Di attese e promesse. Cosa cambia? Le novità politiche dello spettacolo dal vivo

Set 27, 2024

Oltre a rappresentare il patrimonio materiale e immateriale di un paese, la cultura è un termometro capace di misurarne la temperatura politica. In questo senso, i radicali cambiamenti che hanno investito l’Italia, l’avvenuto passaggio di testimone e di bandiera, hanno fatto trapelare una volontà di restaurazione che interessa in maniera sfaccettata le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini e delle cittadine. E il comparto culturale non ne è affatto escluso.
Con un Codice dello Spettacolo ancora in attesa, un nuovo Decreto Ministeriale alle porte e delle assegnazioni che hanno fatto gridare all’allarme – fatto salvo per dei reintegri che confermano i meccanismi di funzionamento finora vigenti –, a un passo dal nuovo triennio ministeriale nel settore artistico-culturale regna l’incertezza. Quali sono, dunque, gli scenari futuri che ci attendono? 

Abbiamo provato a fare chiarezza in questa conversazione con Francesca D’Ippolito, Presidente di C.Re.S.Co – Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea, una delle realtà più attive a livello nazionale in materia di raccolta di istanze collettive e interlocuzioni istituzionali.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a uno spostamento radicale dell’assetto politico italiano che ha lasciato prefigurare una ridefinizione del settore culturale. Quali sono gli scenari futuri?

Pensando agli ultimi anni, mi ha colpito tantissimo il ricorso quasi quotidiano al termine identitario.
Anche per mezzo delle direttive europee, delle opportunità offerte dai bandi, il pensiero artistico e culturale è stato plasmato positivamente in termini di inclusione, di modalità di ingaggio, di sviluppo di pratiche innovative, mantenendosi in apertura e in dialogo con altre nazioni, con altri mondi. Questo riferirsi continuamente, come si trattasse di una sorta di mantra, a tutto ciò che è identitario, che rafforza la nazione, mi sembra – tanto in fatto di ripercussioni politiche, quanto a livello culturale e artistico – un’inversione di marcia molto pericolosa.

Le artiste e gli artisti hanno dimostrato che la contaminazione è sempre una risorsa e non un limite, sicuramente mai un pericolo: si pensi all’ibridazione tra i generi (danza, teatro, circo), o alla diffusione dell’utilizzo del digitale e delle nuove tecnologie, che ha offerto ad esempio la possibilità di moltiplicare le connessioni artistiche. 
Ecco, se dovessi sintetizzare la tendenza che più mi spaventa sarebbe questa: l’idea di cultura unicamente come espressione di una nazione e non più di mondi da esplorare.

Quali scenari futuri? Il migliore possibile è quello in cui il settore culturale insorge artisticamente, continuando a mettere in circolo linguaggi e pratiche inedite, in grado di elaborare questo presente così veloce. La paura, invece, è che per intercettare finanziamenti, favori o per entrare nelle corti del Re, si inciampi. Speriamo che gli artisti e le artiste, a differenza di come alle volte è avvenuto in tempi passati, non si pieghino a certi claim da campagna elettorale, da propaganda.

Che tipo di interlocuzione politica avete condotto in funzione del nuovo Decreto Ministeriale?

Il mese di luglio è stato molto positivo perché la Direzione Generale Spettacolo ha indetto tre incontri tecnici in cui erano presenti Agis, Federvivo e C.Re.S.Co, a riprova che l’interlocuzione con il direttore Parente e con il livello tecnico non si è mai interrotta. Sembravamo essere giunti alle soglie della pubblicazione del D.M.: si era parlato di un lavoro di confronto tra Direzione Generale e parte politica nel mese di agosto ed eravamo sicuri che a settembre avremmo visto circolare delle bozze. Dalle dimissioni del Ministro Sangiuliano in poi, non abbiamo saputo più nulla e temiamo che i tempi si prolungheranno ancora. L’aggravante è che a una tardiva la pubblicazione del D.M. potrebbe corrispondere un ritardo nei termini della domanda, con inevitabili ripercussioni sulle assegnazioni e quindi sugli operatori, che si troverebbero ad affrontare un nuovo triennio senza sapere per tempo su che tipo di dispositivo normativo improntare la progettualità triennale. 
Questa condizione rende il sistema ancora più fragile, più insicuro. Come organizzatrice, la parola che sto sentendo circolare più spesso tra le colleghe e i colleghi è prudenza. La prudenza, quando è sinomino di incertezza e timore, non può generare innovazione né sostegno al rischio culturale, diventando un freno che rischia di impattare fortemente sulla salute del sistema, e dunque su artisti e artiste. 

