Fine pena ora, in scena al Piccolo Teatro Grassi

Dic 4, 2017

In scena fino al 22 Dicembre 2017 presso il Piccolo Teatro Grassi  Fine pena: ora di Paolo Giordano con la regia di Mauro Avogadro.

In scena, due vite con un tracciato obbligato e un esito quasi inevitabile, che nel reciproco confronto, nel doloroso specchiarsi l’una nell’altra, trovano uno spazio di libertà, di maturazione, un’occasione di scacco al destino.

Paolo Giordano, pluripremiato autore di “La solitudine dei numeri primi”, si ispira al libro di Elvio Fassone “Fine pena: ora” (Sellerio editore) per una scrittura scenica che disegna il miracoloso e improvviso annodarsi di mondi paralleli. A guidarne le geometrie sulla scena, a rendere ‘carne viva’ le parole dei due protagonisti (Sergio Leone e Paolo Pierobon), Mauro Avogadro, al quale il Piccolo Teatro ha affidato la regia di questa nuova produzione: un’indagine sui delitti e sulle pene, sul senso e il valore del riscatto, sugli intrecci e le coincidenze nei quali il caso o le leggi della fisica fanno inciampare le umane vicende.

 Nel 1985, a Torino, si celebra un maxiprocesso alla mafia catanese. I lavori durano quasi due anni. Tra gli imputati figura Salvatore, poco più che un ragazzo, ma già un criminale che ha lasciato dietro di sé una scia di morti ammazzati e di azioni criminose: sarà condannato all’ergastolo. Tra lui e il presidente della Corte di Assise si è stabilito un rapporto di reciproco rispetto, quasi di fiducia. Il giorno dopo la sentenza, d’impulso, il giudice gli scrive e gli invia in carcere un libro.

Sarà l’inizio di una corrispondenza destinata a durare ventisei anni, durante i quali ciascuno vivrà la propria vita: il giudice, compiendo un percorso di carriera come magistrato e politico, fino alla pensione, sempre interrogandosi sul senso della pena carceraria; il recluso, tra gli alti e bassi del carcere, tra la speranza di una riabilitazione e i tormenti del 41 bis, tra un percorso di emancipazione culturale – grazie anche al giudice – e un tentativo di suicidio.

Nel carcere della condizione umana

di Mauro Avogadro

(estratto dal programma di sala dello spettacolo, a cura dell’Ufficio edizioni del Piccolo Teatro di Milano)

Ho pensato a uno spettacolo costruito a inquadrature. Sia perché il rapporto che si crea tra i personaggi – e di conseguenza tra gli attori che li interpretano – per come è raccontato nel testo, ha un’intensità cinematografica, sia perché è una chiave per convogliare l’attenzione del pubblico là dove mi preme che si focalizzi. Volevo che i movimenti di scena e le azioni “costringessero” in qualche modo lo spettatore a guardare quel che noi volevamo vedesse, che, cioè, nonostante fossimo in teatro, si stabilisse con molta naturalezza un gioco di campi e controcampi a supporto della parola detta. Per come oggi il nostro cervello è sollecitato dai messaggi e dagli strumenti con cui comunichiamo è cambiato il rapporto con la parola: non perché è detta, automaticamente essa significa. Diverso è se lo spettatore si immerge nelle vicende dei personaggi non soltanto perché segue una trama, ma perché si appassiona emotivamente a quanto avviene in scena.

Il testo originale è passato attraverso una serie di necessari tradimenti. Il magistrato Fassone ha affidato alla pagina la propria storia vissuta; un drammaturgo e scrittore, Paolo Giordano, ha operato il primo tradimento traendone un testo teatrale. Il regista è “colpevole” del secondo tradimento: non racconta solo l’originalissima storia di un giudice che, a pochi giorni dall’aver comminato un ergastolo, si mette a scrivere al condannato il quale, invece di mandarlo al diavolo, gli risponde per i successivi ventisei anni; voglio anche insinuare nel pubblico il dubbio che, in una società omologatrice come quella borghese, anche il giudice – e con lui tutti noi – sia costretto in un proprio carcere, un penitenziario esistenziale, perché la condizione umana è di per sé concentrazionaria. […] Attraverso la storia di un giudice e di un carcerato raccontiamo la perenne pericolosità della diversità. In questo testo se ne parla per come le cose realmente sono: due individui agli antipodi provano un reciproco interesse che tuttavia non azzera mai la loro profonda e incancellabile differenza. […] Mi piacerebbe suscitare due reazioni nel pubblico. In primo luogo, naturalmente, vorrei che uscisse  alimentando in sé un interrogativo in più su cosa voglia dire decretare la morte civile di una persona. In fondo l’ergastolo sta un passo indietro, ma forse non troppo, alla cosa peggiore che io possa immaginare: la pena di morte. Se è orribile che una comunità, uno Stato, stabilisca di togliere la vita a un altro essere umano, è altrettanto vero che il fine pena mai è la stessa condanna sotto mentite spoglie. Quindi come può la società difendersi da chi si macchia di atrocità senza farsi essa stessa carnefice?

Secondariamente vorrei che gli spettatori pensassero che forse anche mondi diversi possono incontrarsi. Rifuggo dalla retorica del “siamo tutti uguali, non esistono differenze”, ma è vero che, forse, esiste un ponticello sul quale possiamo incontrarci. Non un’autostrada: un sentierino.

Piccolo Teatro Grassi (Via Rovello, 2 – M1 Cordusio), fino al al 22 dicembre 2017

Fine pena: ora

di Paolo Giordano, liberamente tratto dal libro di Elvio Fassone

regia Mauro Avogadro

scene Marco Rossi, costumi Gianluca Sbicca, luci Claudio De Pace, musiche Gioacchino Balistreri

con Sergio Leone e Paolo Pierobon

produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

 foto di scena Masiar Pasquali

 

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