Gli innesti rituali di Enzo Cosimi: The play garden

Gen 10, 2024

Da sempre affascinato dalla potenzialità dialettica ed estetica del contrasto, Enzo Cosimi decide di cimentarsi con la memoria gestuale del corpo, realizzando The Play Garden allo Spazio Rossellini di Roma, un oggetto spettacolare ibrido che sfuma i confini tra performance, installazione e spettacolo. Quattordici performer over 65 in scena, con un diversificato bagaglio di esperienza artistica, costruiscono in una dimensione rarefatta, al tempo stesso straniante e accogliente, un giardino ludico in cui l’inquietudine si accompagna a un implicito invito a lasciarsi assorbire dallo spazio, di cui i confini vengono resi indefiniti. 

Abbiamo discusso con Enzo Cosimi dell’esperienza di lavorare in un gruppo con un’attenzione specifica all’individualità dei performer coinvolti. Ognuno, professionista e non, porta la propria narrazione verbale e fisica: cosa è stato richiesto ai singoli interpreti? 

i singoli performer coinvolti non portano una drammaturgia, ma storie e memorie, esperienze individuali che compongono un affresco corale, emergendo il gioco, la memoria, gli spazi di creazione e di collettivizzazione del Novecento.

Attraverso un montaggio impressionista, le memorie del giardino realizzato da Enzo Cosimi vengono innestate fra loro, grazie al lavoro drammaturgico compiuto insieme a Maria Paola Zedda:

La drammaturgia nasce dalla tessitura di queste esperienze attraverso il mio sguardo nutrito dalla collaborazione con la drammaturga che mi accompagna negli ultimi lavori, Maria Paola Zedda. Il lavoro, infatti, è un quadro, un interrogativo sul tema della vecchiaia, della morte, ma soprattutto dell’idea di futuro da parte di chi è molto vicino alla sua fine. Con stupore appare un piano che si ribalta, il futuro guarda indietro, si determina come un retrofuturo per dirla con Simone Reynolds, che schiaccia le dimensioni in una temporalità altra molto generativa. 

The Play Garden

Gli interrogativi di cui si parla rimangono aperti nel corso della performance, gli interpreti sembrano brancolare nel buio in una postura al contempo di estrema confidenza nello spazio. In quello che sembra un percorso di crescita al contrario, il ritornello e le filastrocche diventano la corazza attraverso cui fendere la nebbia che infesta lo spazio scenico di The Play Garden. La serietà del gesto infantile è fatta di movimenti precisi e puntuali, quello dei performer, che rimandano a una sfera semantica antica e rituale del gioco, come ricorda Byung-chul Han in La scomparsa dei riti, parlando del gioco dei bambini come uno dei pochi spazi in cui si conserva questa ritualità. 

Enzo Cosimi individua in questo ricordo del gioco d’infanzia uno spazio germinativo che interroga il senso stesso dell’esistenza. 

Le filastrocche apparse dai solchi della memoria delle e dei partecipanti sono formule potenti, quasi magiche, costruite per rispondere, ma forse anche solo nominare, i grandi tabù, dargli uno spazio, un colore, un contesto e in questo modo una forma per affrontarli. La morte, la crudeltà, la guerra, il diavolo, le ombre sono apparse inaspettatamente nel processo di lavoro, trovando un senso e permeando il lavoro di una spettralità non cercata, ma in qualche modo già presente nella struttura ludica. 

Questa spettralità ectoplasmatica attraverso lo spazio, quasi diventando un personaggio attivo nello spettacolo, prende forma attraverso le suggestioni letterarie, da sempre care al lavoro di Cosimi. 

Le pedagogie radicali di Don Milani, Pier Paolo Pasolini ma anche Eliot sono autori che ci hanno accompagnato in questo tempo. 

La componente terroristica (come la definiva Pasolini), delle idee di Don Milani diventa in The Play Garden una forza disintegrante, che distrugge il linguaggio per ricostruirlo, ritornando al grado zero della creazione, dei movimenti primordiali in un’andamento irregolare, sinusoidale, un tempo e uno spazio non lineare, attraverso l’intreccio tra bambini di diverse generazioni, che si guardano come a uno specchio. In cui la sapienza esperienziale degli interpreti in materia di tempo diventa una guida, un invito a osservare la vecchiaia come età illuminata dal tempo che ha accumulato davanti a sé, ma per cui, come sottolinea uno degli interpreti, non si è mai pronti a vedere la fine.

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