Dimitri/Canessa e Altre Tracce sono due compagnie che annoverano tra le proprie produzioni spettacoli di Teatro per l’Infanzia. Una “categoria”, questa, che ancora troppo spesso subisce il malinteso di rivolgersi a una platea di sole bambine e ragazzi e che invece è il teatro tout-court per eccellenza. Fare Teatro Ragazzi allora significa interrogarsi sui linguaggi, su un utilizzo democratico del corpo e della parola ma significa anche lavorare in contesti produttivi e distributivi indubbiamente faticosi.
In questa intervista Elisa Canessa – fondatrice nel 2013 con Federico Dimitri di Dimitri/Canessa, compagnia operante nell’ambito di danza, teatro e performance, attiva da alcuni anni nel Teatro per l’Infanzia – e con Valentina Maselli – attrice, regista e pedagoga teatrale della compagnia Altre Tracce, cofondata con l’attore Massimo Zatta – raccontano esordi e poetiche dei rispettivi ensemble, affrontando importanti questioni di sistema a partire dalla propria esperienza artistica.
La produzione di Dimitri/Canessa porta il segno della sperimentazione che avete orientato contestualmente al teatro e alla danza. In che modo si è sviluppata e sedimentata la vostra ricerca artistica?
Elisa Canessa: Io e Federico Dimitri adoperiamo più tipi di linguaggio: sia più propriamente legati alla danza e alla fisicità, sia al teatro di parola. Entrambi abbiamo un’idea del teatro meno definibile, per me il teatro è un’arte a trecentosessanta gradi. La distinzione tra danza e teatro l’ho sempre trovata molto razionale, per me poco di cuore.
La nostra è una scelta spontanea, sicuramente nel tempo siamo partiti da lavori più smaccatamente di teatro fisico, teatro poetico come lo si vuol definire. Io aborro tutta questa settorialità.
Questo atteggiamento scaturisce anche dal legame che abbiamo comunque con Sosta Palmizi da sempre. Loro sono stati dei genitori per noi. Nel tempo ci stiamo spostando verso una modalità più esplicita, nel senso positivo della parola, pur non abbandonando mai il corpo, che ci radica a terra soprattutto nelle produzioni del contemporaneo. Questo vale per spettacoli come Ad esempio questo cielo o Geppetto 201, due lavori dove la parola in realtà è più che portante.
A 10 anni dalla fondazione, la vostra compagnia vanta importanti riconoscimenti per quanto concerne la produzione spettacolare ma anche l’attività in ambito formativo. In che modo la formazione influenza la creazione artistica?
E.C.: Abbiamo un gruppo con varie specificità con cui portiamo avanti un laboratorio permanente di teatro, non workshop intensivi ma appuntamenti settimanali. Rifiutiamo l’idea della scuola di teatro, del corso di teatro, abbiamo, appunto, un gruppo di ricerca per quanto anche questo termine rimane un po’ desueto, costituito da persone che coinvolgiamo nei processi di lavoro come fossero parte di una grande compagnia.
All’interno del gruppo ci sono persone con gradi diversi di esperienza e questa cosa per noi ha un grande valore. Si lavora di volta in volta su tematiche diverse, poi quando il lavoro viene inquadrato, consapevolezza che acquisiamo insieme ai partecipanti, allora si decide se aprirlo al pubblico.
Negli ultimi due anni ci siamo ritrovati a operare in modo di particolare e inaspettato: abbiamo lavorato sia come compagnia sia con il laboratorio sullo stesso testo, da una parte regia mia con due attori in scena, che è Geppetto 201, dall’altra con sedici persone in scena e con regia di entrambi ma seguita principalmente da Federico. Maneggiare lo stesso materiale poetico ma declinarlo in due modi completamente diversi è stata una bellissima esperienza.
Parte della vostra attività è dedicata al Teatro per l’infanzia che, durante la pandemia, è stato uno dei comparti più colpiti del settore. Sono trascorsi tre anni, qual è la situazione oggi?
E.C.: Ci siamo affacciati al mondo del teatro per l’infanzia tramite Sosta Palmizi, con due produzioni in cui non abbiamo dovuto occuparci né degli aspetti produttivi né degli aspetti distributivi. Per quanto riguarda invece L’orso felice, prima produzione di Dimitri/Canessa per l’infanzia, ho percepito due grandi opposti. Da una parte c’è una grandissima sorpresa per l’accoglienza ricevuta, non avendo un reale storico come compagnia nel mondo del Teatro Ragazzi. Sono davvero felice delle possibilità che ci sono state date, grazie a Inbox e a una serie di altre realtà che ci hanno contattato successivamente. Mi sembra quindi, a differenza di quanto riscontro nel mondo del contemporaneo, che L’orso felice sia uno spettacolo che funziona e che ha la possibilità di girare.
