Annunci di riaperture e sfiancanti ritrattazioni interessano da più di un anno teatri, cinema e spazi culturali. I lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo sono allo stremo. La precarietà, che da sempre contraddistingue il sistema lavoro del comparto culturale, dilaga violentemente dal marzo 2020 non riguardando più la sola – e già di per sé drammatica e rilevante – sussistenza della categoria ma anche la frustrazione di un settore della cui esistenza la politica non intende affermare la necessità.
I sostegni sono giunti a singhiozzi e, mentre alcuni cittadini organizzano collette per sostenere lavoratori e lavoratrici ridotti sul lastrico, la risposta delle istituzioni ha raggiunto il suo picco con l’erogazione di bonus dalla destinazione poco chiara, non immessi in un programma definito e a lungo termine.
Il Ministro Franceschini fa nuove promesse, la categoria si organizza: non bastano più le manifestazioni che hanno attraversato le città italiane negli ultimi mesi al grido di “Noi esistiamo”; i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo si riprendono i propri luoghi di lavoro. Dal Teatro Niccolini dell’Accademia di Belle Arti di Napoli – primo teatro occupato in Italia – passando per il Teatro Verdi di Padova, il Piccolo di Milano e il Teatro Mercadante di Napoli, la protesta è esplosa mettendo da parte striscioni e cartelli e occupando gli spazi della cultura.
Sulla scia delle rivendicazioni francesi, originatesi con l’occupazione del Teatro Odèon di Parigi, anche l’Italia della cultura si mobilita con azioni decisive per intraprendere delle interlocuzioni concrete con la politica.
Presso il Teatro Piccolo di Milano e il Mercadante di Napoli sono stati istituiti dei presidi permanenti, in costante confronto, per lavorare con l’intera categoria alla definizione di istanze comuni, finalizzate al superamento della crisi e alla rigenerazione del settore. Una battaglia questa che porta con sé il malcontento dell’ultimo anno ma che abbraccia l’intera storia nera dello spettacolo e della cultura italiana per invertirne, finalmente, la rotta.
Alle esperienze di lotta del settore spettacolo si unisce quella degli studenti e delle studentesse dell’Accademia di Belle Arti di Napoli che, da più di un mese, hanno occupato gli spazi dell’istituto protestando contro l’alienazione e la disparità generata della didattica a distanza, contro le violenze sessuali perpetrate da un docente ai danni di numerose studentesse e trattate con estrema omertà dalla direzione per un periodo di tempo troppo lungo, circa dieci anni.
Sostenendo le rivendicazioni di una categoria di lavoratori, quella della cultura, in cui entreranno a far parte al termine della formazione accademica, le studentesse del Collettivo studentesco Abana, questo il nome del gruppo che ha operato l’insediamento presso l’Accademia napoletana, hanno sostenuto le attiviste dello spettacolo occupando insieme, all’alba del 27 marzo, il Teatro Mercadante.
L’ondata di scioperi verificatasi oltralpe nel ‘68, rinominata Maggio francese, riverbera in questo caldo Marzo italiano.
Ne parliamo con Salvatore Cosentino, tecnico audio facente parte del collettivo Lavoratrici e Lavoratori dello Spettacolo Campania, che figura attualmente tra i dieci lavoratori del presidio permanente del Mercadante, e con il Collettivo Studentesco Abana dell’Accademia di Belle Arti di Napoli occupata il 23 febbraio scorso e posta sotto sgombero questa mattina.
Dopo una serie di manifestazioni, giunte al culmine il 27 marzo – Giornata Mondiale del Teatro – data che avrebbe dovuto coincidere con l’annunciata e poi ritrattata apertura dei teatri, avete occupato il Teatro Mercadante di Napoli, creando un presidio permanente. Perché avete scelto di attuare questa azione?
Salvatore Cosentino: Questa occupazione arriva dopo un anno di manifestazioni. Abbiamo deciso di attuare l’occupazione di un Teatro Nazionale perché pensiamo che la nostra interlocuzione non debba riguardare il singolo teatro ma vada estesa a tutto il sistema della cultura e del lavoro in Italia. Le richieste che abbiamo fatto sono condivise dall’intero comparto.
È importante ribadire che questa non è solo la lotta di un gruppo napoletano, ma quella di tante altre realtà dislocate in varie zone d’Italia.
