Dittature, colonialismo e forza rigeneratrice della Polis

Mag 13, 2025

Spagna e Portogallo, due ex dittature dal passato ingombrante, sono state le protagoniste dell’ottava edizione a Ravenna del Polis Teatro Festival di ErosAntEros, compagnia teatrali tra le più innovative, nata nel 2010 per volontà della drammaturga e attrice Agata Tomsiç e del regista e sound designer Davide Sacco.
Due gli spettacoli-evento, andati in scena il 9 e 10 maggio al Rasi di Ravenna e ai quali è dedicato l’approfondimento, tra gli oltre 35 appuntamenti: Il Portogallo non è un paese piccolo, della compagnia ceco-portoghese  Hotel Europa e Signora Dittatura della spagnola Hermanas Picohueso.

Il primo, costruito con materiale documentario raccolto attraverso le interviste a emigranti portoghesi nelle colonie africane di Angola, Mozambico, Guinea Bissau e India orientale, per ricostruire un’identità storica nel suo difficile percorso di riappropriazione e metabolizzazione del fenomeno coloniale.
Il secondo che indaga, attraverso la figura di Carmen Polo, moglie di Francisco Franco, l’eredità morale della dittatura spagnola nella società attuale, esplorando il tema della caccia, nelle sue declinazioni più disparate, attraverso una narrazione permeata da humor nero e l’utilizzo di un dispositivo multidisciplinare ispirato alla rivista spagnola di gossip iHola!

Entrambi sono recitati in lingua originale e connotati da un ritmo sostenuto, in cui si incrociano linguaggi espressivi come la danza, la performance art e il teatro documentario. La dimensione temporale in entrambi i lavori è non lineare, spesso sfasata o spostata in avanti in Signora Dittatura, dove Franco, morto nel 1975, viene immaginato nel 1984 in una spiaggia europea, già immersa nella speculazione edilizia. O la moglie, morta nel 1988, all’interno delle rovine dell’ex discoteca Four Roses di Madrid, dove il 13 novembre 1992 viene uccisa un’immigrata domenicana e che risulta essere il primo omicidio a sfondo razziale nella storia della Spagna dal dopoguerra in poi.

Ridondante invece, la temporalità de Il Portogallo… che sottolinea la necessità di ritornare ad occuparsi della storia coloniale del Paese e di maturare una maggiore coscienza critica. Il Polis Teatro Festival ha quindi colto l’occasione per offrire al pubblico, dopo lo spettacolo, una riflessione sul tema, attraverso la tavola rotonda dal titolo L’ultima rivoluzione della vecchia Europa: tra garofani e monarchia, con l’intervento degli storici Alfonso Botti e Stefano Salmi, coordinati dal professor Michele Marchi e gli attori e le attrici delle due compagnie.
Sul Portogallo, il punto di partenza non può che essere la constatazione di come questo Stato dalle modeste dimensioni, sia stato uno dei più longevi e vasti imperi coloniali, esteso su più continenti e governato per oltre 40 anni (dal 1933 al 1974) da un regime dittatoriale. Altro aspetto sorprendente, però, è che la transizione dalla dittatura monopartitica e autoritaria di Salazar alla democrazia, sia avvenuta sì, con un colpo di Stato, ma in modo pacifico e senza spargimenti di sangue.

A spiegarne le dinamiche, i relatori Salmi e Botti: l’insofferenza dei militari portoghesi mandati a morire nelle colonie africane, coinvolte nella guerra per la liberazione dal 1961 al 1974, li spinge a costituire il Movimento delle Forze Armate. Saranno loro a guidare la Rivoluzione dei Garofani, conclusasi con il riconoscimento dell’indipendenza delle colonie e, in Portogallo, di un governo democratico.

