Dance Well: la cura come pratica artistica condivisa

Gen 15, 2025

Articolo di Roberta Di Serio

Dance Well – La danza per il Parkinson è un progetto che intende promuovere la danza in diversi contesti artistici e si rivolge soprattutto, ma non solo, a persone che convivono con la patologia neurodegenerativa del Parkinson. Fondato in Italia nel 2013 presso il comune di Bassano del Grappa, Dance Well è oggi sostenuto dal programma Creative Europe e coinvolge associazioni culturali di tutta Europa.

Dance Well si occupa della formazione degli insegnanti, della conduzione di classi di movimento ed eventi di divulgazione, oltre che della creazione di performance che coinvolgano utenza e comunità di riferimento. Le tecniche di movimento utilizzate sono considerate oggi uno strumento riabilitativo alternativo per il Parkinson: ricerche scientifiche hanno dimostrato che tali pratiche di danza, oltre a migliorare lo stato emotivo dei partecipanti, hanno un effetto positivo anche sulle loro capacità motorie. Le classi di Dance Well, però, non si configurano come delle sedute di fisioterapia o di ginnastica, finalizzate solo al miglioramento delle prestazioni fisiche, ma come momenti in cui mettere in gioco la propria creatività attraverso l’incorporazione di immagini e l’esplorazione del movimento danzato in relazione allo spazio e agli altri. 

La particolarità di questi incontri, del resto, risiede nel contesto in cui avvengono: oltre al benessere psico-fisico dei partecipanti, Dance Well promuove la condivisione artistica a partire dall’ambiente in cui si danza e per questo musei, gallerie, teatri, spazi culturali – luoghi di grande valore estetico e artistico – diventano lo scenario di classi di danza che assumono così un aspetto poetico, rituale, performativo. Il progetto promuove il benessere tramite la pratica artistica gratuita, accessibile non solo ai malati di Parkinson ma a chiunque sia incuriosito da una pratica di danza alternativa. Possono prendervi parte persone di tutte le età e portatrici di diverse esperienze corporee: pazienti, danzatori, coreografi, amatori vengono tutti chiamati dancers, senza distinzioni e senza alcun riferimento alla malattia o alla loro condizione fisica.

L’ideatore di questa iniziativa è Roberto Casarotto, ex danzatore contemporaneo che, in seguito ai suoi studi universitari in ambito manageriale, si è dedicato alla progettazione di iniziative culturali dedicate all’arte coreutica. Casarotto, rievocando la storia dell’iniziativa e illustrandone le caratteristiche attuali e gli effetti generati, racconta che prima della fondazione di Dance Well aveva iniziato a interessarsi al tema del corpo che matura nella danza attraverso il progetto dell’Unione Europea Act your Age. Dopo aver assistito a Maastricht, presso le sedi di uno dei partner, a lezioni di danza dedicate ai malati di Parkinson, l’ex danzatore ha deciso, insieme ad altri artisti, di dare il via ad una simile iniziativa anche in Italia. L’intenzione di Dance Well, però, è stata fin dal principio quella di creare dei gruppi misti, cosicché le persone affette dalla patologia neurodegenerativa non dovessero ancora una volta sentirsi etichettate per la propria condizione o essere costrette a osservare altri malati in uno stadio più avanzato del proprio.

Dance Well
© Luigi di Frenza

Oggi le pratiche di Dance Well si svolgono due volte a settimana e sono sempre condotte da artiste e artisti della danza che hanno seguito un training specifico, durante il quale sono stati formati su alcune importanti nozioni mediche sul Parkinson. Dance Well, infatti, è anche una realtà che intende creare ponti tra l’arte e la comunità scientifica per crescere grazie a questa collaborazione, come dichiara Roberto Casarotto:

«Abbiamo anche portato avanti, per sei anni, degli studi con ricercatori dell’Università di Roehampton, con la fondazione Fitzcarraldo e con altri partner su quello che è l’impatto nella vita di chi pratica Dance Well. Oltre ad essere una pratica che attiva più di ventuno sensi, allena anche tutte quelle che chiamiamo le soft skills; molte di questa abilità hanno a che fare con quello che è il vivere quotidiano, e quindi cambiano  il modo in cui queste persone vivono nella società. Per i malati di Parkinson praticare Dance Well significa combattere l’isolamento, rientrare in un contesto di partecipazione attiva alla vita sociale, tessere relazioni e sviluppare sistemi di solidarietà».

Il fondatore ha poi pensato che luoghi d’arte e ricchi di storia potessero contribuire a migliorare l’esperienza dei partecipanti, intuizione che ha in seguito trovato riscontro negli studi della neuroestetica, disciplina che si occupa di analizzare gli effetti positivi dell’esperienza dell’arte sul cervello umano. Questa scelta, oltre a contribuire alla riuscita dell’esperienza, ha importanti conseguenze anche per la rivalutazione delle sedi scelte, spazi appartenenti alla cittadinanza ma spesso non molto frequentati: collocare le pratiche in questi luoghi contribuisce a restituirvi la loro funzione civica e a generare una nuova affezione per il patrimonio culturale delle città.

