Si è da poco conclusa l’edizione 2023 di Fuori Programma Festival, nato nel 2016 e giunto alla sua ottava edizione, con la direzione artistica di Valentina Marini. Un appuntamento estivo che unisce i luoghi della Capitale e gli artisti della danza contemporanea con le multiformi sensibilità del pubblico che respira, vede, vive la composita programmazione di spettacoli, laboratori, residenze, incontri e progetti speciali.
All’unisono. Come recita il sottotitolo, con le voci di artiste e artisti come Jacopo Godani, Daniele Ninarello, Cristina Donà, Marta Ciappina, Salvo Lombardo, Andrea Costanzo Martini, Ophir Kunesh, Lior Tavori, Francesco Marilungo, Thomas Alfred Bradley, Michele Di Stefano, Masako Matsushita, Qabalum, Elias Aguirre, Silvia Gribaudi, Caroline Larn, Krassen Kratsev, David Zagari.
Il nostro racconto è consapevolmente tratteggiato, si riferisce ad alcuni spettacoli scelti con un pizzico di imprevedibilità ma che hanno saputo lasciare il segno. E che hanno fornito la temperatura di linguaggi artistici, diversi tra loro, di battiti e tempi che si manifestano all’unisono, sebbene le esperienze e gli eventi della vita tendono a dividerci, a tenerci separati.
Le giovani voci della danza contemporanea israeliana sono la testimonianza di una creatività riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo. Una contestualità e una contemporaneità che si propone con un ricco patrimonio di contrasti, fascino, bellezza e transitorietà.
Il 23 giugno, ultimo appuntamento di Fuori Programma presso l’Arena del Teatro India di Roma, sono stati presentati in collaborazione con l’Ambasciata di Israele in Italia, le creazioni di due giovani coreografi israeliani.
Arba, in prima assoluta, è la restituzione al pubblico di una residenza che si è svolta al Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma, a cura di Ophir Kunesch. Un progetto nato nell’ambito di 1|2|3 del Suzanne Dellal Center, un programma annuale di sviluppo per coreografi israeliani emergenti che supporta la creazione di nuove opere. Tutto è danzabile, qualsiasi musica, condizione umana o poesia. Persino il silenzio.
E in effetti Arba è un duetto che si svolge in totale assenza di una drammaturgia sonora ed esplora la condizione della verticalità e delle camminate in contiguità. Un danzatore e una danzatrice si muovono e si spostano come se fossero le parti di un tutto, un unicum. Ancor più interessante sembrano essere le cadute. Prima di alzarsi in piedi permettono di proiettarsi verso direzioni nuove. Non si tratta, in questo caso, di inventare nuove dinamiche del contatto con il suolo, quanto piuttosto di riscoprirle e di impossessarsene nuovamente. Senza una caduta non può esserci in definitiva una spinta verso l’alto, un salto.
Nella stessa sessione serale, in sequenza, Fuori Programma ha ospitato la Lior Tavori Dance Company di Tel Aviv con Mars, uno studio sull’identità maschile, aggiornato al tempo presente, interpretato da Ori Moshe Ofri, Amit Marcino, Reches Yitshak e Tamar Lev.
Mars come una delle divinità più importanti dell’antica Roma nel Pantheon, il dio della guerra a cui è dedicato Marte, il pianeta rosso, Marzo, il terzo mese dell’anno e il Martedì, il secondo giorno della settimana.
Quattro corpi maschili in scena realizzano un manifesto programmatico di libertà e di emancipazione dai ruoli di genere. La danza, con i suoi linguaggi, riesce a smontare gli stereotipi, gli schemi predefiniti, mettendoli in discussione. Fin dall’inizio, Mars di Lior Tavori si palesa come un interscambio dinamico di movimenti, di aggregazioni e di combinazioni corporee ad incastro che si susseguono fino alla fine tra corse, parti da solista, composizioni dove la gestualità viene modulata armonicamente dal ritmo.
Sfidando i limiti fisici, Tavori esplora e crea qualcosa di singolare che supera il linguaggio della danza. Un affresco che sarà irripetibile o comunque non replicabile all’infinito che contiene un messaggio artistico e coreografico. Il movimento, la fisicità, così come l’identità sono “Harder. Better. Faster. Stronger”, per usare il titolo di una canzone dei Daft Punk. Ossa, muscoli e articolazioni possono essere spinti al massimo, un corpo allenato può superare più di un limite, ma non potrà mai replicarli a lungo termine. Nella danza i corpi bruciano e si consumano in un arco di tempo definito ed è da questo sacrificio che si genera la bellezza. Diversamente dalle altre arti, il rito coreutico prevede che l’opera non sopravviva all’artista come un quadro o una scultura, se non nel ricordo e con le emozioni di chi l’ha vissuta.
