: ecco allora che in questi casi furtivamente sporge una parte dello schermo fuori dalla tasca, sperando che nessuno se ne accorga. 

Così questa volta ha deciso di inserire proprio durante lo spettacolo un momento ricreativo per lo scrolling, piaga del mondo contemporaneo, bestia infernale assetata del tempo limitato dell’essere umano, capace di far trascorrere un’ora e mezza in un battito di ciglia. Si siede sul limitare del palco, le gambe penzoloni, estrae dalla tasca il suo cellulare. Il pubblico lo guarda attonito ma lui li esorta, non sta mica scherzando! È permesso fumare, non comunicare. È un momento di raccoglimento, lo scrolling non si fa mica in compagnia. Anche, certo, ma non si commenta. 

Viene allora proiettato un cronometro impostato su cinque minuti. Borghesi rimane comunque attento a riprendere chi non sta rispettando le regole o chi addirittura si rifiuta di sbloccare il cellulare. Il pubblico ride: forse imbarazzato, forse si immagina di aver appena ascoltato la più grande verità che nessuno ha mai avuto il coraggio di ammettere in pubblica piazza. Non si è arrivati neanche ad un minuto di completo silenzio. L’intervallo finisce e si riparte forse dal momento più struggente dello spettacolo. Borghesi ci rincuora: comunque è quasi finito.

Un escamotage drammaturgico d’impatto, che pone la questione su quanto sia ancora necessario guardarci intorno, come se non ne avessimo già contezza. Anzi, si potrebbe riflettere sul fatto che ormai da tempo non si faccia altro che guardarsi, che dirsi che il mondo è già finito da un pezzo, che tutto è morto, e che anche questo è forse a sua volta diventato un ritornello. Allora queste provocazioni, questi attraversamenti di specchi, potrebbero essere nuove occasioni di consapevolezza, perché nonostante il mondo stia finendo, siamo ancora qua. Io, noi e gli altri siamo ancora qua.
Perché a lungo andare (se non si è già arrivati a questo punto) quelli che stanno bene, quelli che hanno la fortuna di avere degli intervalli, addirittura più d’uno durante la stessa giornata, non distingueranno più la campanella della ricreazione da quella dell’inizio delle lezioni. Che necessità si avrà di un intervallo sulla breve storia di Mario Lombardini, che percorre da Lampedusa a Milano lo stesso numero di chilometri di quelli impiegati da quelli che il 29 giugno 2019 ha chiamato «negri» per raggiungere da casa loro la sua piccola isola? Che cosa importerà a noi di sapere della vita de Gli Altri?

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