Formatosi con il drammaturgo e regista argentino César Brie e l’attrice Iben Nagel Rasmussen dell’Odin Teatret, è fondatore del Collettivo teatrale Tupac Amaru a Milano a metà degli anni Settanta. Tante le collaborazioni con le compagnie e gli artisti più innovativi degli ultimi decenni, da Pippo Delbono al Tanztheater di Pina Bausch al Teatro Valdoca fondata da Cesare Ronconi e Mariangela Gualtieri.
Danio Manfredini, attore, regista, drammaturgo, pittore, docente di arti figurative e performer, vincitore di tre Premi Ubu, con gli spettacoli Miracolo della Rosa, Al presente e Cinema Cielo, sarà a Castello d’Argile, in provincia di Bologna per guidare, dal 14 al 16 maggio, il laboratorio teatrale rivolto ad attori professionisti e in formazione intitolato Attore, parola in via di scomparsa nell’ambito del percorso Agorà Formazione 2023-2024, a cura di Anna Amadori, attrice e formatrice.
Un laboratorio finalizzato ad esplorare le potenzialità espressive dell’attore, attraverso il lavoro sul corpo, la vocalità e la memoria emotiva. Oltre agli aspetti del training preparatorio dell’attore saranno affrontati i testi drammaturgici scelti dall’artista che spaziano da Il gabbiano, Il giardino dei ciliegi e Zio Vania di Čechov a Caligola e Il malinteso di Camus; da Salinger e Lotta di negro e cani di Koltès a Un tram che si chiama desiderio e Lo zoo di vetro di Williams fino a Le serve di Genet, Amleto e Macbeth di Shakespeare.
Manfredini sarà poi in scena con Divine, liberamente ispirato all’opera di Jean Genet, sempre all’interno di Agorà, sabato 18 maggio alle 21 a Pieve di Cento (Bo). Per l’occasione, abbiamo rivolto a Danio Manfredini alcune domande.
Vorrei partire da una tua affermazione, quando dici che la creazione drammaturgica non è un atto di volontà ma un atto di ascolto. Ce ne vuoi parlare più in dettaglio?
D.M.: Certamente, per quel che riguarda la mia esperienza personale, intendo per drammaturgia innanzitutto la concezione strutturale dell’opera. A me, in genere, appaiono prima dei dettagli, delle punte dell’iceberg, direi pezzi di scene, frammenti di testi, immagini. Hanno a che fare con il mondo al quale sto cercando di dare forma. Una volta tracciato il fiume in cui far confluire le cose (parole, immagini, scene…) inizia il lavoro di composizione, che segue un flusso un po’ istintivo. In questo senso parlo della necessità di ascolto e dove naturalmente le cose trovano il loro posto.
Nonostante possa arrivare in sala prove con parole e suggestioni varie, è il momento della prova in campo che comincia a dettare un ordine, sia che si tratti di un assolo, sia che lavori con altri attori, è la loro presenza che aiuta a trovare come infilare le cose. È sulla scena che compongo veramente il testo, anche se le parole sono state scritte prima, solo alla fine delle prove il copione ha preso forma e si può apprendere la partitura scenica.
Veniamo ora al laboratorio che condurrai a Castello d’Argile: come si struttura e si articola un percorso sulla ricerca delle possibilità espressive dell’attore? Quali le premesse da cui partire e i risultati a cui tendere?
D.M.: Lo stage contempla alcuni elementi di base di training fisico, che aiutano l’attore ad addentrarsi nella condizione fisica che più aiutare ad affrontare con sensibilità il lavoro teatrale. Contempla inoltre esercizi di lavoro vocale che dispongono la voce ad una buona resa scenica. La parte di recitazione viene affrontata a partire da scene che suggerisco dal repertorio teatrale classico e contemporaneo, che toccano diversi stili, dal naturalismo al lirismo, al linguaggio epico o espressionista. Conduco l’attore nella struttura delle azioni che vivono insieme al testo, per organizzare una pratica, una palestra di allenamento sui diversi stili di recitazione.
Quali le discipline e gli strumenti sui quali lavorare per potenziare l’espressività dell’attore? Si parte sempre dal testo?
