Fuori dall’oscurità c’è la speranza: la sperimentazione Multisensoriale di Arno Schuitemaker

Nov 11, 2024

Le opere e le creazioni di Arno Schuitemaker sono momenti di profonda sperimentazione. Le sue performance si caratterizzano come l’esercizio all’abbandono più estremo, flessibile e accondiscendente, lasciando una duratura sensazione di trasporto impetuoso e di coinvolgimento emozionale. 

La sua ricerca coreografica contemporanea e radicale immerge il pubblico in un universo di luci, oscurità, movimento e onde sonore in continua espansione. Caratteristiche che lo rendono uno degli artisti performativi più affascinanti del momento. Le forme che crea danno senso ed espressione a temi universali come la paura, il desiderio, la speranza..

Con 30 Appearances out of darkness, presentato durante l’ultima edizione di Romaeuropa Festival, coreografo olandese gioca in modo sottile con le apparizioni e le sparizioni dei corpi in movimento tra i pilastri di velluto nero di una scena scarna. Il buio del teatro è una condizione, un luogo sicuro. Lì dove si prova l’eccitazione, la sensazione di vivere qualcosa di speciale grazie anche alle composizioni musicali di Aart Strootman e al design delle luci di Jean Kalman. Cosa rappresenta il non poter vedere tutto?  È stimolante, frustrante , interessante? C’è un sottile profumo di speranza nell’ abbandonarsi al  buio più totale? Ne abbiamo parlato con Arno Schuitemaker.

Quali eventi ed esperienze hanno plasmato 30 Appearances out of darkness e cosa ti ha ispirato?

Alcuni anni fa stavo leggendo un libro dell’artista Derek Jarman intitolato Chroma. È un libro poetico e bellissimo sui colori. C’era anche un capitolo sul colore nero. Quando lo stavo leggendo, qualcosa ha catturato la mia attenzione. Jarman scriveva: «Il nero è senza speranza? Non ha ogni nuvola temporalesca una fascia d’argento? Nel nero risiede la possibilità di speranza». È stato affascinante pensare che  l’oscurità potesse essere interpretata come qualcosa di positivo. Mi sono subito reso conto che sarebbe stato un ottimo punto di partenza per una performance. Perché l’oscurità nel teatro non è affatto insolita, anzi spesso la rendiamo buia nel teatro. Ma invece di considerare l’oscurità come l’assenza di luce, volevo parlarne in relazione a ciò che vi associamo: l’ignoto, il vuoto, l’oscuro. In altre parole, volevo usare l’oscurità nel mio senso metaforico e scoprire come possiamo cambiare la sua prospettiva in qualcosa di promettente.

Come descriveresti 30 Appearances out of darkness?

30 Appearances out of darkness In realtà comincia con molta luce, tantissima. Da questa luminosità, che è quasi accecante, creiamo l’oscurità. Utilizzando luci molto fioche, al limite della visibilità, scopriamo i danzatori uno per uno. Ma non è subito chiaro  quanti siano e come sia lo spazio in cui si trovano. C’è una sensazione di disorientamento. Ho trovato questo molto interessante perché quando ci troviamo in  tempi oscuri, questa oscurità che sperimentiamo può disorientare. Ci sentiamo fragili, ma se ci arrendiamo adesso può darci di nuovo forza.  La performance è un invito a scomparire nell’oscurità per trovare l’illuminazione, per vivere L’esperienza di poter uscire di nuovo dall’altra parte.

© Bart Grietens

Come la tua storia personale ha influenzato la tua visione e la tua percezione dell’arte, del mondo e della società? 

La danza come forma d’arte è arrivata tardi nella mia vita. Quando ho visto la mia prima performance di danza, credo che avessi circa 22 o 23 anni, sono rimasto stupito da come potesse generare emozioni, come potesse mettere le persone in contatto con loro stesse. Questa esperienza è stata molto importante per il modo in cui ora mi piace creare il mio lavoro. Mi piace avvicinarmi all’idea di una performance come a un’esperienza, qualcosa in cui ci si può immergere piuttosto che essere semplicemente osservatori. Trovo che sia anche un modo bello e importante di comunicare nel nostro mondo digitalizzato, quello di comunicare con i nostri sensi e di vivere qualcosa di significativo in questo modo.

