Dialogando con l’autore Fabio Pisano vincitore del Premio Hystrio Scritture di Scena 2019

Ago 24, 2021

Vincitore del Premio Hystrio Scritture di Scena 2019 con il testo Hospes, -ĭtis, Fabio Pisano nasce a Napoli, laureandosi in Scienze Biotecnologiche. Durante il periodo universitario, studia recitazione presso il teatro Totò, e, contemporaneamente, coltiva la passione per la scrittura teatrale seguendo numerosi stage di scrittura con alcuni autori e registi teatrali internazionali. Dopo aver pubblicato sulle nostre pagine un approfondimento dedicato al testo Lacerazioni, continua il dialogo intorno alla drammaturgia contemporanea, con l’autore campano della compagnia LiberaImago, attraverso un racconto che prende le mosse dagli esordi teatrali e dagli incontri formativi, passando per i momenti decisivi di produzione artistica fino ad arrivare ai riconoscimenti e ai successi recenti.

Gli esordi: com’è nata la passione per la scrittura e per il teatro?

La passione per la drammaturgia è stata una passione improvvisa, complice soprattutto la “paura del palcoscenico”; ho iniziato come attore, recitavo ma sul palco mi sentivo a disagio, mi sono sempre sentito a disagio, davanti gli occhi di qualcuno; preferivo non esser visto, ma avvertivo la volontà di voler comunicare qualcosa, così iniziai a studiare, a leggere drammaturgia, pratica che ancor oggi faccio con una costanza incredibile: leggo moltissima drammaturgia – non solo contemporanea. Analizzo i testi, sottolineo, mi appunto passaggi, cerco di scavarci dentro e capire dove trovarci il teatro che mi piace. E poi, alla fine, se mi va, scrivo. Col passare del tempo ho capito però che per me il teatro è – oltre l’attore – drammaturgia. La storia ci ha consegnato dei testi. Indizi. Una prova. La drammaturgia è la prova dell’eternità del Teatro.

Quali sono stati gli incontri formativi e le esperienze più rilevanti per il tuo percorso artistico?

“Incontri” è la parola giusta. Nel mio percorso formativo, ho “incontrato” coloro che per me erano veri e propri idoli, miti. Martin Crimp, Mark Ravenhill su tutti. Poi la nuova scena spagnola, nella figura – in particolare – di José Manuel Mora, Esteve Soler, Carolina Martin, ma anche Enzo Moscato, di cui ammiro la meravigliosa, eterea figura, oltre che la scrittura; molto significativi sono stati anche gli incontri con alcuni registi (mi diletto nella regia, mi piace molto misurarmi con questo “mezzo”), come Oskaras Korsunovas, e con personalità del teatro quali Loredana Putignani, attraverso cui ho rafforzato amore e conoscenza per Antonio Neiwiller che resta un grande rimpianto non aver conosicuto da vivo, Licia Lanera, Davide Carnevali, Emma Dante, Massimiliano Civica. “Incontri”, perché seminari, o laboratori brevi, che amo perché sono momenti da cui cerco di trarre il massimo, concentro forze fisiche e psichiche per trarne il meglio. E tra queste personalità immense, c’è tanto “meglio”.

Sei laureato in scienze biotecnologiche con un curriculum medico. Come si concilia e interagisce questo background con le tue drammaturgie e produzioni artistiche?

Non saprei dirlo con precisione, ma sento che una forma mentis scientifica mi è necessaria; un testo teatrale – a mio avviso e forse anche influenzato dai miei studi universitari – è qualcosa di molto, molto scientifico.

Con il testo Hospes, -ĭtis hai vinto il Premio Hystrio – Scritture di Scena 2019. Qual è il principale tema di indagine che hai affrontato e come si relaziona ai tuoi precedenti scritti come Lacerazioni e Celeste?

Non credo ci sia un fil rouge, tra i testi citati, se non una mia grande voglia di indagare la drammaturgia, e farlo secondo forme e strutture sempre nuove; i testi hanno morfologia e sintassi proprie e sempre diverse, ma forse tutti ricercano storie non raccontate, storie dimenticate (come quelle di Celeste Di Porto) o da dimenticare (nel caso di Oud, di Lacerazioni). Hospes, -itis però è qualcosa di profondamente differente, nuovo per me, un testo con una grammatica che non avevo mai ancora approcciato, che forse ho cercato e non ancora trovato. Questo “osare”, è stato premiato con il riconoscimento da parte dell’associazione Hystrio, un premio che ho sempre seguito ma non credevo di poter raggiungere, anche perché sono alla soglia dei trentatré anni, ormai quasi al famoso confino con l’under 35!

Celeste pH Ivan Nocera

Celeste – Foto di Ivan Nocera

Qual è, a tuo avviso, la “missione” di un drammaturgo alla luce degli equilibri teatrali odierni?

