Il dittico di Adriano Bolognino chiude la rassegna Korperformer

Dic 19, 2024

Articolo a cura di Sara Raia

Un unico corpo in penombra abita la scena mentre suoni di strappi risaltano all’orecchio degli spettatori. Il volto della performer è coperto e l’intera figura, bloccata in un involucro che la opprime, vuole liberarsi. Topos della performance è lo scotch rosso che diviene oggetto sia silente che parlante della lotta verso l’emancipazione femminile. Adriano Bolognino si ispira a Barbara Kruger e alla marcia delle donne in USA, a Washington,  del 1989.  Trattare la storia femminile non è mai abbastanza e Adriano Bolognino lo fa attraverso il proprio linguaggio autentico e singolare. Rosaria Di Maro, riempie e impreziosisce la scena con la propria cifra stilistica e diviene portavoce di una modalità nuova per analizzare pagine fondamentali della storia femminile.

Con le musiche di Moderat e Jon Hopkins, Your body is a battleground riesce a rappresentare la quaestio della libertà femminile attraverso una chiave diversa che mira ad abbattere gli stereotipi. La danzatrice, quasi come un pugile, lotta contro un nemico invisibile e rivolge sempre al pubblico sguardi intensi e carichi d’energia. I gomiti della performance si articolano in un continuum crescente e ad emergere è una forza silente che parla tramite il corpo. Fibre muscolari tese, tessuti che si innervano, ronde de jambes, gesti e ben articolata capacità espressiva. Ogni elemento genera un interscambio sospeso in un arco temporale di riflessione profonda.  Successivamente, un breve silenzio costerna la Sala Assoli e l’ultima performance della rassegna Korperformer ideata da Gennaro Cimmino, ha inizio. 

Adriano Bolognino non mette in scena una storia già cantata, scritta o rappresentata. Gli Amanti indaga il non detto. La performance viene creata immaginando il sentimento strappato improvvisamente a due individui che, per aggrapparsi per sempre al loro amore, si sono affidati ad un semplice-  e forse disperato- abbraccio. Bolognino prende ispirazione dalla tragedia di Pompei e dal ritrovamento del 1922 dei due corpi battezzati come “amanti”, la cui identità è stata a lungo ignota. Il coreografo vuole dare luce a questa drammatica vicenda, donando una nuova opportunità– appunto-  a questi due amanti: far rivivere, attraverso la danza, la loro storia. Il pubblico osserva allora due performer poste inizialmente a due angoli opposti della scena. In lontananza e in relevé, per un tempo sorprendentemente prolungato che mostra la loro resistenza muscolare, ambiscono a sfiorarsi non riuscendo ad essere ancora vicine. A partire dal ritrovamento di Pompei,  non sappiamo se si tratta di due uomini o di due donne, di una coppia o di una madre con la propria figlia, ma la pièce danzata ricostruisce l’immaginario di due vite atrocemente decretate a questo destino di morte.

Attraverso contretemps, mani che si fanno strumento al suolo, divenendo poi voce narrante della vicenda, tramite una decisa e profonda gestualità, il pubblico è dinanzi a due performer che, dopo tentativi vani di avvicinamento, finalmente danzano e quasi si fondono insieme. Rosaria Di Maro e Roberta Fanzini portano avanti la loro danza con sguardi intensi, rendendo il pubblico partecipe di una storia immaginata e ancora aperta a svariati scenari possibili. Il linguaggio delle performer è sincero e autentico. I respiri procedono all’unisono anche quando le mani di una danzatrice sembrano voler strappare gli occhi dal volto, e mentre la tragedia pare incombere, i corpi divengono ansimanti e cercano il più possibile di restare uniti. Parlano tra loro una lingua non udibile, destinata forse a restare intima e segreta, e l’audience cerca di decifrarne i significati, osservando al contempo baci mancati, inviati, afferrati da lontano, ottenuti e assaporati. Un codice ritmico singolare dà vita ad una performance emozionante e la danza diviene medium per eternizzare il potere del sentimento che resiste al tempo. Ciò che resta alla fine è l’immagine di due figure che di spalle al pubblico e al calar delle luci, sono sedute e strette tra loro. Così come si evince con il calco pompeiano, ciò che resta sono due corpi: eterni portatori di un’unione che non ha paura della morte. 

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