Eirad Ben Gal è un giovane coreografo israeliano con un sorriso contagioso e lunghi capelli castani che tiene raccolti durante il nostro incontro. Traspare dal suo volto che creare qualcosa di socialmente utile e impegnativo è una parte fondamentale del suo carattere, del suo modo di vivere e di pensare. I genitori di Eirad sono Liat Dror e Nir Ben Gal, due coreografi israeliani di successo. Imparare da loro è stato molto importante per lui che è nato a Tel Aviv ma è cresciuto a Mitzpe Ramon, una piccola città nel mezzo del deserto del Negev. Lì i suoi genitori hanno fondato il centro di danza Hangar Adama, ma dopo un po’ di tempo hanno spostato la sede della scuola perché si sono trasferiti in un moshav, una comunità agricola cooperativa, vicino a Sderot, una città che dista un chilometro dalla striscia di Gaza.
Dal 2000 gli abitanti di Sderot sono stati il bersaglio di razzi, mortai e ordigni. Le statistiche raccontano che più di 8000 missili hanno colpito la città e quando suona una sirena ci sono solo 15 secondi per trovare un riparo sicuro. Non è solo un centro nevralgico nella periferia socio-economica israeliana, ma è anche una comunità schiacciata da ininterrotti traumi emotivi. Sderot dista un’ora di macchina da Tel Aviv. Sin dalla sua fondazione nel 1951, Sderot è stata una base per i nuovi immigrati – inizialmente per ebrei curdi e marocchini e più recentemente per ebrei dall’Etiopia e dall’ex Unione Sovietica – e si è guadagnata la reputazione di essere una città diversa oltre che la capitale mondiale dei rifugi antiaerei.
Eirad Ben Gal danzava presso l’Hangar Adama e lavorava come coreografo e insegnante al Sapir College quando un giorno iniziò ad interessarsi alla situazione dei lavoratori edili, dopo che un operaio morì in un cantiere di Sderot. Persone invisibili che costruiscono case nelle quali non vivranno. Nel 2020, Ben Gal ha prodotto Building Downwards – Duet with a Concrete Block, che ha eseguito all’Intimadance Dance Festival di Tel Aviv. Uno spettacolo sui pericoli e sul costo, in termini di vite umane, della costruzione edilizia nel suo Paese. Il coreografo israeliano ha condiviso con noi la sua storia unica e le sue riflessioni.
Puoi raccontarci qualcosa di più della tua esperienza, della tua ricerca umana e professionale? E le difficoltà per te come persona, come coreografo che vive in Israele? È una difficoltà, un’opportunità o entrambe?
Penso che vivere in Israele sia difficile. Sin da quando ero piccolo c’eramolta violenza intorno a noi. A 18 anni mi sono arruolato nell’esercito per tre anni ed è stata un’esperienza unica nel bene e nel male. Ero molto giovane e avevo sempre a che fare con armi vere, questo ha influenzato i miei pensieri e la mia arte. Nell’esercito ho portato molti pesi, ho affrontato diverse difficoltà, fisicamente e mentalmente. Facevamo lunghi viaggi con carichi pesanti, cose personali e armi. Ho iniziato a camminare con la pesantezza; è stato davvero difficile per me ma alla fine mi è piaciuto capire come camminare in quella condizione, come far sentire meglio il mio corpo in quella situazione e penso che alcune di quelle sensazioni siano rimaste impresse in me ancora prima che io diventassi danzatore e coreografo.
Penso che nelle difficoltà ci sia molta compassione. Dal dolore e da tutte le cose che fanno soffrire c’è sempre un modo per fare del proprio meglio, e penso che questo sia come è vivere in Israele. A volte può essere davvero spaventoso, ma in questo posto posso trovare aspetti positivi, non solo negativi. Amo Israele, ho alcune criticità nel vivere lì, ma preferisco gestire le difficoltà all’interno del mio paese, prendermene cura e amarlo, piuttosto che vivere altrove. Molti artisti israeliani vogliono stare da qualche altra parte perché sentono che è troppo per loro. Penso che tutte le mie creazioni artistiche nascano dalla difficoltà. Sono molto connesso con le cose che accadono nel mio Paese, mi lascio prendere e coinvolgere da argomenti politici per creare le mie coreografie.
Hai iniziato la tua carriera prima o dopo l’esercito?
È iniziata solo dopo l’esercito. Prima facevo aerial acrobatics (acrobazie aeree), roba da circo. Entrambi i miei genitori sono ballerini e coreografi, quindi sono cresciuto in una casa con molta danza e mi piace molto ballare anche se in Israele “gli uomini devono essere uomini”. Quando faccio acrobazie aeree, mi piace muovermi e camminare con il mio corpo e questo è qualcosa di simile alla danza. È stato un processo naturale, una connessione iniziata quando ero bambino.
Cosa puoi dirci di quando eri bambino?
