Per comprendere la dinamica del mondo della stand-up comedy in Italia, è sensato iniziare dall’analisi di un caso emblematico. Il caso in questione si chiama Giorgia Fumo. Tra le sue molteplici attività, emerge il suo ruolo di comica, content creator, presentatrice, ingegnera e la padrona di un bassotto di nome Giorgio. La sua abilità nel gestire simultaneamente queste diverse sfere, con un notevole e innegabile successo, si contrappone al predominio del testosterone nel mondo della stand-up. Fumo porta avanti con determinazione il suo prontuario di sopravvivenza per millennials confusi.
I suoi spettacoli comici, che registrano sold out in tutti i teatri in cui vengono ospitati, narrano le avventure di una generazione multitasking, dalle infinite risorse. Per forza, non certo per scelta. Una generazione dalle mille sfaccettature, forse semplicemente esaurita nel tentativo di far quadrare i conti e trovare un posto nel mondo. Giorgia Fumo fotografa la categoria dei millennial con ironico disincanto e conquista il cuore del suo pubblico senza fare prigioniere. Dalla Toscana a Cagliari, da Roma a Milano, Fumo si è costruita una solida carriera lavorativa nel mondo della comunicazione aziendale prima di atterrare sul teatro di improvvisazione e poi alla stand-up.
Il “caso Fumo” sembra un’ottima sintesi di impegno, dedizione, preparazione e capacità di osservazione, i cui frutti sono evidenti.
Fra uno spettacolo e una diretta per Sanremo ha trovato il tempo di rispondere a qualche domanda per noi, inaugurando il primo articolo dedicato alla ricerca sulla stand up in Italia su Theatron 2.0.
Dall‘improv alla tv, dai social ai teatri. Come cambia il pubblico nei vari contesti, secondo la tua esperienza? Come cambia, se cambia, il tuo modo di porti?
Il pubblico dell’improv è parte dello show, perché fornisce titoli e suggerimenti (nel match se la scena non gli sta piacendo o viene presa una decisione che non piace può anche tirare delle ciabatte sul palco, che vengono fornite all’ingresso insieme al cartellino per votare). Al 70% è composto da altri improvvisatori, fidanzati degli improvvisatori, gente che vorrebbe fare improvvisazione. Quindi dopo ogni show parla moltissimo di cosa è successo sul palco e viene analizzata ogni mossa. È un pubblico molto sportivo, ed è molto educativo perché ogni volta che ti esibisci hai il compito di fargli dire «Oh mio Dio, come usciranno da questa situazione?». Ti obbliga a non accontentarti mai e a non copiare, non ripeterti e non ritenerti più intelligente di loro. Il pubblico della stand-up, e quello dei social nel mio caso, è quasi identico, sono persone che hanno voglia di ragionare su ciò che ci succede e riderci su. Io non cambio mai il mio modo di pormi, anche perché improvviso parecchio anche quando faccio stand-up e non scrivo mai i video social prima di farli, quindi mi piace che ci sia coerenza fra i miei tre mondi.
Quali sono i tuoi artisti di riferimento nel mondo dello spettacolo (comici o no)?
Daniel Sloss per il modo di accompagnare il pubblico in mezzo ad un campo minato di argomenti e battute che sarebbero terribili se non costruisse premesse così perfette. I Mischief (compagnia di teatro e improvvisazione inglese) per il gigantesco impegno nel creare ruoli incredibili anche quando minuscoli. Steve Carrell, che è -per me- un genio.
Cosa vuol dire essere un* comic* oggi in Italia? Cosa fa la differenza rispetto a un* brav* attrice-attore?
Un bravo attore sa recitare. Un comico bravo si sforza di non farlo. Ma la differenza più grande credo sia che essere una comica ti dà la libertà di mettere la tua faccia sulle tue idee. Per me è la cosa più importante, mi annoierebbe da morire recitare monologhi scritti da qualcun altro. Tu sei autore, attore, regista e pubblico di quello che fai, anche tour manager, stylist e revisore contabile, attualmente.
Quante difficoltà incontra una ingegnera che vuole fare la comica full time (e qui la specifica al femminile è chiaramente voluta, visti i temi dei tuoi pezzi)?
L’unica difficoltà specifica è un certo snobismo da parte di chi ti percepisce come un “dopolavorista”, qualcuno che non prende abbastanza sul serio l’Arte ed è legato ai freddi numeri. Al pubblico (cioè chi ti paga) invece non importa assolutamente niente.
L’aspetto migliore e quello peggiore del tuo lavoro.
L’aspetto migliore è la sensazione di essere ascoltati. Qualunque ragazza abbia lavorato in un ufficio sa quanto è brutto venire interrotta, zittita, o vedere le tue idee bellamente usate da qualcun altro senza alcun credito. Il collegamento che si crea sul palco con il pubblico poi è ciò che veramente mi rende felice, sapere che sto parlando di esperienze comuni e che possiamo riderne tutti insieme. Quello peggiore è che ovviamente sei spesso in giro e perdi cene, compleanni, a volte matrimoni e nascite; e una certa solitudine che provi quando sei in un brutto albergo in una città che non conosci e ti ritrovi a cenare con i Ringo dei minibar.

Emilia Agnesa, sarda trapiantata a Roma. Drammaturga, autrice e attrice teatrale, diplomata in drammaturgia all’Accademia Nazionale Silvio d’Amico. Laurea specialistica in lettere antiche, insegnante abilitata di latino e greco. Collabora come autrice con diverse compagnie nazionali e internazionali.