Il Festival Labirinto nasce nel 2016 per volontà degli attori del Gruppo della Creta. Concepito come un’intersezione culturale dove poter incontrare artisti provenienti dalle discipline e dai contesti più vari, il Festival è all’alba della sua seconda edizione che si svolgerà dal 15 al 28 maggio presso il Teatro Studio Uno (Torpignattara – Roma).
Abbiamo intervistato Alessandro Di Murro del Gruppo della Creta per scoprire il concept del progetto:
• Ciao Alessandro, cosa cela il nome Labirinto?
Il Labirinto è un luogo dove perdersi, di cui non si conosce né l’entrata né l’uscita e in cui si cerca disperatamente il centro, luogo probabilmente irraggiungibile se non addirittura inesistente. Nel binomio tra cercare l’uscita e raggiungere il centro si sono delineate la nostra poetica e le nostre scelte artistiche. Infatti, se da una parte le diverse arti o i diversi stili artistici rappresentano gli infiniti percorsi che si possono intraprendere all’interno del labirinto, dall’altra il tema del festival, ogni anno diverso, rappresenta quel centro cercato invano. La consapevolezza dell’impossibilità di raggiungere il centro è fulcro del progetto: questa consapevolezza permette di fuggire dal giudizio e dall’illusione di dover trovare una risposta definitiva.
• Dunque perdersi nella RICERCA.
Esattamente! Siamo convinti che la perdita dell’orientamento sia fondante e fondamento della nostra contemporaneità. Non combattiamo lo straniamento con risposte e grandi verità, ma lo affrontiamo nella ricerca: non ricerca fine a se stessa e alienante, ma ricerca vera perché concreta e tangibile per lo spettatore, formata da spettacoli, installazioni e performance che lo accompagnano nella sua perdita di senso. In poche parole, il filo d’Arianna a noi non interessa. Questo elemento instabile, non fissato, la voglia di fuggire da verità rivelate e incontestabili è parte fondante della poetica del Gruppo, che ha fatto della caratteristica malleabilità e mutevolezza della creta la reificazione della sua espressione artistica, sia nella recitazione che nella regia, sia nelle scelte organizzative che di produzione.
• Come nasce il vostro progetto?
Labirinto è nato come una casualità. Prima di tutto da un punto logistico fu una circostanza economica che ci fece avere tra le mani un teatro per tre settimane. Non è una vergogna raccontarlo: il teatro è legato ad aspetti economici, sociali e politici in egual misura. Per questo può parlare del reale. Dover gestire un teatro per un periodo così lungo ci ha portato alla creazione del Festival. Ogni festival che si rispetti ha un nome che si ricordi. Abbiamo impiegato un sacco di tempo per trovare il nostro e l’unica chiave di volta che ci ha permesso di definirlo è aver preso coscienza della nostra condizione. Il nome del nostro collettivo, Gruppo della Creta, da sempre ci riporta a mondi classici e a mitologie greche. Già con uno dei nostri spettacoli, Cassandra, eravamo stati rapiti dal fascino di quel periodo. D’altra parte, la sensazione di trovarsi sempre in un luogo ostile, dove le pareti che ti proteggono sono le stesse che ti ingabbiano, era nota. L’immagine di un Labirinto fatto di paure, provini, ansie e incertezze ci stava indebolendo. Finché, dato il carattere solidale della nostra compagnia, ci siamo domandati se non fosse stato più utile popolare questo labirinto: “Se non riesci ad uscire dal tunnel, arredalo”.
Abbiamo deciso di raccontare la nostra condizione con il nostro teatro, non solo sulle tavole del palcoscenico, ma attraverso una struttura a tutto tondo. Ecco che nasce Labirinto: un luogo non di esibizione, ma di condivisione. Condivisione con il pubblico. Condivisione con altri artisti. Condivisione con il territorio che lo ospita. Perché anche se è vero che ci troviamo dentro un Labirinto dove l’ingresso è introvabile e il centro irraggiungibile, i percorsi per viverlo sono infiniti e tutti ricchi di una bellezza da scoprire.
• Quale riscontro c’è stato dalla prima edizione del Festival?
A 10 giorni dall’inizio della prima edizione del Festival (febbraio 2016) non eravamo pronti ma, come lui non aveva aspettato a nascere, non aspettò neanche a cominciare. Tutto funzionò, ovviamente con mille riserve! Per tre settimane abbiamo avuto la fortuna di avere tanti ospiti come Luigi Mezzanotte, attore di Orgia con la regia di Pasolini nel 1968, Giancarlo Sammartano, Federico Vigorito e Ninetto Davoli, che gentilmente ha recitato per noi il prologo del Vantone.
Tanti registi hanno portato il proprio lavoro nei meandri del nostro festival: Sergio Basile ha messo in scena un testo di Elena Fanucci, Lorenzo De Liberato ha diretto Chiara Poletti e Massimo Cinque, con Senza Confini, uno spettacolo sulla prima guerra mondiale. Senza ancora sapere cosa fosse esattamente Labirinto, avevamo un festival delle arti al cui interno convivevano video arte (grazie ai lavori del regista Mattia Mura), teatro ragazzi (Il magico mondo di Maka è stato il fiore all’occhiello della nostra creazione), un concorso di pittura, che abbiamo chiamato Minotauro, curato da Enea Chisci e sponsorizzato da Artemisia Lab. Sintesi di questa grande commistione di arti è stato il nostro primo spettacolo completamente auto prodotto dal Gruppo della Creta: Per sei dollari l’ora.
• Cosa bolle in pentola in vista della seconda edizione ?
Nel 2016 abbiamo partecipato al bando indetto dalla SIAE per finanziare progetti, vincendolo. Grazie al loro sostegno abbiamo deciso di ripetere l’avventura, producendo la seconda edizione di Labirinto. Questa volta siamo cresciuti e abbiamo scoperto nuovi percorsi in cui perdersi. Per ora mi fermo qui, non svelando nulla sulla programmazione, ma vi invito alla conferenza stampa del 10 maggio (ore 11.30 Teatro Studio Uno).

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