Ripartire sì, ma con parametri diversi. È questo il coro unanime delle Fondazioni Lirico Sinfoniche, levatosi dalla tavola rotonda organizzata lo scorso 26 giugno dalla casa editrice Franco Angeli per la presentazione del volume Dietro le quinte dell’opera. Organizzazione, comunicazione, produzione e gestione dello spettacolo lirico dal vivo a cura di Alberto De Piero e Michele Lai.
«I teatri d’opera sono ripartiti tutti in Italia, questo comparto di ANFOLS ha fatto una scelta precisa, forte, difficile: quella di condividere la responsabilità della ripartenza. Questa ripartenza è una scelta politica, di responsabilità civile, non immagino la mia città che riparte senza il Teatro Massimo».
Queste le parole emblematiche di Francesco Giambrone, Presidente ANFOLS e Sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo. Una scelta politica e di responsabilità civile condivisa da tutti, anche contro il criterio della sostenibilità di Teatri e Fondazioni che danno lavoro a un numero di persone assimilabile a quello di un’azienda medio-grande. La riflessione del presidente ANFOLS, infatti, si concentra anche su quest’aspetto: non si possono ancora pensare questi luoghi come avulsi dalla realtà sociale ed economico-produttiva del Sistema Paese.
«La grande scommessa – continua sullo stesso punto Paola Dubini, docente di Management culturale presso l’Università Bocconi – è guardare ai teatri e alle fondazioni come aziende e penso anche che sia necessario agire con astuzia per entrare nelle grandi agende. Le Fondazioni Lirico Sinfoniche possono essere una risposta alla povertà educativa, all’incremento del turismo, alla crescita professionale globale in un ambito nel quale abbiamo una qualità intrinseca, un vantaggio. Credo che saranno mesi molto interessanti, estremamente impegnativi per chi opera in questo settore».
Il teatro e la musica hanno l’arduo compito di combattere il rischio di un neo-feudalesimo delle aziende che, però, vanno valutate in merito alla qualità e all’azione valoriale che svolgono sul proprio territorio e non in base a criteri quantitativi. Tutti i partecipanti hanno concordano sul dovere di ripensare, in modo assoluto, l’algoritmo che è alla base del calcolo di assegnamento del Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS).
Un ripensamento che, secondo lo scrittore e storico Sandro Cappelletto, è divenuto necessario affinché il teatro non si chiuda in se stesso e non continui a eseguire solo le opere più famose, in una perpetrazione di quello che lo rende un “rito vuoto”; affinché si scongiuri il neo-feudalesimo alle porte, con il teatro e la musica che entrano a far parte delle mura delle enclosures delle élite che possono permettersi i concerti e gli spettacoli, mentre la gente che ne rimane fuori diventa preda del populismo. Un teatro, infine, che diventi culla di quel nuovo umanesimo, che ancora si fatica a scorgere all’orizzonte.
Il ripensamento dell’azione teatrale, deve essere affrontato nella presente situazione di distanziamento sociale, che ostacola i grandi complessi orchestrali e che, come dice il Maestro Daniele Gatti, deve essere sfruttata come possibilità:
«Perché non trovare programmi alternativi? Io ora sono a Firenze per eseguire due sinfonie di Haydn e Gluck a cui difficilmente avrei lavorato in altre occasioni. Queste restrizioni mi impongono un frame all’interno del quale ripensare i programmi musicali. Non pensate che Aida, Traviata, Tosca siano delle scialuppe di salvataggio? Così non rischiamo di svilire le opere? Sarei felice di vedere proposte coraggiose per cimentarsi in proposte inusuali».
Didattica e formazione per il pubblico di domani
Sulla disuguaglianza e sull’urgenza di un’azione contro la povertà educativa verte anche l’intervento di Michele Dall’Ongaro. Il Presidente della Fondazione Santa Cecilia di Roma sottolinea quanto siano necessari progetti a medio-lungo termine che, ad oggi, la politica del consenso non è in grado di garantire, dato che gli investimenti sulla cultura si riscuotono dopo almeno una generazione. Il pubblico di età media sempre più elevata è un problema serio che testimonia una passata cattiva politica culturale e che dovrebbe divenire monito per il futuro.
«Come Santa Cecilia abbiamo 12 cori infantili, abbiamo istituito un coro a Rebibbia, abbiamo allargato l’opportunità di fare musica. Questi bambini cercano rigore, futuro, metodo e quello che trovano è sicuramente questo tipo di prospettiva, sulle quali si basano i consumi culturali della famiglia. Noi dobbiamo creare continuamente queste situazioni, dobbiamo costruire una rete molto ampia nella quale ci si incontri, ci si confronti, ci si informi. Se non avviene una formazione già a partire dalla scuola, non può esserci futuro».
Una tavola rotonda dunque in cui il confronto costruttivo e le proposte sono state tante e unanimi. Sintomo questo di un sistema che ha ben chiari i suoi punti deboli e che, in questo lockdown, ha avuto l’opportunità di formulare delle proposte. Allo stesso tempo, vi è la convinzione che questa sia un’occasione unica, forse l’ultima, per riformare il settore dello spettacolo e del teatro musicale.