D.M.: Dico sempre che il testo è una pennellata del quadro e insieme ad esso vivono anche gli altri aspetti: abitare il luogo in cui si svolge la scena, la circostanza, la sensibilità fisica, vocale, sensoriale dell’attore, la memoria emotiva che mette a disposizione dei personaggi, restano per me aspetti che continuo a considerare quando parlo del lavoro dell’attore.
A proposito del testo, nel laboratorio dedicato alla possibilità espressiva dell’attore, c’è una rosa di opere di autori che saranno affrontati e vanno dal repertorio classico a quello contemporaneo. Perché la scelta di quei testi in particolare?
D.M.: Queste sono alcune delle scene che ho avuto modo di approfondire nel corso del percorso pedagogico e mi attengo a quelle, perché il tempo che abbiamo a disposizione sono pochi giorni e per poter dare delle indicazioni chiare agli allievi, devo conoscere bene l’opera e la scena che segnalo, per condurre l’attore nel mondo dell’autore che stiamo affrontando.
A proposito di Genet ne approfitto per chiederti di Divine, l’opera che porti in scena al Teatro Alice Zeppilli di Pieve di Cento, liberamente ispirata a Nostra Signora dei Fiori-Miracolo della rosa. Dagli anni’90 in cui hai iniziato a scriverla, è cambiato anche il tuo modo di sentire quest’opera e di proporla al pubblico
D.M.: La versione del testo che propongo in Divine come lettura sui disegni, l’ho composta nel 2016. Negli ultimi anni ho avuto modo di presentarla davanti al pubblico con più frequenza. Questo contribuisce, credo, ad una interpretazione più matura. È vero che il romanzo di Jean Genet ha ispirato Cinema Cielo con le stesse parole. Ogni volta che mi addentro nell’opera ho come prima domanda: come risuona in me oggi questo mondo? Mi rendo conto che continua a risuonare, a partire dal fatto che nel frattempo, la vita mi ha fatto incontrare diverse forme che hanno a che fare con l’argomento.
L’incontro con l’opera di Genet e in particolare Nostra signora dei fiori -Miracolo della rosa col quale hai vinto il tuo primo Premio Ubu. Con Genet sembri avere un legame indissolubile e al quale ritorni sempre.
D.M.: Ho incontrato la sua opera che ero un ragazzo in difficoltà e il suo modo di approcciare l’esistenza mi ha aiutato ad aprire un varco anche nella mia vita, personale e artistica. I soggetti che ha ritratto nelle sue opere hanno risuonato di frequente con soggetti che ho incontrato nella vita e che hanno a volte preso forma anche nella scena teatrale.
Ad Anna Amadori chiedo invece il perché il titolo “Attore, parola in via di scomparsa”.
A.A.: Vorrei che Agorà Formazione – nell’ambito di Agorà/Stagione teatrale diretta da Alessandro Amato – diventasse un punto di riferimento per percorsi che mettano in contatto attori e attrici con una pratica di lavoro di cura e crescita autonoma del proprio potenziale – fondamenta di un’arte che è capacità creativa prima che interpretativa ed esecutiva.
L’attore è artista consapevole e libero, anche dentro la struttura di una regia. Il teatro è insieme antico e futuro: ora il lavoro dell’attore sembra soffocantemente legato ad un presente di occasioni e sopravvivenza e il teatro che vediamo ne propone una idea molto confusa, tesa nella forbice, da una parte, della espressività spontanea e, dall’altra, della tecnica funzionale a progetti produttivi siano essi teatrali, televisivi o cinematografici. Il presente di un attore è spesso un lavoro da fare male e in fretta seguendo logiche forse economiche, nel migliore dei casi, ma mai artistiche.
La parola arte implica studio, pratica, allenamento, immaginazione, intelligenza, tutte parole in disuso come sembra in disuso ormai l’attore inteso nel più alto dei sensi. Ecco, questo spiega il titolo Attore, parola in via di scomparsa mentre la presenza di Danio ne dà ragione: partecipare al suo laboratorio significa approcciarsi all’arte dell’attore con la complessità e la cura di cui quest’arte ha bisogno per essere tale.

Insegnante di italiano come seconda lingua, formatasi all’Università per Stranieri di Siena, giornalista pubblicista iscritta all’Ordine laureata in Filosofia e Beni culturali all’Università degli Studi di Bologna, una grande passione per il teatro. Pirandello, De Filippo, Pasolini e le avanguardie del Novecento i preferiti di sempre.