Due amanti, il mare: Totò e la sua radiolina

Apr 26, 2023

Articolo a cura di Francesca Lupo

«EMMÌA» recita la panchina al centro del palcoscenico, insieme ad altri improperi, falli stilizzati, inneggi a Palermo e alla sua patrona, Santa Rosalia. Totò (Nicolò Prestigiacomo) si stupisce che Gisella (Eletta Del Castillo) non se ne sia accorta. Quella panchina è sua, c’è scritto. È abbastanza infastidito, ma alla fine le concede di sedersi.

Allo Spazio Franco di Palermo, dal 5 al 7 aprile è andato in scena Totò e la sua radiolina, uno spettacolo scritto e diretto da Giada Baiamonte, attrice, drammaturga e regista palermitana.

La panchina di Totò è incredibilmente simile a quelle che si possono trovare tuttora in via Cala a Palermo, dove ci si siede per rilassare lo sguardo davanti alle barche attraccate. Anche a questo molo sono attraccate delle barche, ma di carta di giornale. I flutti che si scorgono dallo strapiombo sono di tulle, delle luci di scena lo rendono azzurro; in alto le nuvole sembrano disegnate da un bambino. Un principio di mare, ancora troppo vicino alla città per essere sintomo di libertà, eppure la sua brezza trova comunque un modo per farsi strada tra i volti di chi si ferma. Come quello di Gisella, stanco. È avvolta da un cappotto nero, che le arriva fin sotto le ginocchia, dove invece inizia il cuoio beige dei suoi stivali, con il tacco. L’ampiezza di qualche movimento tradisce mentre avanza in scena un reggiseno di pizzo, delle calze a rete e dei pantaloncini azzurri, stretti, di un tessuto leggerissimo. Ha appena finito di lavorare, si accende una sigaretta. In quella notte placida Gisella si sporge dal molo. Il mare è un padre affettuoso, ma il rumore di un piede trascinato sull’asfalto la distrae. Totò arranca: la mandibola inferiore tende verso sinistra, dalle maniche della camicia di flanella gialla, abbottonata fino all’ultimo, vengono fuori le sue mani, le cui figlie, le dita, sembrano litigare tutto il tempo, si accavallano, attorcigliate, costrette, impossibili da articolare.

Se Gisella è una buttana, Totò è inequivocabilmente un luacco, ovvero uno stupido: soli, emarginati in egual maniera. Spogliandosi dei ruoli in cui la società li ha intrappolati sin dalla più tenera età, davanti al mare si esprime la loro vera personalità. Gisella e Totò, senza fretta, senza pretese, da quel loro primo incontro ne faranno seguire tanti altri, nutrendo un’abitudine, un’amicizia; probabilmente una materia a loro completamente nuova. Gisella è diventata donna molto presto, suo malgrado, troppo bella per esserle concessa ancora dell’ingenuità. A Totò invece non è mai stato permesso di crescere, perché più lento degli altri, a camminare, a parlare, a emozionarsi. Totò porta sempre con sé un sacchetto pieno di caramelle gommose, di tutte le forme, di tutti i colori, ma non può mangiarle, così le offre a Gisella, alla quale da bambina non è stato concesso “neanche un palloncino”. Il tempo scorre sul palcoscenico, dopo ogni buio di fine scena i costumi indossati dai personaggi cambiano. I due ritagliano dei momenti nelle loro vite per incrociarsi a quel molo, approfondendo sempre di più le loro infelici storie. La violenza è stata una costante nelle loro vite, ma non è riuscita a renderli tanto ciechi da non riconoscere quei barlumi di purezza che anche in un mondo come il loro si possono celare. Gisella incontra così un uomo molto distante dai profili dei suoi clienti, mentre Totò forse per la prima volta si trova vicino a una donna diversa dalla defunta madre o dalla sorella che l’ha sempre accudito, che sceglie di condividere con lui lo spazio di una panchina. Insieme scoprono le mille sfumature dell’amore, che pian piano diventano veri e propri stadi dell’evoluzione del loro rapporto: l’amore fraterno, filiale, anche sentimentale. È in quest’ultima tappa che tutto si incrina.

