Vincitori con lo spettacolo “Victor” del Premio delle Giurie della IV edizione di Direction Under 30, intervistiamo la regista Alessandra Ventrella e l’attore Rocco Manfredi, fondatori nel 2014 della compagnia DispensaBarzotti. Li abbiamo visti in scena durante le ultime due edizioni del festival organizzato dal Teatro Sociale di Gualtieri dove hanno lasciato un segno indelebile nella memoria di spettatori e addetti ai lavori per la raffinatezza poetica e la ricerca stilistica che contraddistinguono i loro lavori nell’ambito del teatro di figura rendendoli uno dei più promettenti nuclei artistici all’interno del panorama italiano “under 30”.
Quali sono stati i momenti e gli incontri decisivi per la vostra formazione artistica?
I tre anni della nostra formazione alla Scuola Paolo Grassi, quando abbiamo conosciuto le opere di Antonin Artaud, Tadeusz Kantor, Samuel Beckett e Harold Pinter. Più avanti quando abbiamo deciso, anche se inconsapevolmente, di abbandonare la parola scoprendo compagnie che lavoravano con un teatro pieno di immagini: compagnia Riserva Canini, Teatrino Giullare, Philippe Genty, Cie 14.20, Cie 111, Etienne Saglio, Slava, Peeping Tom e molti, molti altri. La partecipazione a laboratori e la più assidua possibile frequentazione delle sale teatrali e dei loro misteri ci continua a formare.
Da qui l’interesse e lo studio per la scenotecnica e la macchineria teatrale che riescono a fondere in alcuni “effetti” grandi emozioni. Effetti mai fini a sé stessi, ma progettati e costruiti per regalare atmosfere indicibili.
Altro passo fondamentale per la creazione del nostro (ancora piccolo) pensiero è stato il nostro primo lavoro: “La morte tifa Barbie” con il quale in vari mesi abbiamo attraversato l’Italia venendo a contatto con i pubblici più disparati, con esigenze e modalità di relazione differenti ogni volta. Ci ha fatto capire quanta potesse essere la gioia di “conquistare” realmente un pubblico di non addetti ai lavori, di gente che per caso passava da quella via o da quella piazza e rimaneva incantata solo per un momento o per tutto lo spettacolo. Il pubblico di bambini che di solito s’illude e si meraviglia di gran lunga di più del pubblico adulto ci ha fatto capire che, per noi, l’obiettivo primario è aprire uno squarcio dove la realtà possa per un poco non esistere più. Un processo in qualche modo catartico.
Sia Homologia (segnalazione speciale Premio Scenario 2015 ndR) da “Cose che parlano di noi. Un antropologo a casa nostra” di Daniel Miller, sia Elogio dei manichini dall’omonimo racconto di Bruno Shulz, si basano inizialmente su un dato letterario: in che modo declinate la parola attraverso l’utilizzo delle tecniche e degli elementi performativi del teatro di figura?
Testi non teatrali ci hanno aiutato a ricercare una poetica, esigendo da noi una grande attenzione nella creazione di un linguaggio personale. I materiali di partenza che per ora abbiamo toccato hanno intercettato quasi naturalmente immagini, atmosfere, esigenze ed emozioni che stavano dentro di noi prima del teatro, come persone, e che avevamo l’urgenza di raccontare. Per adesso approcciarsi ad un testo non teatrale è stato come gettare un’ancora: iniziamo le prove e attraverso improvvisazioni riusciamo a vedere fin dove le cose possono spingersi, cercando di tenere sempre ben saldi i punti di partenza. Ma arriva un momento in cui ci perdiamo, ed è allora che torniamo al testo, rielaboriamo ciò che abbiamo fatto e spesso troviamo risposte o altre domande.
In Victor quali sono le tematiche che avete affrontato a partire da “Frankenstein” di Mary Shelley? Come si è strutturato il lavoro di ideazione e creazione dello spettacolo?
Partiamo dalle immagini e dalle atmosfere che sentiamo vicine e dalle emozioni e dalle visioni che scaturiscono dalla lettura. Abbiamo cercato di attraversare degli stati emotivi attraverso un lavoro di improvvisazione. Improvvisazioni che venivano sempre piú “guidate” nel senso che mettevano in campo oggetti e immagini che ci parlavano e che quindi erano per noi irrinunciabili. Siamo partiti riflettendo sulla parola “creazione”. Ci siamo interrogati su che cosa significasse per noi creare e come spesso in noi e tra di noi si creino dei “mostri” che non avremmo mai desiderato creare. Come spesso rinchiudersi nella nostra passione ci faccia allontanare dagli affetti del presente. Siamo arrivati a immaginare il paradosso di rinchiudersi in una stanza per creare la maschera del volto di una nonna che però è nell’altra stanza, ancora viva, che aspetta che tu esca da lì per abbracciarti. Abbiamo pensato tanto alla mancanza.
Ci sono persone che ci mancano terribilmente e che cerchiamo in tutti i modi di tenere legate a noi e persone di cui cerchiamo di colmare la mancanza in tutti i modi. Abbiamo pensato all’abbandono, che fa piangere tutti. Non accettare la fine. Voler ridare vita e anima a tutto. Abbiamo tentato di dipingere il ritratto dell’interiorità di Victor. Ci siamo lasciati guidare dalle immagini, dalle visioni e dalla musica. Ci ha colpito molto il rapporto tra Victor ed Elizabeth, sorella e amante. Il rapporto con la sua creatura. Il rapporto con la famiglia, con gli amici, con tutti gli affetti che lui abbandona dopo la morte della madre. Gli incubi, la paura che diventa malattia. La solitudine di cui ci si libererà, forse, in un’altra vita.
Quali saranno i progetti che vi vedono protagonisti nel prossimo futuro?
Siamo entrambi amanti dei libri illustrati, quindi forse sarà questo il prossimo materiale di partenza. Sentiamo pulsare sempre di più il desiderio di lavorare con la musica, un compositore, degli strumentisti. C’è da un po’ l’idea di creare uno spettacolo concerto…
Uno dei grandi sogni che abbiamo nel cassetto è quello di riuscire a rendere questo lavoro sostenibile. E questo, nel periodo in cui viviamo, è forse una delle più grandi sfide che possiamo porci.
Che impressioni ed emozioni riportate a casa dall’esperienza di Direction Under 30?
Portiamo a casa delle osservazioni e delle critiche meravigliose, uno scambio reale con il pubblico e con le altre compagnie, degli sguardi e delle parole preziose che ci danno molta forza per andare avanti a lavorare.
Redattore