L’occupazione non interessa esclusivamente il nucleo di dieci lavoratori e lavoratrici impegnati nel presidio permanente: il Teatro Mercadante effettua dei tamponi a cadenza regolare, a ciascuna tranche di controlli corrisponderà una rotazione e il successivo ingresso di altri lavoratori e lavoratrici. Abbiamo scelto questa linea perché non vogliamo essere un gruppo che parla e si espone a nome di tutti e tutte, faremo una turnazione dando voce a coloro che hanno partecipato al presidio e alle manifestazioni degli ultimi anni.
Quali sono le istanze espresse dal presidio, quali gli obiettivi?
SC: Ci stiamo muovendo su 4 punti, certamente finalizzati a migliorare le condizione dei lavoratori e delle lavoratrici del comparto ma che inglobano anche la lotta di altre categorie di lavoratori con cui si è attivato un reciproco sostegno: la garanzia che gli anni 2020-2021 siano considerati interamente ai fini contributivi; una programmazione e una progettazione generale del settore per evitare che si continui ad andare a tentoni da qui in poi in merito a possibili riaperture; il superamento del sistema dei bonus – in quest’anno sono stati erogati in maniera randomica dei bonus irrisori e saltuari, assolutamente non in grado di garantire la sopravvivenza del settore e dei lavoratori; l’apertura di un tavolo interministeriale tra i lavoratori del settore e i vari gruppi autorganizzati nati nell’ultimo anno che comprenda, oltre al Ministero della Cultura anche il Ministero del Lavoro.
L’obiettivo a lungo termine ha a che fare con la resistenza del comparto alla crisi generata dal Covid-19, ma soprattutto con il superamento dell’attuale modello economico del settore culturale che favorisce contratti irregolari e il lavoro in nero. Vogliamo scardinare la dinamica della contrattazione al ribasso. Crediamo che debba essere garantita la sopravvivenza dei lavoratori e delle lavoratrici, impossibilitata dalla precarietà dilagante e da un mondo del lavoro completamente incentrato sulle grandi industrie.
Stiamo lavorando anche per presentare una proposta di riforma che parta dalle autorganizzazioni sorte nel corso dell’anno.
A proposito di gruppi autorganizzati, a un anno dal blocco delle attività spettacolari, ritieni che la categoria dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo stia risolvendo il problema del frammentismo?
SC: Esistono piccoli gruppi nati negli ultimi mesi che hanno dimostrato di avere delle difficoltà nel riflettere su determinati temi, come esistono esperienze importanti che sono riuscite a superare questa parcellizzazione. È vero che i singoli gruppi hanno specificità diverse, ma si sta cercando di attuare una riforma che investa dei microsettori con poche garanzie.
Dunque, pur esistendo delle rappresentanze individuali, ci si sta muovendo per ottenere una rappresentanza generale del settore, in modo che chi riesce ad ottenere delle vittorie come singolo lavoratore possa generalizzarle e diffonderle agli altri. Ciò si ottiene unendo forze e idee e facendo proposte al rialzo.
Diversi teatri italiani sono stati occupati in questi giorni, pensate di coordinarvi anche con le altre realtà sul territorio per portare avanti la protesta?
SC: Facendo parte di Emergenza Continua che è un coordinamento nazionale, abbiamo avuto modo di entrare in contatto più facilmente con tutti i gruppi italiani che hanno manifestato e occupato i teatri nella giornata del 27 marzo. Quindi esiste già un gruppo nazionale autonomo, un tavolo che ha anche prodotto analisi di settore e condotto inchieste sulla condizione dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo.
Ci sono state due azioni forti che hanno portato il Teatro Mercadante a concederci un tavolo permanente: la prima è stata il presidio organizzato, presso il Mercadante, il 25 marzo che ha sancito l’avvio di un’interlocuzione con la direzione, seguito dal blitz del 26 marzo con l’occupazione effettuata dalle lavoratrici dello spettacolo e dalle studentesse dell’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Quell’azione di forza ha poi portato all’apertura del presidio permanente che vogliamo utilizzare per rilanciare quanto richiesto e per avere sempre più voce in capitolo. Pensiamo che questa non sia solo una battaglia del settore ma di tutte e tutti, perché le lotte dei lavoratori riguardano l’intera collettività.
Da più di un mese avete occupato l’accademia di Belle Arti di Napoli. Quali sono le vostre motivazioni?
Collettivo Studentesco Abana: Abbiamo occupato il 23 febbraio in concomitanza con la mobilitazione nazionale dei lavoratori dello spettacolo, indetta a un anno dalla chiusura dei teatri e dei luoghi della cultura. Gli studenti universitari sono abbandonati a loro stessi da un anno, abbiamo continuato a pagare le stesse tasse di sempre ma senza ricevere alcun servizio.
