Di Mila Di Giulio e Ornella Rosato
La tematizzazione della violenza non è un’estranea della scena. Al fronte però di questa conformazione fluida e organica della contemporaneità teatrale, la domanda che abbiamo posto agli autori e alle autrici di Violenza e scena. Funzioni, immagini, traiettorie, il nuovo numero de «Lo Scandaglio» è stata: Come continuare interrogarsi sulla violenza in scena?
Ad aprire il discorso è l’editoriale di Michele Altamura, in La ferocia in scena: tre istantanee, un dispositivo visivo fatto di frammenti che raccontano le modalità con cui si manifesta la violenza quotidiana, espressa attraverso diversi canali mediatici, entra nel processo di creazione scenica, facendo emergere quel processo invisibile ma ingombrante che ha a che fare con l’immagine-cristallo di Gilles Deleuze, di cui parla Flavia Dalila D’amico in Un pettirosso addenta un verme. Se la violenza è fuori scena, approfondendo i mutamenti nei processi di agnizione della violenza, attraversando tre lavori: Go Figure di Sharon Fridman, Necropolis di Arkadi Zaides e Sottobosco di Chiara Bersani che fotografano una realtà, rivelandone le contraddizioni senza risolverle. Questa fotografia della realtà, analizza Lucrezia Ercolani in Lo spettacolo contro lo spettacolo. Su ULTRAFICCIÓN di El Conde de Torrefiel, può assumere forme latenti, come nel caso del celebre spettacolo di El Conde de Torrefiel, che svela la violenza latente, ovvero quella nascosta nei processi sociali, una visione, quella di Tanya Beyeler e Pablo Gisbert, che spinge oltre la richiesta nei confronti dello spettatore: non puntando alla censura, ma alla presa di coscienza dello spettatore attraverso un’assenza strategica della rappresentazione diretta della violenza.
Quali sono dunque le prospettive evolutive del ruolo della violenza a teatro?
Eliana Rotella nel suo Your Body is a Battleground? allarga il campo e si interroga sulla contestualizzazione: se la prima di Blasted di Sarah Kane nel 1995 si collocava in un contesto che si prestava a un’interpretazione quasi univoca del ruolo delle azioni violente, la risposta, con il ruolo ritrovato di buonismo, censura, vergogna, cura, trasformazione, perbenismo intrinseco, sposta il focus e confonde le acque. Nella confusione degli elementi uno spazio da protagonista è rivestito dalla categoria dell’imperscrutabile, le leggi incomprensibili del destino, evocate dall’intervista a Emiliano Bronzino di Lorenzo De Benedictis, che approfondisce la specificità dello spazio del Teatro Greco di Siracusa, come luogo privilegiato per l’evocazione dello spettro della ritualità, che permette di portare alla luce i nodi primigeni della tragedia.
L’imperscrutabile, l’incomprensibile diventa anche Uneimlich, non familiare in Per una domestica della violenza: Medea’s children di Milo Rau, che attraverso il racconto di Medea’s Children di Milo Rau testimonia un esperimento di scardinare i rituali tragici di relegare la violenza alla narrazione, mettendo in scena l’omicidio di Medea, riflettendo sul sentimento di disagio che un meccanismo di questo stampo innesca nello spettatore. Un disagio che ha a che fare con la presa di responsabilità di cui parla Sabrina Fasanella in Dentro al dolore degli altri. Cosa chiediamo al teatro? che, citando esempi come Fotofinish di Antonio Rezza e le testimonianze della reporter di guerra Francesca Mannocchi, apre interrogativi divisivi sulla familiarizzazione con lo shock, riflettendo sul posizionamento di limiti all’interno di questo discorso.
Una prima risposta potrebbe riguardare il rapporto fra identità e appartenenza, che è al centro del contributo di Chiara Molinari, Il pronome personale è importante. Collettività e violenza in Wonder Woman e Zorro di Antonio Latella e Federico Bellini, che analizzando i due recenti spettacoli di Antonio Latella evidenzia la centralità di questo binomio nell’attitudine attraverso cui il regista guarda a due urgenze del quotidiano come la violenza di genere e la sperequazione sociale. A chiudere l’indagine sulla problematizzazione della violenza è la recensione di Nicolas Toselli della raccolta Questo corpo è un uomo. Quaderni Tra il 1945 e il 1948 di Antonin Artaud, a cura di Lucia Amara per Neri Pozza, che pone l’attenzione sulla coscienza della corporeità, epicentro della riflessione artaudiana durante gli anni nella clinica d’Ivry, alla ricerca di una forma che comprendesse il corpo e la ferita.
Come continuare interrogarsi sulla violenza in scena?, dunque. Violenza e scena. Funzioni, immagini, traiettorie, replica al quesito, moltiplica domande, analizza modelli. Talvolta per annientarli e ricostruirli.

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