Goldoni, Latella e La locandiera degli enigmi

Mar 14, 2024

Una versione inedita de La locandiera di Carlo Goldoni, quella diretta da Antonio Latella e interpretata da Sonia Bergamasco, in scena al teatro Alighieri di Ravenna dal 7 al 10 marzo. Parla alle nuove generazioni, sia per i costumi che per l’allestimento, mentre il testo è rimasto intatto e fedele all’originale. Gerardo Guccini, docente di Storia del teatro al Dams di Bologna, ha incontrato la compagnia al Ridotto dell’Alighieri durante le date romagnole dello spettacolo per un momento di approfondimento insieme al pubblico.

Sono state indagate innanzitutto le novità dell’opera goldoniana che segna una cesura nella storia della Commedia dell’Arte per i suoi tratti innovativi. Sia per la scelta di un personaggio femminile come protagonista sia per affermare senza reticenze quello che pensava del teatro a lui contemporaneo, nel periodo in cui stava per trasferirsi a lavorare per il prestigioso Teatro San Luca e sentiva di potersi esprimere liberamente. Ma anche il taglio interpretativo che ha dato Latella alla commedia porta con sé scelte di separazione dalle precedenti versioni de La locandiera civettuola ma scaltra e ne propone un’altra, più complessa ed enigmatica.

La scrittura di Goldoni, come ha spiega Guccini, non è teatrocentrica, innanzitutto: il drammaturgo sceglie solo l’argomento, ma è sull’attore che ricava e modella i suoi personaggi. Ad interpretare Mirandolina quando La locandiera debutta, nel 1753, al Teatro Sant’Angelo di Venezia, è l’attrice Maddalena Marliani Raffi, che per Goldoni aveva già recitato nella maschera della servetta nella Commedia dell’Arte.

I tratti dei personaggi goldoniani sono quelli della società che sta cambiando, segnata dalla crisi della nobiltà a vantaggio della borghesia. Mirandolina, con la sua ambizione e il suo attaccamento al denaro, la furbizia con cui seduce gli uomini senza mai concedersi, né al marchese di Forlipopoli né al conte di Albafiorita e neanche al cavaliere di Ripafratta che decide di far innamorare per il solo gusto di umiliare la sua misoginia, rappresenta questo desiderio di emergere sulla scala sociale e di esercizio del proprio potere.

Latella però decide togliere alla commedia la malizia tipica del personaggio di Mirandolina, nel momento in cui finge di svenire. Il fatto che il regista faccia svenire Mirandolina facendola cadere sul pavimento piuttosto che su una sedia, apre alla percezione che forse c’è qualcosa di vero nel suo turbamento. Forse è davvero innamorata del cavaliere. Come ha detto la Bergamasco “percepisce il rischio di essere risucchiata” in una situazione non più gestibile. La stessa definizione di finzione, come ha poi spiegato l’attore Francesco Manetti (che interpreta il conte), non è univoca. “La finzione è strategia, è dove ci si spinge per ottenere qualcosa. Quando il conte si accorge che qualcosa è scattato tra loro due, però, ad un certo punto esclama che lo svenimento, vero o finto che sia, non è segno d’amore?”. Non c’è nulla, del resto, nel testo di Goldoni, aggiunge Guccini, che escluda questa possibilità e l’aspetto inedito de La locandiera di Latella si gioca proprio sulle sfumature a cui si presta. “Qui la finzione è impossibile, tutto quello che capita è perché Mirandolina ad un certo punto non sa più fingere. Quando si incontrano davvero due persone e scatta qualcosa, c’è uno tsunami” spiega Giovanni Franzoni, che in scena è il marchese caduto in disgrazia, sottolineando come l’amore sia un tema forte, caro al regista.

Le luci intermittenti, che a volte “friggono”, acuiscono la sensazione di cortocircuito che stanno attraversando Mirandolina e il cavaliere, così come la locanda, metafora della protagonista, è scossa. Di fronte a quanto sta accadendo, anche il marchese capisce di essere impotente, può solo cercare di essere sempre presente dove c’è la coppia, diventando suo malgrado, comico. Anche il suo personaggio è una metafora, in questo caso della decadenza del ruolo del capocomico in teatro dopo Goldoni. Una riflessione che si collega alle figure delle due attrici Ortensia e Dejanira, che si spacciano per nobili ma vengono smascherate da Mirandolina. “Sono il retaggio di quel modo di fare teatro che Goldoni critica – spiega Marta Pizzigallo (Dejanira in scena) – . Vorrebbero fingere ma non ne sono capaci, sono spiazzate dall’abilità di Mirandolina che rappresenta il nuovo”.

Mirandolina è infine una protagonista capace di tenere testa a tre nobili invaghiti di cui decide di liberarsi attraverso il matrimonio con il cameriere Fabrizio, accettando solo in apparenza la volontà del padre in punto di morte. Di fatto, come afferma Latella, si tratta di “una scelta politica” che mette a capo della locanda proprio la servitù e la borghesia, le classi operose e laboriose che Goldoni contrappone alla nobiltà arrogante e nullafacente.

Un’ultima considerazione che ha accompagnato il dibattito ha riguardato la scelta dei costumi, alla quale si era accennato all’inizio. Mirandolina e gli altri protagonisti vestono abiti contemporanei e da parte del regista, come ha precisato la Bergamasco, c’è stata la scelta di un determinato abito per ciascun personaggio: il cappotto color cammello del cavaliere, il maglione con disegno norvegese del marchese, l’abito sportivo con berretto per il conte e l’abbigliamento sobrio ma elegante di Fabrizio. Mirandolina ne avrebbe dovuti indossare tre: la camicia bianca lunga all’inizio, la divisa e infine una giacca-pantalone che però non è mai stata utilizzata perché si è visto che in scena non funzionava.

Rimaneva infine l’incognita su cosa indossare per l’ingresso in scena: “Alla fine si è deciso per una camiciola corta bianca e a piedi nudi che mi ha permesso di portare quell’energia del personaggio che cercavo, la spontaneità e l’assenza di artificio”.

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