Dark comedy: battere il razzismo con il politicamente scorretto

Set 8, 2024

Xhuliano (si pronuncia Giuliano, /d͡ʒuˈljano/) è uno stand up comedian albanese naturalizzato italiano, o meglio veneto. Con il gruppo Becomedy UK ha partecipato al festival di Edimburgo 2023, ha girato per l’Italia, l’Inghilterra, il Libano, ha condotto il festival della musica albanese e ha portato i suoi pezzi su Comedy Central e Raiplay. Si racconta nella sua duplice identità albanese-italiana, nella sua carriera da economista bocconiano-comico, in un dualismo che, spesso, sa di ossimoro. Dalle crepe di questi conflitti nasce la battuta mordace, spietata contro sé stessi e contro una società che, per quanti sforzi faccia, cade spesso in quel piccolo vizietto chiamato razzismo. Xhuliano Dule nei suoi pezzi fa nomi e cognomi, riconoscendo che forse il nostro non è il migliore dei mondi possibili. Prima di riprendere la promozione di Dark, uno spettacolo di Black humor, ha scambiato qualche parola con noi. 

Come si concilia un lavoro in un’organizzazione internazionale con la carriera da comico? 

Con certa dose di controllata schizofrenia. Praticamente vivo come Clark Kent, o Spiderman o Batman. Di giorno vivo la mia vita tra i corridoi degli uffici burocratici e la sera mi esibisco nei fumosi comedy club italiani. L’intenzione di perseguire (e per certi versi perseguitare) la carriera artistica – qualsiasi cosa la parola “artista” oggi voglia dire visto che mi pare una parola abbastanza abusata- ha creato diverse reazioni a catena nella mia vita; quasi tutte spiacevoli. In primis, non condivido il reddito famigliare di Batman: ci tengo a dirlo perché oggi si fa sempre finta che il reddito famigliare, il livello culturale dei genitori e la provenienza socioeconomica non siano le caratteristiche che predicono nel modo migliore che cosa farai da grande. Resta il fatto che è comunque difficile diventare Batman se tuo padre non è Batman. Le prime difficoltà sono state quindi economiche. Le seconde emotive: la mia famiglia, immigrata, con il sogno italiano nel cassetto, animati dall’idea del riscatto sociale attraverso il duro lavoro, non ha preso benissimo la mia retrocessione sociale.

E il “non prendere benissimo” di una famiglia albanese prevede nel copione: urla, minacce, anni senza chiamate, e una situazione a casa più tesa di quella al confine tra Kosovo e Serbia. Mi sono anche dovuto licenziare, lavorare di notte, fare l’accademia Silvio d’Amico nei momenti liberi, nutrirmi a riso in bianco e tonno, dopo aver mangiato prelibatezze per anni con lo stipendio da cooperante. Ma ne è valsa la pena. E poi sono riuscito a rientrare alla World Bank, anni dopo, con delle mansioni ridotte, un progetto diverso e un gruppo di colleghi più comprensivi. Mi pare di essere invecchiato di circa quindici anni negli ultimi tre. Fisicamente decado. Dormo poco. I weekend raramente ho una pausa. Per il resto sto alla grande.

Quali sono i tuoi modelli artistici?  

Per quanto riguarda la stand up comedy: sento di essere principalmente di formazione anglosassone. Il primo spettacolo che ho visto dal vivo in vita mia è stato di Jim Jefferies a Sydney. Sono rimasto folgorato. Non voglio dire un’epifania, ma quando sono uscito da quello show mi sono detto: “anche io voglio far sentire le persone così”. E da lì ho divorato tutto quello che potevo: Bill Hicks, Carlin, Pryor (quello c’era con i sottotitoli all’epoca). Poi ho scoperto Stanhope. Ma se devo dire gli spettacoli che mi guardo quando ogni tanto voglio ricordarmi perché faccio quello che faccio: Chappelle, Stanhope, Jefferies, Sarah Silverman, Bill Burr e Patrice O’Neal.

Ti sei esibito come stand up comedian al Fringe di Milano, al Fringe di Edimburgo e in Libano. Come cambia il rapporto con il pubblico in città così diverse? Qual è la difficoltà maggiore dell’esibirti in altre lingue?

Cambia il tuo rapporto con la lingua e quindi con la realtà. Ora non voglio annoiare citando Wittgenstein, ma lo sappiamo tutti che i limiti del nostro mondo sono i limiti del nostro linguaggio. Quindi, e qui torniamo al punto della schizofrenia, cambia anche chi sei. Cambia la tua percezione da parte del pubblico e la tua del pubblico. Sarebbe bello vivere in un mondo senza stereotipi, ma io negli stereotipi ci sono vissuto e cresciuto, e uno deve farci i conti: soprattutto se sei albanese cresciuto in Veneto, se sei diventato cittadino italiano a 25 anni, di cui 22 passati con il permesso di soggiorno in mano a essere perquisito ogni volta dalla polizia italiana. Quindi quando cambi lingua cambia anche stereotipo, e cambia il tuo rapporto con lo stereotipo. In Scozia e in Inghilterra un albanese è visto come un criminale. In Italia anche. In Libano pure, quindi forse non è proprio uno stereotipo. Scherzo, ovviamente. Un bianco in Libano che parla inglese deve sapere qual è lo stereotipo che lo accompagna: lavoratore delle organizzazioni internazionali, vagamente di sinistra, maglietta di Che Guevara da adolescente. Cristiano. E così via. Devi conoscere la storia, e il rapporto dell’apparenza con essa. L’unica cosa comune ovunque è che tutti odiano i francesi, per esempio.

