Ripercorrere, anche se per grandi linee e con ampi spazi vuoti, una parte di vita teatrale di Dario Fo, significa gettare uno sguardo su quella che fu una delle più grandi stagioni teatrali del Novecento. In Italia, con la fondazione di Scena Nuova e La Comune di Dario Fo e Franca Rame e nel resto d’Europa, con l’Odin Teatret di Eugenio Barba o il Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina si afferma, sul finire degli anni Sessanta, la necessità di un nuovo sguardo sul teatro, di spazi da dedicare alla pura ricerca teatrale. Si delinea il profilo del nuovo artista delle scene: intellettuale e artigiano, attore-drammaturgo, regista. Il teatro esiste e si mostra nella sua marginale condizione di luogo a-parte, che protegge e promuove le più ardite sperimentazioni tecniche, che sono sempre, nei casi migliori, accompagnate da una ribellione culturale.
Uno dei canali privilegiati per la trasmissione di un nuovo modo di pensare e fare teatro, che possa in qualche modo avvicinare e appassionare un pubblico sempre maggiore, è sicuramente la radio. Con il programma di varietà radiofonico Sette giorni a Milano e Rosso e nero di Franco Parenti, Giustino Durano e Franca Valeri, Dario Fo ha l’occasione di sperimentare l’efficacia della sua scrittura e delle sue narrazioni. Racconta per la prima volta i suoi monologhi, ricollegandosi alla tradizione del fabulatori lombardi, intrecciando storia e leggenda. La collaborazione con Parenti e Durano continua nel ‘53-‘54 con gli spettacoli Dito nell’occhio e Sani da legare al Piccolo Teatro Grassi, con la regia ufficiosa di Jacque Lecoq.
Il trio Fo-Parenti-Durano propose spettacoli clowneschi, satirici, politicamente impegnati, in cui il linguaggio immediato del testo prende vita nel ritmo veloce delle azioni.
L’incontro con Jacques Lecoq fu per Dario Fo fondamentale – in quegli stessi anni Etienne Decroux insegnava alla scuola del Piccolo Teatro, fondata da Strehler negli anni Cinquanta e affidata all’esperienza di Lecoq – sono gli anni in cui Fo riflette sulle potenzialità espressive del corpo, basandosi sul linguaggio mimico-corporale di Lecoq: sul modo di creare un déséquilibré, sul mantenimento di una tensione corporea unificata e per questo espressiva, durante le pause e le sospensioni del movimento.
La grammatica del gesto di Lecoq sarà poi particolarmente evidente in alcuni quadri scenici di Mistero buffo. Nella scena della Resurrezione del Lazzaro, in cui restituisce il dinamismo delle immagini attraverso il gesto (bandé mimée); nella La fame dello Zanni, in cui è il corpo a rappresenta architetture e oggetti (figuration-mimée) e che Barba definì come «architettura in moto»; in Bonifacio VIII, per la capacità di raccontare una storia alterando i linguaggi del movimento con la narrazione orale (narrateur-mime).
La storia del teatro è storia di incontri, di scambi di saperi tra uomini e donne di genio. L’incontro artistico di Dario Fo e Franca Rame e la conseguente fondazione della compagnia Fo-Rame, avviene nel 1957. Franca proviene da una famiglia di attori girovaghi di lunga tradizione, è erede di un vastissimo repertorio di farse e lazzi, di un modo di pensare e fare il teatro che sfrutta l’imprevedibilità di una vita in viaggio per educare all’imprevedibilità di una scena itinerante. Un teatri riscritto e reinventato continuamente, fatto di battute improvvisate su un canovaccio e di scene essenziali. La novità dell’incontro consiste nella trasformazione progressiva del repertorio della famiglia Rame in una drammaturgia originale, che coniuga la tradizione dei guitti con lo studio di carattere storico-filologico portato avanti da Fo: si tratta della rivisitazione di testi sacri, epici o letterari, soggetti ad una puntuale e ironica inversione di senso, di cui è testimone il corpo-voce dell’attore in scena. È l’immissione del comico nella narrazione seria, demistificata in un rovesciamento radicale in cui il riso diviene condanna.
Gli arcangeli non giocano a flipper, Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri, Chi ruba un piede è fortunato in amore, Settimo ruba un po’ meno, sono le commedie di satira sociale del periodo ‘59-’64. Presentano una trama a filo conduttore da teatro di rivista, sfruttano l’espediente comico del travestimento e dell’equivoco; grazie a qualche sapiente accorgimento tecnico, aggirano la censura e denunciano l’esercizio indiscriminato del potere, che trova la sua forma compiuta in La signora è da buttare, Morte accidentale di un anarchico e Mistero buffo.
La signora è da buttare inaugura nel 1967 la prima tournée estera della compagnia Fo-Rame, organizzata dall’Odin Teatret di Eugenio Barba. L’Odin è un centro di ricerca e sperimentazione teatrale d’eccezione, che svolge la sua attività a Holstebro. Vi arrivano sul finire degli anni Sessanta, Dario Fo e dalla famiglia di clown italiana Colombaioni (che contribuì alla messa in scena di La signora è da buttare) per condurre dei seminari sull’arte dell’attore.
La signora è da buttare è uno spettacolo circense che irride l’ideologia statunitense, la libera America dell’assassinio di Kennedy e della guerra in Vietnam; Morte accidentale di un anarchico, è la versione farsesca della tragica e mai chiarita morte di Giuseppe Pinelli, avvenuta nella questura di Milano nel 1969 durante un interrogatorio per la strage di piazza Fontana. Qui l’espediente farsesco del “pazzo” che viene scambiato per il “sano” giudice che vede ciò che gli altri sembrano volutamente ignorare, richiama alla memoria, come nota Ferdinando Taviani, una delle più grandi commedie della storia del teatro: Il revisore di Gogol’, messo in scena da Mejercho’d nel 1926 al Teatro d’Arte di Mosca.
