Il Danae festival, appuntamento autunnale milanese del Teatro delle Moire ormai giunto alla sua ventunesima edizione, si rinnova nel segno di un’indagine sulla parola e del rapporto di essa con il corpo.
Si parte il 23 ottobre alla Fabbrica del Vapore (solo uno dei tanti luoghi che il festival abita) per la performance Clorofilla di Alessandra Cristiani, la parola da cui prende le mosse il suo processo creativo è quella dell’attore e poeta Marcello Sambati, in particolare quella dei due libri Esitazioni e Tenebre, entrambi trascrizioni di una trilogia teatrale. Così i versi poetici divengono strumenti creativi, immagini di danza da esplorare secondo la metodologia del danzatore giapponese MasakiIwana, il Buto Blanc, ambito di ricerca performativa della Cristiani. Per cinquanta minuti siamo trascinati, attraverso il corpo stesso della performer, in un viaggio: dapprima reliquia, nuda, abbandonata nello spazio vuoto, poi animata si trova carica di una forza altra. I suoni, le parole – tutti materiali vocali e sonori dello stesso Marcello Sambati – la luce – curata magistralmente da Gianni Staropoli – rispecchiano e ricostruiscono attorno alla Cristiani l’ambiente ideale per la lotta che anima il suo corpo: incastrato nella gravità umana ma sempre anelante ad altro, sospinto fino al confine ultimo.
È nuovamente la parola ciò a cui si approda, sempre alla Fabbrica del Vapore una settimana dopo, con Avalanche, uno degli ultimi lavori di Marco D’Agostin (neo premio Ubu come miglior performer under 35) che, accompagnato da Teresa Silva, parte in missione per l’archiviazione e la riscoperta di un passato ormai invisibile.
Gli artisti si immergono, quindi, in un dispositivo che ci guida attraverso una dimensione racchiudente ogni spazio di tempo possibile: tutto ciò che è avvenuto tra l’istante prima di questo e l’inizio della storia dell’intera umanità. Qui la parola emerge progressivamente durante la performance, come dalla sabbia di uno scavo archeologico, si procede da alcuni versi fino a ciò che viene preannunciato dall’esordio: parole in cinque lingue, pronte a intrecciarsi per raccontare un passato che sia in ogni luogo possibile, o meglio, in ogni luogo in cui i due performer avrebbero potuto essere. I due protagonisti in tuta – che siano archeologi, sopravvissuti in uno scenario post-apocalittico, novelli progenitori, non è dato a sapersi e non importa nemmeno più di tanto – ci guidano, si rincorrono senza toccarsi quasi mai, attraverso tutto ciò che non è ora.
«Tutto quello che non è sopravvissuto agisce invisibile su ciò che è rimasto»
Scrive d’Agostin per spiegare la sua ricerca, la sua insaziabile voglia di indagare l’archiviazione e i suoi metodi: quello a cui alludono i protagonisti di questo viaggio, ciò che cercano, è più che materializzare l’invisibile, è raccontare la condanna di chi archivia, soprattutto perché è impossibile archiviare tutto, è impossibile archiviare bene. L’archivio a cui si fa riferimento è uno schedario di istanti, è quindi a stretto contatto con una dimensione, presente fin nel titolo: Avalanche, ovvero la valanga: archiviare, viaggiare attraverso tutto ciò che ora è invisibile, diviene quindi il metodo per salvare più cose possibili dalla valanga, quand’anche la valanga non sia essa stessa la mole degli istanti da archiviare.
Così i nostri protagonisti, dopo un’ora di viaggio in questa dimensione, frugando e archiviando tutto l’invisibile che è stato e continua ad essere, finiscono per scaldarsi intorno a un fuoco freddo, raccontandosi ciò che hanno visto. Un lavoro profondamente umano e sull’umano, che D’Agostin porta in un momento in cui sembra sempre più difficile ricordarsi di tutte le radici invisibili che ora muovono il nostro presente, un percorso che si snodi attraverso tutta l’umanità (archiviabile).
Clorofilla e Avalanche, tra gli ultimi eventi del mese di Ottobre del festival, sono due esempi differenti tra loro, ma sempre pregnanti, di incontro tra corpo e parola, fulcro reale di questa XXI edizione del Danae Festival, che continuerà ad abitare spazi milanesi fino al 20 Novembre, facendosi, come da vent’anni a questa parte, vetrina delle esperienze artistiche contemporanee, sempre con instancabile voglia di rinnovarsi e rinnovare i propri spettatori.