Protestiamo contro la didattica a distanza, un tipo di istruzione che riteniamo incompleta e dannosa sia da un punto di vista psicologico, sia perché intendiamo l’istruzione come mezzo di scambio e di condivisione. Da diversi anni ci troviamo di fronte a un problema di sovraffollamento che con la pandemia si è acuito, impossibilitando l’attuazione di un piano di rientro. Solo l’11 febbraio, dopo un anno dalla diffusione dell’epidemia, l’accademia ha pubblicato una nota abbastanza vaga su un possibile piano di rientro. A nostro avviso, questo dimostra un certo immobilismo e una certa indifferenza rispetto alla condizione degli studenti.
L’occupazione è il nostro atto di protesta anche rispetto al caso di un docente dell’accademia che lo scorso anno è stato denunciato da una studentessa per abusi e molestie sessuali. Pur avendo ormai dato le dimissioni, per 10 anni è stato permesso a questo docente di perpetrare tali soprusi in un contesto di profonda omertà da parte delle istituzioni: questa è stata la base di rabbia che ci ha spinto ad agire.
In che modo avete gestito l’occupazione, che tipo di interlocuzione avete avuto con le istituzioni accademiche?
CSA: L’occupazione è iniziata quando la Campania si trovava in zona gialla, poi siamo passati in zona arancione e infine in zona rossa. Inizialmente abbiamo organizzato eventi pubblici, fornendo igienizzanti agli studenti e sottoponendoci spesso ai tamponi per mantenere alti gli standard di sicurezza. Quando è scattata la zona rossa le cose sono cambiate, abbiamo chiuso l’Accademia ma abbiamo deciso di restare qui perché le nostre rivendicazioni non erano state ascoltate dalla direzione.
Con una sensibilità di facciata, ci è stato risposto che le nostre richieste potranno essere esaudite solo alla fine della pandemia. Crediamo che l’emergenza sanitaria non possa essere una scusa per deresponsabilizzarsi e chiudere i luoghi della cultura: bisogna lavorare di più affinchè, anche in questa situazione, sia garantito il diritto allo studio.
Ciò che chiediamo è mirato ad alleggerire le pressioni e le problematiche che tendono a colpire alcune fragilità.
Come viene organizzato il coordinamento tra le varie autogestioni?
CSA: Ci sentiamo molto vicini alla lotta dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo e della cultura perché in futuro ci troveremo ad affrontare lo stesso precariato e le stesse problematiche, anche per questo li abbiamo sostenuti nell’occupazione del Teatro Mercadante.
Il Teatro Niccolini dell’Accademia di Belle Arti di Napoli è stato il primo teatro occupato in Italia. Volevamo liberare un luogo di cultura, coinvolgendo in vari progetti gli artisti della città che hanno necessità di tornare a lavorare in un teatro.
Alcuni giorni fa abbiamo partecipato alla conferenza del Teatro Odéon di Parigi, interfacciandoci con i lavoratori impegnati nell’occupazione. Siamo sempre in contatto con i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo e con tutte le realtà autogestite di Napoli, ma stiamo cercando un confronto anche con altre accademie che si stanno mobilitando al di fuori della nostra città.
Alcuni studenti dell’Accademia di Belle Arti hanno espresso la propria contrarietà nei confronti dell’occupazione che blocca la burocrazia. Qual è la situazione?
CSA: Questo è assolutamente un problema. Fin dal primo giorno abbiamo pubblicato numerosi comunicati per chiarire che non abbiamo intenzione alcuna di bloccare la didattica e il lavoro dei dipendenti della segreteria a cui abbiamo lasciato libero accesso agli uffici amministrativi.
Il nostro è un tentativo di far ripartire alcune attività didattiche in presenza. La segreteria non si è più presentata in accademia e questo ha creato certamente un disagio. Ciò non può ricadere sugli studenti occupanti: non è una nostra responsabilità ma del direttore. I nostri colleghi, protestando contro di noi per l’inadempienza burocratica, sbagliano interlocutore politico.
Alla luce dello sgombero di questa mattina, come intendete proseguire?
CSA: Alle 5:30 di questa mattina siamo stati sgomberati da una quarantina di agenti della DIGOS. All’interno dell’accademia erano presenti 17 studenti e studentesse, siamo stati identificati e denunciati. Non abbiamo opposto resistenza. Il Collettivo si sta riorganizzando, per il momento abbiamo creato un presidio permanente davanti all’istituto e terremo una conferenza stampa alle ore 11:00.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.