Quali sono state le sfide e le scoperte più grandi che hai affrontato durante il processo creativo?

Quello che è stato difficile è stato che avevo bisogno dell’oscurità per capire su cosa stavo lavorando, ma lo studio non poteva diventare molto buio. Gli studi non sono fatti per questo. Ho dovuto usare molta immaginazione pensando continuamente a come sarebbe potuto apparire ciò che stavamo facendo. Una bella scoperta è stata l’importanza della scelta di avere i danzatori nudi nella performance. Quasi non si nota, soprattutto all’inizio, ma lo si percepisce E questo rende l’intera esperienza più raffinata a livello sensoriale.  è stata una scelta importante per questo lavoro.

L’oscurità, il mistero possono essere disorientanti e minacciosi. Possono trasformarsi in potenziale umano?

Sì, penso che sia possibile. Ma prima devi arrenderti, devi entrarci dentro e guardare il leone negli occhi. Questo è essenziale affinché la trasformazione diventi potenziale. È lo stesso, per esempio, con il lutto. Può essere un momento molto difficile della vita, può sembrare molto oscuro, la perdita di qualcuno o di qualcosa. È importante arrendersi al lutto, per quanto difficile sia. Arrendersi a tutte quelle emozioni, sentirle tutte, altrimenti è difficile uscirne. È utile sapere e rendersi conto che è importante attraversare le emozioni oscure e che, attraversandole, si può ritrovare la speranza nei momenti in cui ci si sente completamente persi. In questo senso, le parole della scrittrice Rebecca Solnit sono molto precise: «La speranza è rischiosa poiché in fondo è una forma di fiducia, fiducia nell’ignoto e nel possibile».

Troveremo di nuovo l’intimità o resteremo permanentemente soli nell’oscurità?

Nella performance i danzatori si ritrovano e vedo la fine dello spettacolo come una conquista, una danza di vittoria sull’oscurità. Escono dall’altra parte insieme e generano un’energia molto forte. È questa energia che ci fa sentire molto connessi con i danzatori ed è piuttosto potente, credo.

Quali sono gli elementi chiave che dovrebbero essere presenti in una creazione di danza contemporanea per renderla veramente significativa? 

L’onestà. Questa è la cosa più importante. Se sei onesto riguardo ciò che vuoi condividere e comunicare, allora hai già tra le mani le cose più importanti.

Nel tuo concetto di danza c’è o non c’è un limite concettuale o fisico per l’espressione?

Mi piacerebbe credere che non ci sia. Penso che tutto possa essere espresso, ma è  il come farlo che può renderlo interessante da guardare e vivere.

C’è qualcuno con cui non hai ancora lavorato, non necessariamente nel campo della danza, con cui ti piacerebbe collaborare?

Ci sono molte persone con cui mi piacerebbe lavorare. Ci sono tantissimi artisti che mi ispirano!  ma ce n’è una con cui scherzo sempre un po’, mi piacerebbe lavorare con Cate Blanchett. Lo farei davvero.

© Bart Grietens

Se non fossi coinvolto nella danza e nella coreografia quale altro percorso artistico ti piacerebbe esplorare?

Forse sarei uno scrittore. Mi piacerebbe scrivere un libro. Non so di cosa tratterebbe il libro e non penso di essere molto bravo a scrivere, ma se posso fantasticare, questo sarebbe il percorso artistico che sceglierei.

Pensi che il futuro, il tuo futuro, il nostro futuro come generazione stia andando verso la luce o verso l’oscurità?  Cosa pensi che accadrà a noi?

Penso che tutto dipenda da noi. Abbiamo una scelta, credo. Noi possiamo scegliere la luce.

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