Sono nato a Tel Aviv, ma quando avevo sei anni i miei genitori hanno deciso di trasferirsi in una piccolissima città nel deserto, dove sono cresciuto. È davvero molto lontano da tutto, ma anche molto bello. Dove vivo io c’è il cratere più grande d’Israele. Penso di essere stato molto felice, probabilmente perché ero circondato da tanta arte e da persone fantastiche. Quando ho iniziato a saperne di più sulla mia sessualità, sono iniziati i problemi. Sono stato segretamente omosessuale per molto tempo, dall’infanzia, ai tempi del liceo e poi dell’esercito. È stato molto difficile per me vivere “in segreto” .
Solo perché ho vissuto in un posto piccolo ho subito la mascolinità in modo duro, in una grande città c’è più libertà di essere sé stessi. È stato molto difficile da superare, ma al tempo stesso ho fatto molti sport, ero nei movimenti giovanili che hanno plasmato il mio modo di pensare in modo positivo. Mi sono occupato di politica e di affari sociali, lottando per i diritti delle persone, fino ad oggi. Ci tengo e lotto per la giustizia. Quando ero al liceo ho capito che volevo cambiare il mondo, Israele, la mia città e penso che sia ancora collegato con l’arte che faccio e il coreografo che sono adesso.
Pensi che la tua esperienza possa essere qualcosa da condividere, per aiutare altri giovani? Fare coming out è il miglior consiglio da dare loro?
Assolutamente sì. Non so davvero perché così tante persone non accettino l’omosessualità oggi. Forse ne hanno paura. Comunque penso che essere sé stessi sia il miglior consiglio da dare, non importa quello che gli altri potrebbero pensare, dire o fare. Se vivi la tua verità, le brave persone verranno da te e troverai la strada, quindi andrà tutto bene. Questo è ciò in cui credo. Mi sentivo peggio quando mi nascondevo e non dicevo la verità. Quando ho iniziato a dire “è così che voglio vivere”, la gente mi ha accettato. Chi non l’ha accettato non fa più parte della mia vita.
Cosa ci dici del concetto di Love Stability, cosa muove in generale il tuo lavoro?
In Israele molti degli operai che costruiscono le nostre case sono Arabi. Molti di loro muoiono sul lavoro ogni settimana ed è così folle per me. Penso che questo accada anche a causa del nostro razzismo. Gli Arabi in Israele sono una forza lavoro economica e vengono usati perché costano poco, puoi trattarli come vuoi, quindi è per questo che muoiono. Quando ho iniziato a capirlo, mi ha sconvolto. Costruiscono le nostre case, studi, teatri, scuole, il nostro Paese e molti di loro muoiono solo perché il denaro è molto più importante della loro vita. Mi ha scioccato, anche adesso. Gli operai che costruiscono le nostre case ci danno stabilità, ma loro non hanno stabilità.
Quindi, ho creato un assolo con un blocco di cemento e siamo andati in molti festival, ma quell’argomento non mi ha lasciato, era sempre nella mia mente. Poi ho deciso di portare altri danzatori, miei cari amici (Roni Shpira, Itay Dalumi e Adi Gewurtz), facendo di questo progetto un lavoro più grande. Penso che sia la cosa migliore che ho fatto nella mia vita. Hanno portato il lavoro al livello successivo e se è andata bene è grazie a loro.
Lavorare con loro è stato bello e facile perché mi capiscono, c’è un forte legame tra di noi. Volevo parlare del fatto che c’è qualcuno in alto e qualcuno in basso nella nostra società. Volevo davvero dire qualcosa sull’equilibrio di potere, non solo nelle categorie sociali ma anche tra le persone. I forti e i deboli. Riguarda anche la nostra vita privata, come trattiamo con i nostri partner, amici, famiglie.
Come riesci a bilanciare il tuo corpo con la tua mente e la tua anima?
È davvero una grande domanda, me lo sono sempre chiesto. Amo il mio lavoro. Alcuni ballerini ballano come robot, arrivano negli studi, non importa come si sentano prima o dopo, conta solo il lavoro. Penso che questo tipo di atteggiamento non faccia bene al corpo. Mi piace lavorare con tutto ciò che sento. Non lascio che le emozioni e i sentimenti mi controllino, ma lavoro con loro. Sono sempre in connessione con il mio corpo e la mia mente. Se sono triste non lascio che mi controlli, ma ballo con la mia tristezza e mi piace tenere gli occhi aperti su ciò che accade dentro e fuori la sala prove, per questo non mi piace lavorare in un cieco stato mentale.

Redattore editoriale presso diverse testate giornalistiche. Dal 2018 scrive per Theatron 2.0 realizzando articoli, interviste e speciali su teatro e danza contemporanea. Formazione continua e costante nell’ambito della scrittura autoriale ed esperienze di drammaturgia teatrale. Partecipazione a laboratori, corsi, workshop, eventi. Lunga esperienza come docente di scuola Primaria nell’ambito linguistico espressivo con realizzazione di laboratori creativi e teatrali.