Dal punto di vista del Codice dello Spettacolo, la situazione è ancora più paradossale. Riferendomi all’esperienza di C.Re.S.Co, posso dire che già nel 2016 abbiamo dedicato l’Assemblea Nazionale alle idee degli operatori per una legge di settore, lo abbiamo fatto ancora in pandemia nel 2020, poi appena è finita l’emergenza pandemica siamo tornati a parlarne nel 2021 a Torino: mille incontri e nessuna bozza di testo ad oggi, contrariamente a quanto era stato annunciato durante la primavera. Siamo quasi al mese di ottobre e non è accaduto nulla. 
Per giunta, non possiamo non segnalare che le modalità di consultazione avvenute lo scorso marzo non hanno permesso un vero confronto con le sigle: la possibilità di dialogo è stata infatti molto risicata, con incontri svolti in presenza di centinaia di operatori provenienti da mondi diversi, dalla moda al gaming e allo spettacolo del vivo, includendo grandi soggetti privati, piccole realtà, senza creare un terreno comune di confronto. Lo trovo abbastanza preoccupante. 

Se posso aggiungere un altro dettaglio rispetto al reintegro, nel momento in cui tutti hanno cominciato a preoccuparsi giustamente dei tagli, come C.Re.S.Co. abbiamo cercato di fare chiarezza: il problema per noi era ed è politico, come dimostra una riduzione totale dei contributi di oltre 7 milioni. Per la prima volta negli ultimi dieci anni non solo le risorse stanziate nel bilancio statale 2024 per il FNSV non state pari all’anno precedente ma addirittura in significativa diminuzione. In aggiunta, abbiamo dichiarato una forte preoccupazione per l’entità delle dotazioni in alcuni settori e per alcune valutazioni di Qualità Artistica da parte delle Commissioni, che hanno penalizzato maggiormente i settori a più alto tasso di innovazione e sperimentazione: ad oggi il reintegro è stato annunciato verbalmente, ma non c’è un documento certo che ne attesti modalità e tempi. C’è un impegno da parte del Governo, di cui tutti ci fidiamo, ma sono ormai trascorsi diversi mesi. Al momento abbiamo tra le mani soltanto una promessa.

Quali sono le principali proposte integrative o di modifica avanzate da C.Re.S.Co. in vista del nuovo D.M.?

Tralasciando gli aspetti più tecnici, l’istanza fondamentale che abbiamo avanzato non ha riguardato principalmente le singole tipologie di soggetto come ad esempio Teatri Nazionali, Tric, Centri di produzione. Abbiamo lavorato sull’impianto generale, su tutti i meccanismi e le regole del sistema previste dal Capo 1 del D.M., chiedendo innanzitutto una semplificazione dell’impianto normativo poiché negli anni, in assenza del Codice dello Spettacolo, si sono stratificate tante modifiche che hanno trasformato il D.M. in un piccolo Arlecchino con tante toppe colorate su un vestito ormai logoro. 

L’accumulazione di vincoli, norme, lacci, impedisce chiarezza, trasparenza e semplificazione. Abbiamo lavorato per una maggiore predisposizione del sistema all’innovazione e alle nuove generazioni, facendo inoltre fortemente leva sul riequilibrio territoriale, un tema rilevante guardando all’attuale fotografia del sistema del finanziamento pubblico e ai divari tra nord, centro, sud e isole, ma ancora di più tra capoluoghi e aree interne o di provincia. E ci siamo occupati dell’iperproduzione, nell’ottica di aumentare gli spazi di programmazione, di far sì che le produzioni possano avere un reale mercato e una circuitazione sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico.
Volendo riassumere i temi cardine della nostra proposta: semplificazione, trasparenza, permeabilità, riequilibrio territoriale, ricambio generazionale, contrasto all’iperproduzione attraverso un sistema sano di programmazione in rete, una logica di filiera.