Spesso ci troviamo con degli spettacoli che quando vengono visti sono molto apprezzati ma finiscono per avere poca distribuzione.
Dall’altro lato ci tengo a sottolineare che le economie legate al mondo del Teatro Ragazzi sono davvero esigue. Non capisco perché il Teatro per l’infanzia venga considerato come teatro di serie B, anche dal un punto di vista produttivo e di cachet. Perché uno spettacolo di Teatro Ragazzi lo paghi la metà dello spettacolo contemporaneo se le prove che hai fatto son le stesse, lo spettacolo ha la stessa durata? Rimane per me un grande mistero.
Rimanendo su questioni di sistema, data la vostra esperienza di lavoro all’estero, ci sono dei modelli di distribuzione e di produzione che sarebbe utile a vostro avviso esportare o a cui rifarsi?
E.C.: Noi possiamo parlare per conoscenza diretta della Svizzera che è effettivamente il paese con cui abbiamo molte relazioni e che per fortuna da qualche anno co-produce i nostri lavori per il contemporaneo. La Svizzera ha un meraviglioso sistema di produzione, si riesce ad accedere rapidamente ai finanziamenti che sono molto più accessibili anche a livello burocratico.
La compagnia che ci sostiene riesce a co-produrci in modo molto agevole, riceve finanziamenti per la produzione. Per quanto riguarda la distribuzione la situazione lì è altrettanto difficile che in Italia, c’è molto impegno finalizzato a sostenere la produzione degli spettacoli, succede però che lo spettacolo rimanga in replica quindici giorni nel proprio teatro e poi spesso finisce lì.

Quali sono stati gli esordi di Altre Tracce? Come si è strutturata nel tempo la vostra modalità di lavoro e intorno a quali tematiche vi interrogate?
Valentina Maselli: La compagnia è stata formata da me e Massimo Zatta. Ci siamo conosciuti nel 2013, per uno spettacolo di cui curavo la regia e in cui lui lavorava come attore. Avevamo entrambi il desiderio di incontrare persone con cui condividere un percorso e abbiamo deciso di prendere uno spazio, in provincia di Varese, che è diventato la nostra casa. Lì abbiamo lavorato a Parole parole parole, il primo spettacolo di compagnia, di cui è entrato a far parte anche Antonio Brugnano. Siamo partiti dall’idea di un albo illustrato, ci piacciono le tematiche legate alla parola.
Nel 2018 Parole parole parole è arrivato in finale a Inbox. Pur non avendo vinto, per noi è stata una grande soddisfazione. A muoverci è sempre un’urgenza, motivo per cui abbiamo fatto pochi spettacoli. Ci ripetiamo di fare qualcosa quando abbiamo davvero qualcosa da dire.
Ci siamo sempre trovati in accordo sulle tematiche da trattare. Io e Massimo teniamo laboratori nelle scuole, lavoriamo molto con i bambini e quello che ci contraddistingue è l’intenzione di non trattarli come tali. Abbiamo la cura che si deve avere di fronte a una vita che sta cominciando senza mai pensare che alcune tematiche siano più fruibili per i bambini e altre per gli adulti.
Per esempio, Storia di Nina è lo spettacolo con la tematica più difficile: la tristezza, la depressione, la difficoltà. Sono tematiche che i bambini attraversano pienamente, ci sembrava anzi a un certo punto che questo continuo ricordare ai bambini la felicità, di dover essere felici, stesse diventando una spinta che li mortificasse.
D’altronde, se tutto il mondo ti dice che devi essere felice e tu ti senti triste, il rischio è che poi ti senti sbagliato. Invece i bambini proprio come i grandi passano momenti di difficoltà.
Lo stesso discorso vale per Parole parole parole che riflette sul perdono. Per rendere questo sentimento abbiamo utilizzato un gioco per cui, nel mondo in cui sono immersi i due personaggi, per poter parlare si devono comprare le parole.