Questa risignificazione degli spazi pubblici è anche l’obiettivo degli esiti performativi aperti al pubblico. Le fondazioni che ospitano gli incontri possono infatti decidere di invitare una coreografa o un coreografo che, sostenuti dalla guida dei teachers di Dance Well, si dedichino alla costruzione di vere e proprie performance. Tali momenti di restituzione portano i partecipanti a confrontarsi con una dimensione nuova come quella della scena, e a rivalutare in positivo il proprio corpo come corpo danzante degno di essere guardato. Inoltre, Roberto Casarotto, da curatore e organizzatore di festival, ritiene che un’iniziativa come Dance Well aiuti anche gli operatori dello spettacolo a smettere di identificare come “danza eccellente” solo un certo tipo di estetica, di approccio, di corpi.

Dance Well, in quanto progetto internazionale attivo anche fuori dall’Europa – ad esempio in Giappone e in Cina, ha dato vita a un’enorme comunità che partecipa ad una missione collettiva e si unisce in suo nome. Roberto Casarotto spiega che, durante il periodo del lockdown causato dal Covid, si è trovato a condurre delle lezioni online per persone dislocate in diverse parti del mondo e in quella occasione ha percepito quanto un’iniziativa del genere sia in grado di unire, anche al di là delle distanze e delle differenze culturali. In aggiunta alla comunità internazionale, poi, se n’è creata anche un’altra più piccola ma non per questo meno significativa: quella dei professionisti della danza che si incontrano grazie a Dance Well, i quali non sempre riescono a trovare spazi altrettanto accoglienti all’interno dei quali confrontarsi e crescere dal punto di vista artistico. «Il fatto che le classi vengano condotte da artisti che si susseguono e ruotano», afferma Casarotto, «fa anche sì che ci sia tra loro un lavoro di condivisione. Non è qualcosa che accade sempre e ovunque. Questo vale in tutti i paesi in cui Dance Well è attivo. Ovunque sento dire dagli insegnanti: “Che bello che abbiamo l’opportunità di confrontarci, di pensare insieme, di collegarci.”»

Dance Well
© Anna Kushnirenko

Oltre alla possibilità di incontrare e di collaborare con altri artisti, Casarotto ritiene che nel progetto vi sia un’importante occasione di crescita artistica per i teachers, i quali sviluppano e allenano una particolare attenzione nell’articolazione delle parole e nella scelta del linguaggio usato per guidare le persone nella danza, oltre alla capacità di collegarsi con le energie dei partecipanti e di rispettare i loro ritmi e i loro bisogni. Questa esperienza influenza anche la pratica artistica dei teachers, fornendo loro nuovi spunti e aiutandoli a sviluppare nuove sensibilità, ad esempio rispetto ai temi su cui lavorare nei propri progetti, all’attenzione sull’accessibilità delle loro performance a qualsiasi tipo di pubblico, alle modalità con cui trasmettere la danza agli altri.

La danzatrice e coreografa Giorgia Lolli, dopo aver seguito il corso per insegnanti, ha deciso di portare la pratica di Dance Well nella sua città natale, Reggio Emilia, dove oggi coordina un team. La danzatrice racconta in che modo si è svolta la sua formazione, avvenuta in parte tramite incontri online in parte in forma residenziale a Bassano del Grappa, dove ha avuto modo di mettere in pratica le informazioni apprese. Alla domanda su quali siano gli effetti benefici da lei riscontrati sui partecipanti alle classi di Dance Well, Giorgia Lolli risponde che, oltre al recupero sul piano motorio, è notevole  soprattutto la possibilità che questa iniziativa offre agli utenti con Parkinson – ma anche ai caregivers, ovvero a chi di loro si prende cura – di trovare uno spazio sicuro, di accoglienza e di incontro. Anche l’insegnante riconosce gli effetti positivi che l’iniziativa ha non solo per i suoi partecipanti, ma anche per gli artisti che conducono le classi, i quali hanno la possibilità di incontrarsi e di partecipare ad un progetto comune.

La pratica di Dance Well, qui tratteggiata attraverso l’esperienza di chi l’ha fondata e di chi è entrato a farne parte, sembra rappresentare un felice e riuscito esempio di danza come uno strumento di cura, di vicinanza, di presenza. Pur non seguendo l’impostazione di una classica seduta di danzaterapia – e anzi prendendone le distanze – questa iniziativa è una concreta dimostrazione delle potenzialità terapeutiche che la danza assume quando è pensata per determinati utenti. L’impostazione inclusiva di Dance Well, la sua volontà di creare comunità senza il bisogno di sottolineare la malattia dei partecipanti, contribuisce alla sua riuscita sollevando i malati dalla loro condizione e consentendo a loro e a chi li assiste di sentirsi parte della creazione artistica. Dance Well dimostra che la danza può essere terapia individuale e collettiva ma è anche dispositivo educativo in quanto invita all’inclusione e alla cura, e strumento comunitario in grado di promuovere, su più livelli, aggregazione sociale, creando uno spazio in cui intessere nuovi legami. L’auspicio è quello di vedere questo tipo di iniziative moltiplicarsi assumendo nuove forme e dimensioni, aprendosi a diversi tipi di utenze e coinvolgendo sempre più persone, di vederle diffondersi non solo nelle grandi città ma anche nei centri cittadini più piccoli e nelle periferie, affinché l’arte coreutica venga sempre più riconosciuta come strumento di benessere, di crescita e di incontro sociale.

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