Con la messa in scena di Morte accidentale di un anarchico, siamo già nel 1970, la compagnia Fo-Rame si è costituita cooperativa, rompe il legame con i circuiti teatrali borghesi e con gli spazi deputati alle tradizionali rappresentazioni. Il pubblico paga una quota d’associazione per assistere al manifestarsi dell’arte teatrale nel libero spazio del confronto dialettico tra attori e spettatori. La vocazione monologante di Fo e dei comici della rivista italiana, saldata al recupero della cultura popolare, incontra l’impegno politico e civile. Con la fondazione di Nuova Scena, e del Collettivo Teatrale La Comune, Dario Fo e Franca Rame creano un sistema teatrale alternativo e rivoluzionario. Piazze, capannoni, fabbriche e camere del lavoro diventano luoghi di rappresentazione.
Il teatro entra nel tessuto sociale della collettività. Il linguaggio della scena è in continuo divenire e con esso la scrittura. Osserva Taviani: «I testi di Dario Fo sembrano negare la loro natura di testi, cioè di tessiture compatte[…]riescono in qualche modo a trasmettere il sapore dell’aleatorietà della recitazione. Il che è un pregio letterario enorme». Agli antipodi della drammaturgia letteraria, è la scrittura scenica che in Fo determina la forma letteraria dei suoi testi registrandone l’architettura e la visione pittorica d’insieme.
Tutto questo entra a far parte di una concezione del teatro che Dario Fo definisce come «giornale parlato e drammatizzato del popolo» espresso nel corpo-voce del Giullare: «attore comico popolare del medioevo che denuncia il potere della Chiesa e delle Corti». Dal recupero di questa coscienza di classe e dallo studio filologico di letterature e pitture medievali, prende vita Mistero buffo (che riprende il titolo da Misterija-Buff di Majakovskij, 1917) giullarata popolare in lingua padana del ‘400, capolavoro della storia del teatro.
Il Mistero buffo di Dario Fo viene letto in varie Case del Popolo, provato nel maggio del 1969 nell’Università statale di Milano. Debutta ufficialmente il 1° ottobre a Sestri Levante.
Lo spettacolo viene riproposto a Genova, Roma, Napoli, Torino, viene allestito in una chiesa a Vispa, nel ‘73 è presentato al Festival di Avignone. Al ritorno dalla tournée francese Mistero buffo viene riproposto a Milano sui prati della Palazzina Liberty, occupata dalla Comune. La Rai registra lo spettacolo in quattro puntate, mandate in onda su Rete 2 nel 1977.
Mistero, sta a indicare i culti esoterici dai quali si originano le rappresentazioni di eventi sacri; buffo, allude al modo satirico-grottesco di rappresentare i temi sacri.
Fo rivisita le Sacre rappresentazioni medievali cecoslovacche e polacche, adottando la prospettiva del popolo. Le legge come le leggerebbe un giullare: cercando la verità «e la verità è che il potere si è da sempre impossessato del patrimonio culturale del villano», (come sottolineano Marina Cappa e Roberto Nepoti in Dario Fo). Le legge in chiave brechtiana, come rappresentazione del dramma collettivo in cui agiscono personaggi definiti in base al loro carattere storico, alla funzione e al ruolo sociale che li individua e definisce.
L’intuizione teatrale di Fo in Mistero buffo consiste nel porsi come unico attore che recita tutte le parti, entra ed esce dai personaggi per spiegare quello che sta facendo e interviene su cronache di attualità. Attinge al repertorio dei numeri comici dell’attor comico del Novecento, di Viviani e di Petrolini, utilizza l’espediente dell’a-parte, che gli consente di rivolgersi al pubblico mantenendo la finzione costante del proprio personaggio.
Ma se la realtà storica rappresentata coincide allegoricamente con la storia del presente, l’attore interviene in modo diretto sul pubblico provocando e scandalizzando, estremizza la satira affinché non venga accettata come tale e non perda la sua efficacia dissacrante.
Opera su due livelli, quello critico e quello comico, stimola la riflessione con metafore storiche e diverte con trovate e lazzi da Commedia dell’Arte. La drammaturgia è, in Mistero buffo e in tutto il teatro di Dario Fo, perfettamente adattata alle caratteristiche del Fo-attore-giullare, come un abito cucito a pelle, assume le forme della sua persona. Perfino il linguaggio aderisce alla sua inventiva: il grammelot, misto di lombardo-padano e di dialetti di invenzione creativa, è di per sé un teatro in chiave onomatopeica e allo stesso tempo patrimonio culturale e artistico dei villani del mondo.
Nata a Campobasso il 03/03/1994. Diplomata presso il Liceo Classico M. Pagano di Campobasso nel 2013. Si forma come danzatrice presso l’Accademia Arte Balletto e IALS (istituto addestramento lavoratori dello spettacolo). Dal 2018 segue le attività seminariali di A.E.P.C.I.S (Ass. Europ. Psicofisiologi Clinici per l’Integrazione Sociale ), dedicate all’arte dell’attore e del danzatore, a cura di Vezio Ruggieri. Laureata in Fondamenti di psicologia per l’arte, del corso di laurea in Arti e scienze dello spettacolo, della facoltà di Lettere e Filosofia, presso l’Università di Roma Sapienza nel 2020. Frequenta attualmente il corso di Laurea Magistrale in Scritture e produzioni dello spettacolo e dei media, della facoltà di Lettere e Filosofia, presso l’ Università di Roma Sapienza.