C’è quindi una differenza sociale tra chi è ricco, e può permettersi di dire ciò che vuole, e chi è povero. Il rapporto che lega questi due personaggi è di profonda amicizia, devono trovare una soluzione per fare pace se litigano e come si fa se non si riesce a comunicare?
Abbiamo presentato i nostri lavori a Inbox Verde perché abbiamo considerato i nostri spettacoli adatti anche a un pubblico di bambini. Di fatto, però, quando mandiamo in giro il nostro materiale lo etichettiamo come tout public.
Semplicemente penso che il Teatro Ragazzi permetta una libertà maggiore perché si può usare anche la dimensione del sogno, dei linguaggi che parlano una parte più intima dell’adulto. Ciò che ci muove è riuscire a parlare a tutti e a tutte.
Come avviene il processo di scrittura dei vostri spettacoli e come la scrittura si innesta, e al contempo, si forma nella compresenza delle diverse tecniche che utilizzate. Nel caso specifico della drammaturgia, leggevo della “drammaturgia popolare” di Come bambini, un processo di ricerca lungo 5 anni in cui avete raccolto una grande mole di materiale con il diretto coinvolgimento del pubblico.
V.M: Quello è stato un progetto difficilissimo dal punto di vista emotivo, perché i contributi che abbiamo ricevuto erano molto variegati: c’è chi si è molto divertito a immaginare tutto ciò che poteva chiedere e a Babbo Natale e c’è chi la cosa l’ha presa molto seriamente, per cui ci sono arrivati dei gran pugni nello stomaco.
Quando immagini che tutto sia possibile, ti chiedi cose che hanno un peso. Difficilmente sono arrivate richieste materiali, molto più spesso erano cose molto intime.
Usiamo tantissimo la scrittura di scena a partire dal materiale raccolto: nel caso di Parole parole parole un albo illustrato, per Storia di Nina una piccola storia che avevo scritto io e in Come bambini, invece, appunto il punto di partenza sono state queste lettere.
Selezioniamo il materiale, poi di solito scrivo una sorta di canovaccio intorno al quale chiedo agli attori di improvvisare, così di giorno in giorno si crea il copione.
Ci concediamo il grandissimo lusso di costituire uno spazio e il tempo senza metterci fretta.
Volendo fare un discorso di sistema, il fatto di lavorare con queste tempistiche e di non avere una proposta bulimica di spettacoli, come vi posiziona secondo la vostra percezione all’interno dell’ambiente?
V.M: Molto male. Siamo quattro liberi professionisti, è entrata anche Elisa Rossetti nella compagnia che non è neanche formata legalmente.
Quest’anno siamo stati a Inbox come osservatori, abbiamo fatto parte della giuria di qualità, e non c’è stato un operatore che non abbia chiesto notizie sui nuovi lavori.
Abbiamo scelto di non istituirci come compagnia, non possiamo pensare di stare dietro ai bandi ministeriali, a cercare sempre sovvenzioni, perché è un lavoro che porta via tanto tempo e energie. Abbiamo questo spazio salvifico che ci permette di creare. Nell’atto creativo siamo persone felici, poi ci scontriamo continuamente con il sistema. Storia di Nina quest’anno non ha neanche una replica.
Secondo la vostra esperienza, di quali azioni necessita il Teatro Ragazzi in Italia e qual è la situazione dal punto di vista distributivo e produttivo?
V.M: Ci siamo molto interrogati sull’argomento perché con Storia di Nina abbiamo avuto un boom, anche inatteso, nel senso che dopo la partecipazione a Inbox, le repliche si sono raddoppiate. Ne siamo molto contenti però ma ci sono tanti spettacoli validissimi, anche di altri artisti, che per qualche motivo continuano a non girare.
Noi non siamo organizzatori e non abbiamo una figura interna preposta a questo lavoro, questo sicuramente ci penalizza ma c’è qualcosa che non funziona nel sistema.
Rimane per me una domanda per me sempre aperta, ci guardiamo un po’ sgomenti intorno, stiamo soffrendo molto. Abbiamo mille idee in cantiere ma ci chiediamo se abbia senso produrre ancora, rimettere di nuovo in ballo tutte le risorse e il tempo per poi vedere lo spettacolo morire.

Ornella Rosato è giornalista, autrice e progettista. Direttrice editoriale della testata giornalistica Theatron 2.0. Conduce corsi formativi di giornalismo culturale presso università, accademie, istituti scolastici e festival. Si occupa dell’ideazione e realizzazione di progetti volti alla promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.