Il rituale di cui si occupa Francesco Marilungo con la sua restituzione-presentazione di Stuporosa, al termine della residenza presso il Teatro Biblioteca Quarticciolo, trae ispirazione ed ha come riferimento il saggio “Morte e pianto rituale” di Ernesto De Martino. Con diversi nomi quali lamentatrici, prefiche, reputatrici, il pianto di quelle donne mercenarie accompagnava i cortei funebri. Loro avevano il compito di compiangere e di esaltare le virtù dei defunti.
Secondo De Martino, due possono essere le reazioni al dolore nei confronti della morte: l’esasperazione violenta oppure uno stato di catatonia e di “ebetudine stuporosa”. Il lavoro e la ricerca coreografica di Francesco Marilungo mette al centro il recupero di alcune pratiche, canti, danze popolari del passato, portando in scena lo schema e la mimesi del dolore, i due estremi opposti: la staticità da un lato e il dinamismo parossistico dall’altro. Tradizioni di cui si è quasi persa ogni traccia, lentamente, dal secondo dopoguerra in poi, sopravvissute fino agli anni ’70, per poi sparire.

Nelle lacrime e nel pianto di quelle donne, l’antropologo ed etnomusicologo Ernesto De Martino riconosce un legame simbolico tra chi resta e chi muore, simile a un cordino. Rappresenta un segno di interpunzione necessario affinché i congiunti possano elaborare il lutto, la perdita. Le cinque performer-prefiche, eredi legittime della cultura mediterranea, che Francesco Marilungo ha selezionato per Stuporosa sono: Alice Raffaelli, Barbara Novati, Roberta Racis, Francesca Ugolini, Vera di Lecce. Insieme con loro Marilungo ha creato una drammaturgia e una coreografia dove la morte, da fatto biologico diventa espressione culturale e arrivano a fondersi insieme le pulsioni, le superstizioni e le emozioni.
Non è un caso che il lutto sia diventato sempre di più un fatto solitario, isolato, nascosto come qualcosa di scandaloso. Parole come condoglianze e compassione sembra siano diventate difficili da pronunciare e usare nonostante contengano la particella latina “cum”, l’abbraccio simbolico rappresentato dalla congiunzione “con”. L’obiettivo posto al centro di questo progetto vuole essere quello di riflettere e recuperare la condivisione perché ogni persona, come sostiene Francesco Marilungo, dovrebbe avere il diritto di essere commemorata mediante il pianto.
Conclude il nostro reportage lo spettacolo ON/OPUS III che ha chiuso il Festival Fuori Programma, con tre performer protagonisti: Caroline Lam, Krassen Krastev, e Morgane Dickler-Doukelsky, in prima nazionale al Parco Tor Tre Teste. Un momento di poesia e di introspezione, nella semplice complessità di un rito collettivo, che rinnova l’estetica e la pratica della pole dance.
Gli artisti camminano in cerchio seguendo un’orbita immaginaria, come il viaggio che compie la Terra attorno al Sole e, contemporaneamente, sporadicamente, si staccano per realizzare un movimento aereo, rotatorio. Ogni corpo sfida le leggi della fisica ruotando, come la Terra, intorno al proprio asse. La precisione di quel meccanismo verrà spezzata verso la fine, alternando ordine e caos.ON/OPUS III sembra parlare di e con noi, di quanto siamo intrappolati in una routine cosmica millenaria, come pianeti. Immensamente grandi se considerati singolarmente e clamorosamente piccoli se collocati in uno spazio infinito che la mente umana non potrebbe rappresentare. Con questi pensieri nella mente, emergono le parole di una celebre frase di Simone de Beauvoir che sembra realizzare una sintesi tra le immagini degli spettacoli visti con la mission di Fuori Programma. “Invidiai un cuore capace di battere all’unisono con l’universo”.

Redattore editoriale presso diverse testate giornalistiche. Dal 2018 scrive per Theatron 2.0 realizzando articoli, interviste e speciali su teatro e danza contemporanea. Formazione continua e costante nell’ambito della scrittura autoriale ed esperienze di drammaturgia teatrale. Partecipazione a laboratori, corsi, workshop, eventi. Lunga esperienza come docente di scuola Primaria nell’ambito linguistico espressivo con realizzazione di laboratori creativi e teatrali.