Eat me di Giorgia Lolli: mangiare ed essere mangiate

Apr 29, 2025

Triennale Milano Teatro invita il pubblico a sedere sul palcoscenico della fondazione, faccia al sipario e spalle al fondale, per assistere allo spettacolo Eat Me di Giorgia Lolli in una dimensione intima e ravvicinata. Quando gli spettatori vengono fatti entrare nel buio, mentre prendono posto sui cuscini o sulle sedie, non possono non venire catturati dalla seducente immagine con cui si apre la performance: Giorgia Lolli è seduta di spalle su un classico baule teatrale per cavi, indossa solo un corpetto rosa antico a coprirle qualche centimetro di schiena e mostra i glutei nudi, rimanendo immobile in un’aggraziata posa che sembra quella di una modella davanti ad un artista intento ad immortalarla. 

La performance andata in scena durante il festival FOG performing arts 2025, un duo della durata di trentacinque minuti danzato dalla stessa coreografa e da Sophie Annen, è il lavoro vincitore di DNA appunti coreografici 2023, bando promosso da Romaeuropa Festival, Gender Bender International Festival, Operaestate Festival Veneto, L’arboreto-Teatro Dimora, Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni.

Sophie Annen in questo primo quadro porta invece un passamontagna color carne che le lascia scoperti solo gli occhi, lo stesso corpetto di Lolli e uno slip a vita alta. La danzatrice cerca insistente lo sguardo del pubblico, muovendosi a quattro zampe come un animale guardingo e inquieto, pronto all’attacco. L’ironica e provocatoria meta-teatralità delle performance, rimarcata anche dalla scelta di Triennale di utilizzare il palcoscenico come sede dell’evento, irrompe con violenza quando un tecnico entra in scena e sposta il baule dietro le quinte, trasportando così Giorgia Lolli che vi si trovava sopra, mentre Annen si dirige camminando verso la quinta opposta, prima del buio. 

Quando le due danzatrici riappaiono sono vestite allo stesso modo, indossano corpetti e collant identici se non per qualche variazione cromatica tra il rosa, il fucsia e il viola. Annen e Lolli sono ora vicine al sipario, danno le spalle al pubblico e, in maniera graduale, iniziano un’ipnotica danza tutta al pavimento: danza che è a tratti anche una lotta, come venissero di continuo risucchiate dalla superficie su cui si muovono. Lolli e Annen strisciano, roteano, dondolano con il bacino sdraiate a terra e sempre distese battono ritmicamente un piede, alternandosi e poi imitandosi, sviluppando interessanti variazioni e gestualità accattivanti che evocano senza mai citare in modo esplicito immagini e movenze associate al femminile. Durante questo gioco di attrazione e sottrazione dal pavimento le due danzatrici non mostrano mai il volto, neanche quando, per qualche breve istante, si posizionano di fronte al pubblico: continuano invece a coprirsi con il braccio e mostrano solo le labbra. 

© Cosimo Trimboli

Mentre spettatrici e spettatori seguono ipnotizzati le due performer, che come due sirene ammaliano e impediscono di distogliere lo sguardo, la scena viene ancora una volta interrotta dal passaggio del tecnico, che si muove sul palco con aria rilassata, come inconsapevole degli sguardi curiosi del pubblico che lo inseguono. Il terzo performer di Eat Me riporta in scena il baule, questa volta aprendolo a terra in modo da creare un separé per le due danzatrici, che terminano la loro esibizione sul pavimento e lì si nascondono. Quando riappaiono – le gambe nude –, mostrano il volto e, gattonando come Annen nella scena iniziale, osservano gli spettatori, o meglio li catturano con sguardi magnetici che segnano una netta rottura con la prima parte della performance: dall’impossibilità di mostrarsi alla necessità di essere viste

Le danzatrici sono ora vicine e, senza smettere di guardare gli spettatori, si leccano i polsi, le mani, le braccia. Poi Annen porge un braccio a Lolli e lei lo percorre con la lingua, e quando Lolli porge il suo braccio ad Annen lei fa lo stesso: così, piuttosto che limitarsi a ribaltare la tradizionale narrazione delle soggettività femminili come passive, Eat Me si spinge oltre e rivendica la libertà dela donna di farsi tanto soggetto desiderante quanto oggetto desiderato, tanto belva famelica quanto preda da divorare. Il femminile si riappropria del potere di sedurre e di farsi sedurre, di mangiare e di essere mangiato, rifiutando categorizzazioni univoche e limitanti.

Nell’ultima scena della performance il tecnico, che è entrato e uscito a più riprese ed è diventato una figura ambigua poiché agisce a servizio delle danzatrici decidendone però anche il posizionamento, appare ancora una volta in scena e sposta il baule vicino a Lolli ed Annen. Le due vi si siedono sopra, dando di nuovo le spalle al pubblico e liberandosi anche del corpetto, così da mostrare la schiena nuda. Sono ora sedute una sulla coscia dell’altra: la pelle nuda in esposizione, i lunghi capelli di entrambe adesso sciolti, tutto sembra ancora una volta evocare eleganti figure dell’iconografia femminile classica, un’immagine in netto e forse voluto contrasto con la famelica sequenza delle lingue appena conclusasi, ancora una volta a rimarcare la possibilità di indossare stereotipi e di distruggerli, abbracciando la nostra complessità di animali umani

Nonostante la raffinata cura del dettaglio, grazie alla quale ogni elemento – dalle sonorità elettroniche di Sebastian Kurtèn, agli abiti di Suvi Kajas, fino al disegno luci di Elena Vastano – si incastra alla perfezione in un quadro armonico, Eat Me ha la capacità di mettere in scena un’estetica convincente e forte che non parla solo di se stessa, ma che provoca lo spettatore e lo invita in ogni momento a riconoscere la permeabilità del confine teatro/realtà. La ripetuta rottura della quarta parete, rappresentata dalla figura del tecnico ma anche dai continui sguardi ravvicinati tra performer e pubblico, opera come un monito per lo spettatore, interpellandolo in modo diretto e ricordandogli a più riprese che il divario tra messa in scena e reale è sottile, permeabile, forse inesistente, e che forse, proprio per questo motivo, il teatro può operare come canale per ribaltare posizionamenti e per costruire nuove e necessarie auto-narrazioni.

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