Totò e la sua radiolina è la storia di un amore così profondo da non potersi consumare, così peculiare da avere la forma di una piccola radio, cui è attaccato un cordino, per poterla indossare al collo, un regalo di Gisella, per sconfiggere la solitudine. La sincerità della Baiamonte nel raccontare e rappresentare la diversità di Totò è ciò che colpisce di più di tutta la pièce. Il personaggio ha una sua tridimensionalità e la sua veste di luacco è solo il medium superficiale attraverso cui esprimere la sua personalità. L’interprete indossa la paralisi fisica del suo personaggio in maniera eccellente, letteralmente si trasforma, secondo una direzione artistica mimetica che non lascia spazio a nessuna immaginazione. L’irriverente diversità del protagonista maschile viene raccontata in alcuni monologhi, in cui, tra le tante tristezze, per prima cosa viene fuori la sofferenza di essere sempre stato considerato troppo fragile per avere un proprio pensiero. Totò, anche grazie al confronto con Gisella, rivendica una profondità interiore che non gli è mai stata riconosciuta dai suoi cari. Costretto dalla frustrante difformità della sua condizione, Totò ha dovuto accettare di farsi attribuire parole non sue, mentre di cose da dire ne avrebbe avute fin troppe. In scena Totò infrange una narrazione pietosa della diversità, colma di un’ipocrita sensibilità, evitando il cliché dello storpio apparentemente scimunito. Baiamonte tratteggia il suo protagonista maschile in un modo così peculiare che la lirica bellezza della “normalità” di Gisella scompare.

La lingua dei protagonisti è il dialetto palermitano, sguaiato, colorito, violento e sincero.  Un dialetto verace, che non manca d’essere veicolo di riso, prodotto propriamente dai suoni, dalle parole, dai concetti della lingua popolare, ma anche da una sagacia che permea le battute che i due si scambiano con ritmo sostenuto. Quest’ironia, alle volte dolente, altre semplice, immediata e sincera, calza perfettamente alla situazione. È facile immaginare che i due appartengano allo stesso rione, con le stesse leggi non scritte nei confronti di chi nasce prostituta e chi scemo. Con piacere entrambi, in egual maniera, alleggeriscono l’azione con molti momenti leggeri, di prese in giro, sebbene il mattatore tra i due sia proprio Totò.

I brevi silenzi in scena sono colmati dallo sciabordio del mare, il quale è considerato alla stregua di personaggio, cui i protagonisti si rivolgono nei momenti di solitudine e come pretesto per approfondire la loro amicizia. Gisella vorrebbe che il mare la portasse via dalla sua quotidianità sofferente, a lui collega i suoi ricordi di bambina. Totò invece, come tutto, lo guarda da lontano (a differenza di Gisella non ha mai imparato a nuotare), limitandosi a dare da mangiare ai pesci, respirando la salsedine. «Siamo tutti figli tuoi», gli dice.

Le crudeltà di cui Totò e Gisella sono stati resi testimoni, riflessa nelle loro esperienze di vita, si nota tutta intorno, a partire dalle usuali volgarità scritte con un pennarello sulla nostra panchina, non impediscono alla loro vicenda di concludersi nel modo migliore. L’incontro di quella prima notte cambierà il corso delle loro vite: Gisella avrà il coraggio di lasciare Palermo e trasferirsi a Milano da una cugina, dove potrà lavorare senza mercificare il suo corpo concedendosi una maternità che per molto tempo le era stata negata. Totò rimarrà a Palermo, sulla panchina tiene stretta la sua radiolina, dopo la prima esperienza di amicizia nei confronti di una donna che ha cercato di amare a suo modo (purtroppo diverso da quello che Gisella avrebbe desiderato) e forse amerà sempre. Totò e la sua radiolina è una favola, fatta di carta di giornale e tulle che però non riesce a nascondere l’incredibile mimetismo degli interpreti, del linguaggio, dei costumi. La sincerità della scena si propone di perseguire una “verità” della rappresentazione, tanto che il racconto e la sua interpretazione hanno un che di cinematografico.

Al termine della messa in scena, agli ultimi spettatori che la raggiungono per farle i complimenti, la regista svela che si tratta di uno spin-off. Si fa riferimento a E muriu ‘u cani, sempre ambientato a Palermo, dove cinque fratelli si riuniscono nella casa del padre, appena venuto a mancare. Tra questi è presente anche Totò, che si ritroverà a parlare della sua famiglia a Gisella durante gli incontri al molo. Interessante che anche i presupposti per la realizzazione di questo spettacolo – “spin-off” è un termine che si impiega per lo più nell’ambito del cinema o addirittura della serialità – si allontanino da una teatralità propriamente detta. In un mondo squallido e ingiusto una puttana si innamora di un “ritardato”, su un molo che sembra sia stato costruito plasticamente dall’immaginazione di un bambino: sono tanti gli aspetti che in questo scenario rischiano di contraddirsi. Ma forse è questa la più fedele rappresentazione della realtà che ci circonda, della vita che viviamo.

Segui Theatron 2.0

Pubblicità

Pubblicità

Bandi  e opportunità

Ultimi articoli