In merito ai possibili cambiamenti che interesseranno il settore, che grado di consapevolezza hai rilevato nel comparto artistico? Ritieni che vi sia una volontà di aggiornamento volta a comprendere le dinamiche incombenti nell’ottica di essere pronti, meglio preparati ai tempi che verranno? 

In questi anni, non mi è parso sempre questo l’istinto più diffuso, anche alla luce della situazione in cui siamo. Forse perché, vivendo una condizione di costante precarietà, abbiamo la tendenza come comparto a pensare al singolo caso e sempre meno in ottica di sistema.
Se dovessi raccontare uno dei progetti che ho più a cuore dei miei ormai quattro anni di presidenza di C.Re.S.Co., parlerei sicuramente di C.Re.S.Co. Studia. Nel realizzarlo, ho pensato che l’unico modo per creare in primis dentro di me una coscienza e poi una consapevolezza che potesse farsi collettiva, fosse maneggiare i dispositivi normativi, prendere confidenza anche con questioni molto ostiche come leggi e regolamenti per poter intrattenere un dialogo alla pari con i burocrati. Lorenzo Milani diceva che è la lingua che fa uguali. Abbiamo bisogno anche di conoscenze tecniche, se si conoscono poco i propri diritti si fa fatica a reclamarli.

Prestare attenzione a capire in quale punto si genera l’equilibrio tra le cose, in virtù di un benessere collettivo, può sembrare un’utopia ma in realtà è l’unico mezzo per giungere a una reale riforma di sistema. Il rischio che si corre altrimenti – ed è lo stesso rischio che stiamo correndo con il D.M. in arrivo – è che si tratti dell’ennesima collezione di minuscole e parziali risoluzioni che potrebbero frammentare ancora di più un comparto già totalmente disomogeneo come il nostro.

L’1 e il 2 ottobre si terrà a Prato l’assemblea nazionale 2024 di C.Re.S.Co, dal titolo “I nostri giorni felici”. Perché avete scelto di indagare il tema della felicità con i vostri promotori, ponendovi in controtendenza con la cupa incertezza delle manovre politiche in attuazione?

In un tempo di strazianti e molteplici crisi come il nostro, siamo consapevoli che sia molto rischioso intitolare in questo modo un’assemblea. Qual è il principio che ha ispirato questa scelta? Ci siamo guardati negli occhi e ci siamo reciprocamente chiesti “come stai?”. Le risposte hanno sempre a che fare con la stanchezza, con la demotivazione, con la frustrazione. Allora ci siamo detti che forse l’unico modo per rispondere a criticità importanti è provare a farlo attraverso la felicità personale e collettiva. Non può dirsi felice un pianeta che non gestisce il cambiamento climatico, che lascia morire i migranti in mare. Allo stesso modo non può dirsi felice un sistema in cui tutte le lavoratrici e i lavoratori hanno la stanchezza e il burn out come compagni di viaggio quotidiani.

L’idea è di concederci il rischioso privilegio di fermare tutto per due giorni e riservarci il tempo per costruire insieme il decalogo di una politica culturale sana, equa… e quindi anche felice. Il titolo scelto per l’edizione di quest’anno del Festival Contemporanea è L’emozione prima della sommossa. Voglio prenderlo in prestito e adeguarlo per spiegare il tema della nostra assemblea: felicità come presa di coscienza, una felicità propedeutica alla sommossa. È come dire che per fare la rivoluzione bisogna essere in salute perché ci sarà tanto da fare. Proviamo a ritemprarci per approcciare a tutte le riforme di sistema anche con uno sguardo più visionario, per evitare di concentrarci unicamente sulle urgenze del presente senza progettare un futuro più sostenibile. In fin dei conti, l’unico modo per farlo ci sembrano proprio la felicità e il benessere.

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