Non credo di essere pronto a rispondere; e forse, se lo facessi, diverrei pedante; mi limiterò a dire che, secondo me, la drammaturgia oggi nel nostro paese, come ogni forma di cultura, sta “sbiadendo”, diventa sempre più “trasparente”, e questo la rende più delicata, più difficile anche da guardare, da guardare per davvero. C’è bisogno di tempo, per scrivere, tempo che non viene più concesso; Hospes, -itis è nato dopo otto mesi, lunghi e intensi, di lavoro. E otto mesi, in un momento storico così “rapido” e “povero”, sono un lusso che non sempre ti viene accordato. Infine, credo che i drammaturghi – almeno i giovani, coloro cioè che hanno il diritto di provarci e soprattutto di sbagliare – debbano osare, puntando ad una drammaturgia che amo definire “longitudinale”, che salga su, che eslpori altre atmosfere, anche a rischio di cadere e farsi male, e non solo “latitudinale”, non solo cioè volta a percorrere confini già esplorati, allungandone solo le maglie, spingendo solo un po’ più in là il limite.

Recentemente hai preso parte al progetto BeyondTheSud, nato dall’intento di promuovere nuovi modelli di gestione delle imprese culturali in America Latina e di favorire lo sviluppo delle carriere di giovani artisti e operatori under35 in un contesto internazionale. Cosa porti dietro da questa esperienza?

Porto dietro prima di tutto una bellissima esperienza umana; ho conosciuto persone belle, come Mario Gelardi, Carmelo Alù, e poi gli artisti argentini, cito ad esempio il tutor dei registi, Ariel, o Beto Romero, un allievo regista, un artista visionario; ciò che però su tutto, questo viaggio in Argentina mi ha restituito, è stata una parte della mia famiglia, persone che ho trovato o ri-trovato, familiari di cui avevo solo foto o racconti, e questo è stato un regalo che il Teatro mi ha concesso, un regalo bellissimo, intenso che mi ha arricchito in modo straordinario. Buenos Aires è una città enorme, piena di contraddizioni come nel migliore immaginario di noi altri occidentali. Dal punto di vista artistico, ci sono molte differenze, credo soprattutto quando si parla di drammaturgia. Lì mi è parso che la storia, la fabula sia parallela se non subordinata all’immagine, mentre qui la storia – almeno per quel che ho potuto dedurre io – ha un peso ancora necessario. In fondo, però, il teatro che sia argentino, italiano o di qualsiasi altro posto del mondo, ha in sé la cura per l’uomo. E questo è comune, immagino, ovunque. Mi è piaciuto molto scoprirlo, sbirciarne le priorità, anche se il tempo è stato meno di quel di cui si necessita. Ma bisogna sempre e comunque fare i conti con la realtà.

BeyondTheSud

BeyondTheSud

Nel 2007 insieme a Francesca Borriero e Roberto Ingenito hai dato vita a Liberaimago, organizzazione orientata alla produzione teatrale e alla realizzazione di eventi culturali. Quali sono i vostri fronti di azione e quali le prospettive future?

La compagnia è stata la cosa più bella che abbia fatto nella vita. Un passaggio che non avrei mai realizzato senza Francesca e Roberto, artisti unici, di grande talento, di liricità e conoscenze profonde. Francesca è un’attrice bravissima, con uno spessore ed un talento che non si ritrovano facilmente, a mio avviso; Roberto è un attore poetico, un regista leggero, nell’accezione più bella del termine. È stato un incontro fortunato, per me, un incontro che più d’ogni altro mi ha fatto crescere come uomo, prima di tutto il resto. Adesso stiamo provando a trovare spazi per “Celeste”, uno spettacolo da me scritto e diretto, lavorato tanto, che ha avuto una bella “vita”, finora, e speriamo di poterne dare altra, e “Cyrano station” composto e diretto da Roberto. Più in generale, noi agiamo su drammaturgie inedite, le mie o quelle di Roberto, e lavoriamo sui classici, proponendoli in chiave contemporanea, ma senza tradirne messaggi e parole. Inoltre ci impegnamo molto per le scuole, portando alla ribalta temi sociali che vincono, perché niente è più forte della realtà, quando – se non l’hai potuta vivere per mera questione anagrafica – la riesci a raccontare con ardore e amore. Le prospettive future sono irrimediabilmente di crescita, perché la nostra famiglia si allarga e accoglie professionisti sempre pronti a mettersi in gioco, penso ad esempio a Francesco Luongo, a Francesco Santagata, a collaboratrici grandiose come Sonia e Annalisa. Insomma, vogliamo crescere, diventare grandi, poter vivere oltre che di scritture in compagnie, anche di noi stessi, delle nostre passioni, del nostro Teatro.

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