E poi entri in gioco tu. Dove ti collochi nello stereotipo? Nella lingua? Nel mondo.  Credo che gli stereotipi animino le menti di tutti. Per esempio: io ho un accento veneto molto forte – e ne vado abbastanza fiero, d’altronde dovrebbero andare tutti fieri dei loro regionalismi – e ogni volta che esco dal Veneto o parlo con un gruppo di persone di altre regioni, magari nei centri sociali in cui mi piace così tanto andare, a manifestare per le cause che io reputo giuste, noto immediatamente che essere veneto, maschio, bianco porta un certo livello di diffidenza. Appena dico che sono albanese le difese si abbassano. Gli stereotipi sono meccanismi di difesa inconsci che la mente adotta quando non vogliamo confrontarci con il diverso. Esibirsi in lingua significa riconoscere i propri e quelli degli altri e cercare di usarli a proprio favore.

Cosa vuol dire essere un comedian che affronta tematiche quali il razzismo in Italia e che parla di Islam e discriminazione? 

Io parlo di quello che mi tocca personalmente. Ergo, mi tocca parlare di discriminazione, razzismo, e anche Islam. Se potessi farne a meno, lo farei. Gli islamofobici e gli islamici non sono persone che adorano che si scherzi sui temi che loro considerano seri. Non sono temi facili, né a cui siamo abituati, né che creano molti amici. Ma per fortuna o purtroppo sono nato così. Io non credo parlerei di razzismo se non ci fossi cresciuto e se non lo avessi subito. Ma cerco di parlarne da un’ottica umana. Non voglio fare la morale a nessuno, ma a me il razzismo fa tenerezza. Sono 30 anni che lo subisco e in 30 anni ho sempre sentito lo stesso repertorio. “Tornatene al tuo Paese”, “albanese di merda”, “torna con il gommone”. Sarebbe anche ora di aggiornarsi.

Cosa si intende per battute dark? Come si può far ridere affrontando argomenti ritenuti politicamente scorretti?

Partiamo dal presupposto che non è necessario fare comicità cosiddetta “dark”. Diciamo che il dark humor è un po’ come il kamasutra: uno stile particolarmente complicato che richiede molto allenamento, naturale propensione e pratica. Molti giovani comici e comiche si cimentano cercando immediatamente di essere “dark”, di trovare e creare lo scandalo, ma lo scandalo è morto ormai da diverso tempo. Prima regola del comedy club è far ridere. Seconda, pure. Poi, se capita, anche di far riflettere. La regola aurea per una battuta “dark” in un comedy club è: una metà sala inorridita, l’altra metà divertita. Alcuni commentatori (solitamente sui social) mettono in dubbio la necessità di una comicità dark: io sono convinto che una battuta dark sia il riflesso di un aspetto della realtà per cui vale la pena ragionare insieme. Purtroppo, la realtà esiste nelle sue manifestazioni più oscure, ed è molto più spietata della fantasia. La tragedia esiste. Il tumore pure. La guerra anche.

Pedofilia, sfruttamento, miniere in Congo, passato coloniale, stupro, antisemitismo, razzismo, omicidi, femminicidi. La realtà è una schifezza. Il benpensante pretende che di certi temi si parli con una specie di orrore mistico, di pedanteria, nella presunzione che versare una lacrima (anche se finta) e fare quegli orrendi minuti di silenzio, una bella pratica di redenzione della coscienza collettiva, sia in qualche modo un gesto migliore e un gesto che ti rende migliore. Quando una persona mi dice: di questo tema non bisogna ridere. Io mi rendo conto che sto parlando con qualcuno che quando ride non ride mai “per qualcosa” ma “di qualcosa”. È tristissimo. Il moralismo nei confronti di ciò di cui si può e non si può ridere ha lo stesso sapore delle guerre sante: nel nome di qualcosa di giusto, o percepito come tale da chi lo professa, si commettono delle atrocità.

Ci sono argomenti ancora tabù in Italia? Se sì, quali?

In Italia sono tutti censori. Diciamo che nella mia comicità non ho mai fatto prigionieri. Tant’è che nel corso della mia carriera sono stato definito: fascista, comunista, anarchico, gay, amante dei gay, omofobo, misogino, misantropo, antisemita, antisionista, islamofobico, proislamico, antitaliano, anti albanese, pro serbo, pro Kosovo, filo albanese, pan arabo, americano, filo arabo, Re Erode (giuro! per una battuta sull’aborto) e così via. Una volta dopo uno spettacolo una mia amica mi disse: è difficile arrabbiarsi perché ti rendi conto che riesci ad offendere tutti, compreso te stesso…

Credo però che nonostante si parli molto in giro di censura da parte del “fantomatico politicamente corretto”, le reazioni peggiori che ho ricevuto per delle mie battute sono arrivate da parte di persone di “destra”. Per tre casi nello specifico: Bossi, Benito Mussolini e il generale Vannacci. Reazioni violente e minacce di morte, rievocazioni (per altro scorrette) del Terzo Reich, tutte documentate nero su bianco sui social. Errori ortografici compresi.
Ma se devo dire un tema censurato oggi, da ogni parte, è la Palestina. Mi è stato esplicitamente vietato di parlarne in televisione in Italia, e per un comico parlarne significa fare una battuta non un comizio. Durante il festival della canzone albanese, nel dicembre 2023 non mi è stata vietato, anzi. Penso che da questo ognuno possa trarre le proprie conclusioni.

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