Il Verbo degli Uccelli e la grande casa senza muri del Cisim

Giu 1, 2023

Ravenna Festival apre le porte dell’edizione 2023 partendo dalla periferia, con lo spettacolo itinerante e multidisciplinare Il Verbo degli Uccelli, al Cisim di Lido Adriano (Ravenna). Il poema di Farid Ad Din Attar, composto attorno al dodicesimo secolo e adattato drammaturgicamente dallo scrittore algerino Tahar Lamri su musiche rap di Lanfranco Moder Vicari e diretto da Luigi Dadina, cofondatore del Teatro delle Albe e dallo stesso Vicari, si svolge dal 28 maggio al 2 giugno in una delle località più multietniche e variegate della provincia, coinvolgendo oltre 200 persone tra musicisti, attori , autori delle arti figurative, ma anche tante persone comuni.

Proprio nell’ambito del Cisim, infatti, nato come centro di mosaico e trasformatosi negli anni in associazione culturale in cui confluiscono da oltre 10 anni le attività laboratoriali e performative che ruotano intorno alla musica rap, al teatro di ricerca e alla volontà di dar vita ad un grande teatro popolare capace di crescere e raccogliere intorno a sé un’intera comunità, il progetto si realizza dopo l’attività laboratoriale che per sei mesi ha coinvolto i partecipanti, diversi per età, provenienza e abilità artistiche.

Come racconta Dadina la genesi del progetto risale ad una trentina di anni fa “quando ho iniziato ad attivare laboratori che di fatto non hanno mai avuto fine, avendo avuto un immediato riscontro. Il grande fermento creativo iniziale si è rafforzato in seguito, a partire dal 2010, attraverso l’incontro con Il lato oscuro della costa, gruppo musicale fondato da Vicari e la sua attività al Cism focalizzata principalmente sulla realtà dei rapper che negli anni si è sviluppata interfacciandosi anche con altre discipline. È stato naturale, dopo aver visto crescere la comunità, aver desiderato raccoglierla intorno ad un luogo che ha in questo spettacolo la prima tappa di un progetto corale e pluriennale del Grande Teatro di Lido Adriano”.

Ma il Cisim, proprio per la sua vocazione spiccatamente musicale e nello specifico di musica rap, come riesce a far dialogare questo genere musicale con la mistica sufi del poema di Ad-Din-Attar essendo entrambe espressioni artistiche fortemente identitarie?

Il Cisim ha sempre avuto una natura aggregativa – spiega Vicari in un luogo periferico e a rischio di degrado sociale. Pensiamo che questo progetto sia figlio di tanti linguaggi diversi e che il rap sia stato quello più azzeccato per aprire le porte di questo posto, dialogare e proporre iniziative. Riguardo il rapporto tra rap e poesia e il modo in cui intrecciarli, non dimentichiamo che il rap, considerato al di fuori del genere autoreferenziale, è una tecnica di canto, una forma di cantautorato, In questo contesto, che è quello di rispondere ad una richiesta drammaturgica precisa, ho potuto contare sull’ispirazione che mi hanno regalato sia le musiche di Francesco Giampaoli, sia la presenza quotidiana dei ragazzi che ogni giorno venivano al Cisim a fare le prove e a realizzare l’allestimento.

Sul piano strettamente musicale ho avuto la possibilità di sperimentare la bellezza della perfetta corrispondenza tra parole e musica in un rapporto di 1 a 1 e non è una cosa scontata, visto che spesso la musica ha tempi dispari rispetto al testo e questo complica le cose. Spesso poi è la voce che guida, mentre qui abbiamo scoperto quanto le parole e il testo drammaturgico adattato da Tahar Lamri fossero in dialogo tra loro e nello stesso tempo ognuno di noi stesse nelle propria parte, proprio come avviene in un’orchestra, ed è stata un’esperienza inedita.

“Sappiamo da sempre –   aggiunge Tahar Lamri – che il teatro è ontologicamente, etimologicamente il luogo della visione, dove un individuo guarda un altro individuo mettendosi in relazione con esso, da qui direi che il Cisim rappresenti il luogo ideale perché teatro delle origini. La musica e il canto sono fondamentali nel teatro che stiamo costruendo perché rimandano all’idea di collettività e di totalità. Quando ho proposto a Lanfranco Moder dei testi sufi da rielaborare in chiave rap, operazione che, per quanto io sappia, non ha tentato nessuno prima, lui non ha avuto alcuna esitazione. Così al Cisim nasce il Sufi-Rap, forse proprio grazie a queste ferme identità che dici”.

Sono presenti anche dei cori. Perché questa scelta?

