La compagnia Abbondanza/Bertoni conferma la sua presenza al Festival Mosaico Danza Interplay con il suo ultimo lavoro, Femina, presso la Casa del Teatro Ragazzi e Giovani di Torino. Lo spettacolo è il secondo episodio del progetto triennale della compagnia sull’identità (Io è un altro) ed è stato nominato nella categoria di Miglior Spettacolo di danza del premio Ubu.
Il titolo è già un manifesto: femina, feminae è il sostantivo appartenente alla prima declinazione latina, e come, la declinazione che esprime le funzioni logiche di un nome e le cui desinenze individuano le varie forme che quel nome può assumere, Femina è a tutti gli effetti uno spazio di traduzione di possibili profili e denominazioni del femmineo propri del mondo contemporaneo.
In una platea ancora pienamente illuminata, ad una ad una le quattro danzatrici (Sara Cavalieri, Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas, Ludovica Messina Poerio) riempiono lo spazio bianco e spogliato da ogni riferimento e connotazione. Le performer indossano una parrucca biondo platino, chiaro rimando all’iconico caschetto di Raffaella Carrà, e più strati accumulati di biancheria intima color carne.
Lo spettacolo ha origine dal gesto dell’applauso a rievocare quello tipico del pubblico, che, per lo più, sancisce invece il termine di una rappresentazione teatrale. Poi le luci si affievoliscono e, a poco a poco, l’atto, insieme con il suono prodotto, sfumano fino a scemare.
Qui, il battito di mani è sottratto dal suo significato di celebrazione e di consenso e prepara lo spettatore alla progressiva de-significazione dei corpi, a cui sta andando ad assistere.
Lo sguardo delle danzatrici è vitreo, fisso verso gli astanti, ideato programmaticamente da Antonella Abbondanza e Michele Bertoni per far sperimentare al pubblico la condizione che il corpo femminile subisce costantemente.
Questi occhi inscenati non sono altro che la restituzione di uno sguardo concreto e quotidiano che la donna sente su di sé.
Uno sguardo che contiene giudizi e pretese culturali e sociali che, nonostante costruite e indotte, sono spesso credute un riflesso naturale.
I corpi assumono movenze meccaniche e pulsanti, accompagnate dai suoni sintetici dell’ album Dysnomia di Dawn of Midi, che aderiscono con armonia a tutta la coreografia. Il movimento è serrato e continuo e da esso scaturiscono gestualità minime e precise per l’intera durata di 50 minuti. Dalla scrittura coreografica, per lo più in sincrono, nascono alcune lievi sfasature, attraverso un canone o un piccolo momento solistico. Nel momento in cui una delle danzatrici sembra rompere l’unità in una di queste azioni individuali, le altre tendono quasi sempre a riassorbirla, come a dimostrare che quella deviazione, seppur concepita nella partitura, non è fino in fondo realizzabile.
Nella coreografia si susseguono gestualità femminili e tipiche (almeno per la società contemporanea) del suo bagaglio di movimenti: controllare la carne in eccesso su braccia e gambe; la camminata tipica del runway inframmezzata da cadute goffe e de-femminilizzanti; sorrisi oltremodo forzati, che inevitabilmente si situano in contrasto con uno sguardo pungente e fisso. Gioia, sofferenza, gioco, alienazione, resistenza e bellezza si alternano, sovrapponendosi.
«Abbiamo voluto creare piccole azioni, gesti e partiture che fossero una scrittura del femminile nella nostra società a rigenerarsi e generare bellezza anche all’interno di queste precondizioni costringenti e alienanti».
Sul finale, le danzatrici lasciano la scena e un profondo taglio verticale che ricorda le tele di Lucio Fontana si apre al centro del fondale, donando al pubblico la visuale di una slabbratura erotica, ma anche la possibilità di fendere, seppure solo materialmente, questa condizione ancora invariata e invariabile.
Femina evoca l’impossibilità di ogni abbozzata ribellione, come se, per queste giovani, la meccanica dell’imposizione sia emanata da e per loro stesse. Smarrendo l’idea di emancipazione finisce per perdersi anche la possibilità stessa di individuare ogni forma di coercizione. Un abbozzato sentore di collera sembra affiorare sulle battute finali del lungo quadro coreografico caratterizzato dalla svestizione ironica di parte della lingerie, fatta roteare a tempo di musica o messa in bocca quasi a volerla celare.
Femina è una scrittura corporea dell’idea del femmineo insito nella società occidentale odierna. È denuncia e celebrazione del ruolo della donna e del suo corpo, troppo spesso osservato, abusato, giudicato.
Federica Siani è nata nel 1996 in provincia di Torino. Ha una laurea Triennale in Lettere Moderne e una Magistrale in CAM (Cinema Arti Performative Musica e Media) e nel frattempo ha proseguito la formazione da danzatrice contemporanea. Nel 2021 ha partecipato al Biennale College-Scrivere in Residenza presso la Biennale di Venezia e ha lavorato come moderatrice delle conversazioni ancora per la Biennale Danza 2022. Ad oggi, continua a cercare un sempre rinnovato incontro tra le sue due passioni: le parole e il linguaggio del corpo.