La natura incruenta di questo golpe così rapido, che prende il via nelle prime ore del 25 aprile 1974 e che vede migliaia di cittadini, durante la giornata, affluire verso le piazze, è accentuato dal gesto di una fioraia che regala garofani ai soldati. Questi li depongono nelle canne dei loro  fucili, dando così una forte valenza simbolica all’evento. Soprattutto, però, la fine della dittatura e l’indipendenza delle colonie significherà per migliaia di portoghesi poter ritornare in patria.
Ma non è una bella notizia, per la maggior parte di loro: hanno lasciato un Paese in condizioni di povertà e analfabetismo, viaggiando nelle stive di una nave. Però, come racconta lo stesso spettacolo Il Portogallo non è un Paese piccolo, le persone, una volta arrivate qui, trovavano luoghi stupendi e incontaminati, vivevano in comunità di coloni vicino alla spiaggia in ville con la piscina e mangiavano gamberi, avevano la servitù indigena che li serviva e riveriva. Erano persino in buoni rapporti con quest’ultima e i figli andavano nelle loro stesse scuole, fino ai primi anni del liceo… poi gli indigeni scomparivano nel nulla.

Sembra insomma che i coloni portoghesi intervistati da André Amȧlio di Hotel Europa non avessero, o non volessero avere, una reale consapevolezza di quanto il loro benessere si fondasse di fatto sullo sfruttamento. Sta di fatto che una volta scoppiate le rivolte indigene, sono stati costretti ad un esodo di massa verso la loro patria. E una volta arrivati, sono stati non accolti, parcheggiati in hotel e pensioni per un tempo indefinito e privati del diritto di ottenere la cittadinanza. Ciononostante, il percorso democratico si è avviato e consolidato anche qui come in tutti i Paesi europei.

Ma oggi, chiede Marchi agli attori e ai due relatori, con gli scenari che abbiamo di fronte, come sta la democrazia in questi due Paesi che hanno conosciuto un lungo periodo sotto la dittatura? Risponde André Amȧlio: “Negli ultimi 10 anni sono cambiate molte cose anche in Portogallo, con partiti reazionari che hanno sempre più appoggio”, mentre sulla Spagna Hermanans Picohueso ammettono che “dopo 50 anni dalla fine della dittatura è ancora molta l’ansia  che accompagna questo spettacolo su Francisco Franco”.

Il relatore Botti, esperto della storia contemporanea spagnola, afferma che “a differenza di quanto avvenuto in Portogallo, con un colpo di Stato, in Spagna la transizione dal regime totalitario verso la democrazia è stato più graduale e guidato dall’alto. Nello specifico dal Re e dalle pressioni internazionali sul Paese affinché, una volta morto Franco, si proseguisse in senso democratico e filo-europeista. C’è stata – ha spiegato Botti – una sorta di democratizzazione dei franchisti che si erano resi conto di quanto il franchismo fosse ormai inadeguato ai tempi”. Ma ha anche sottolineato che “certamente oggi la democrazia sta attraversando un momento di crisi, in cui i partiti si delegittimano e si screditano a vicenda, atteggiamento che ha radici nel franchismo”.

Lo spettacolo di Hermana Picohueso prende le mosse proprio dalla constatazione di quanto il franchismo sia ancora vivo e capace di attrarre e influenzare le persone, facendo leva sull’istinto di sopraffazione che, insito in ognuno, può essere riattivato e manipolato.

Ecco allora che lo spettacolo condensa in rapida sequenza l’intervista rilasciata da uno degli skinheads responsabili dell’omicidio di Sonia Rescalvo Zafra, transessuale, avvenuta in un gazebo all’interno di un parco a Barcellona il 6 ottobre 1991, primo delitto a sfondo transomofobico in Spagna, alle fotografie d’epoca sulle battute di caccia in cui spiccano cadaveri di animali uccisi da Franco e consorte e i loro ospiti. La caccia, come si scriveva sopra, è la parola chiave per decifrare il personaggio di Franco, ma soprattutto della moglie Carmen Polo. Ambiziosa, fiera sostenitrice dell’autoritarismo, con un amore sconfinato per le perle e il lusso, viene rappresentata come ferina e moralmente vacua, ancor più del marito.

L’Iberian Focus del Festival coincide con il 40esimo della vigilia dell’adesione di Spagna e Portogallo alla Comunità europea, un’occasione quindi per riflettere sull’Europa e il suo destino.

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