“Tutti noi – dice Vicari –  siamo cresciuti artisticamente nell’ambito dei laboratori della non scuola di Martinelli e Montanari del Teatro delle Albe, in cui il coro ha sempre avuto un ruolo essenziale, richiamandosi al teatro greco. In questo spettacolo il coro rafforza il desiderio di appartenenza e al tempo stesso di riconoscimento della peculiarità di ciascuno. Il nostro è un coro di corpi più che di sole voci, che risponde al voler esserci tutti, senza lasciar indietro nessuno, in questo viaggio di ricerca spirituale che racchiude il poema. L’etica che guida questo progetto trova nel coro l’idea di teatro che volevamo esprimere, un teatro che rende visibile le differenze e al tempo stesso le annulla, un teatro in cui siamo sempre tutti insieme in scena”.

Il testo portato in scena, come racconta Tahar Lamri, è un poema sapienziale, dal titolo Mantiq At-Tayr – Il Verbo degli Uccelli. “Gli uccelli, riunitisi in gruppo, sentono la necessità di avere un re, una rappresentanza. L’upupa li informa che il re esiste e si chiama Simorgh. Ma lo si deve andare a cercare, iniziare un viaggio attraverso sette valli, quella della Ricerca, dell’Amore, della Comprensione, dell’Indipendenza, dell’Unità, dello Stupore e della Povertà per riuscire a trovarlo. Alla fine solo trenta di loro raggiungono la méta per scoprire che il Simorgh è in realtà uno specchio in cui si riflette la loro immagine. Il fine del viaggio, quindi, è la ricerca di se stessi”.

Cisim
Ph Nicola Baldazzi

L’opera di F.A.D.Attar mette in campo tanti temi, dal viaggio, sia fisico che spirituale, alla consapevolezza di sé e del mondo circostante, al bisogno delle persone di messaggeri e guide. Il teatro (e le arti in generale) è l’upupa?

“Non so se possa esserlo per altre persone – dice  Vicari –  per me sicuramente lo è stato e lo è per chi ha a cuore questi temi. Le arti lo sono state sicuramente in passato, quando forse le regole del mercato discografico-musicale incidevano meno. In quest’opera c’è il richiamo ad annullare il proprio egocentrismo, la parte più gretta dell’Io, per raggiungere il Dio che è in noi e negli altri. Questo spettacolo per me è stata un’esperienza molto forte che mi ha riavvicinato alla spiritualità, proprio attraverso il cammino percorso insieme ad altre persone in questi mesi. Vorrei che l’arte scendesse dal suo piedistallo e ritornasse a mettere i piedi nel fango e a interagire con le anime. Un’arte che possa avere una casa senza muri, proprio come stiamo cercando di fare qui, con il Grande Teatro di Lido Adriano che sta nascendo e unisce persone diverse per etnia, età anagrafica e vicissitudini. Compresa quelle dell’alluvione e del lutto che ha coinvolto tre dei nostri ragazzi che tuttavia hanno continuato a venire e sono stati ospitati, durante l’emergenza, da altri partecipanti”.

Tahar, vuoi parlarci dell’adattamento drammaturgico del poema? Quando lo hai letto per la prima volta e cosa ti aveva colpito in particolare?

“Io ho letto il poema la prima volta forse a 12 o 13 anni, in arabo. Lo lessi allora come si leggono le Mille e una notte. Un’opera spassosa e priva di qualsiasi connotazione religiosa: il sufismo permette una lettura di questo tipo. La nostra lettura, in Oriente, rifugge da introspezioni, dalle ricerche di senso tipicamente occidentali e diffida dai maestri e dalle guide. L’upupa qui diventa guida soltanto in virtù dei poteri conferiti da re Salomone. Quando in Italia il poema lo propose Nicola Montalbini per farne uno spettacolo, l’ho riletto in italiano e ho pensato subito al viaggio, presente nel libro, benché non sia il tema principale. Il libro è piuttosto una conferenza, non a caso l’opera in altre lingue viene tradotta come Conferenza degli Uccelli. Quindi il primo aspetto da affrontare era come rendere questa conferenza un racconto dinamico di viaggio.

Un ulteriore aspetto erano le tante storie che l’upupa narra agli uccelli, alcune delle quali fondamentali per comprendere il testo. Alcune le ho nascoste nelle pieghe dei dialoghi fra uccelli, altre, assieme a Luigi Dadina, abbiamo scelto di affidarle ai narratori. Nella tradizione islamica, accanto alla simbologia del volo, c’è una forte simbologia associata al canto degli uccelli, anzi al Manti qat-Tayr, cioè la lingua degli uccelli, intesa come lingua altra rispetto a quella umana, una lingua del cuore, un codice di comunicazione con il sovrasensibile”.

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