Cose Così: Raymond Carver raccontato da Paola Ponti e Danilo Nigrelli

Nov 28, 2018

Raymond Carver oggi avrebbe 80 anni. Nacque a Clatskanie, Oregon, nel 1938 e sono passati 30 anni dalla sua morte, avvenuta nel 1988. Il suo stile letterario lo ha consacrato come un influente autore della short story americana. Una scrupolosa selezione di parole “precise al punto di apparire piatte, l’importante è che siano cariche di significato; se usate bene, possono toccare tutte le note”. Così l’autore ebbe modo di scrivere. Di vita ce n’è così tanta, tra le pieghe delle sue opere ci sono frammenti autobiografici e parti uguali di quotidianità. Cose Così è un testo teatrale scritto da Paola Ponti, in stile Carver, andato in scena al Teatro Eliseo Off di Roma, con la regia di Danilo Nigrelli che è anche uno degli interpreti e con cui abbiamo piacevolmente conversato intorno a questi argomenti.

Cose Così risale al 2012/13, ricorda Nigrelli sottolineando la collaborazione e il legame professionale che lo lega alla Ponti con cui gestisce la società teatrale Malbeck. Hanno prodotto diversi spettacoli, tra cui Una cena armena tratto dal libro di Sonya Orfalian e Traditi. “Anni fa lei ha scritto questo testo tratto da una serie di racconti di Raymond Carver e non è facile, tra l’altro, ottenere il placet degli eredi e della moglie. Oltre a gestire i diritti, loro sono i custodi della sua poetica. Paola l’ha tradotto, l’ha fatto leggere alla vedova Carver, la quale alla fine ha detto di essere favorevole alla nostra operazione”.

In scena viene rappresentata una giornata vissuta da tre coppie: Mike e Nan, Lyod e Inez, Stuart e Claire. Ci sono anche la madre di Stuart e Robert, l’amico non vedente di Inez. Gli attori che compongono l’ensemble di Cose Così sono Arianna Cremona, Mario Russo, Stefano Quatrosi, Carmen Giardina, Amandio Pinheiro, Elodie Treccani e Danilo Nigrelli che interpreta Robert.

Danilo Nigrelli parla veloce, cattura l’attenzione e concede elementi di rapida e concreta interpretazione: “La drammaturgia di Paola Ponti è carveriana nel senso che è come se entrasse dentro la casa dei personaggi e facesse una fotografia di tutti quei momenti. La drammaturgia questa cosa la restituisce attraverso 21 quadri, 21 scene. Non sono poche, ma sono tutte molto brevi. Un paio sono lunghe circa cinque fogli, le altre sono tutte di una o due pagine per cui non è facile recitare le scene e non è automatico, con questa essenzialità, riuscire a far emergere tutte le sfumature e i colori dei personaggi. Il lavoro di Raymond Carver è sempre stato quello di ripulire, limare gli aggettivi per far diventare le frasi più scarne, il più quotidiane possibile. Paola ha dovuto ricostruire questi racconti per renderli teatrali. È la prima volta che viene fatta in Italia una cosa del genere con i racconti di Carver; è stato complesso ma siamo riusciti a farcela alla fine”.

Una battuta dello spettacolo recita così: “I versi non sono sentimenti, sono esperienze”. Nella fretta di un destino da compiersi o più semplicemente di vivere c’è una leggera convergenza tra il regista di Grosseto e lo scrittore americano che, in un’intervista con Larry McCaffery, disse: “La mia vita sembrava molto fragile per cui volevo iniziare qualcosa che sentivo di poter ragionevolmente sperare di portare fino in fondo, il che significava che avevo bisogno di finire queste cose in fretta, in un periodo di tempo breve”.

Quella di Carver non è stata una vita trascorsa nella ricchezza, almeno in un primo momento. Ha lavorato come bibliotecario, come fattorino per una farmacia, ha lavorato in segheria con suo padre, è stato redattore. Il lavoro, lo studio e la famiglia, troppo presto e tutto insieme. A soli diciannove anni era già sposato e padre di due figli, avuti quando la sua prima moglie Maryann Burk era ancora minorenne. I suoi genitori non duravano più di due anni sotto lo stesso tetto e nello stesso Stato. Anche lui, con la prima moglie Maryann, ripropose il medesimo ménage. I ritratti delle coppie che ci restituisce sono la carne, l’essenza di ciò che Carver ha vissuto in prima persona come i problemi economici gravi e l’alcolismo. Divenne un alcolizzato così come suo padre, fino a raggiungere il livello più estremo.

In un altro passaggio dell’intervista con McCaffery Carver disse: “Essenzialmente io sono una di queste persone confuse e spaesate, vengo da gente così, quella è la gente accanto a cui ho lavorato e mi sono guadagnato da vivere per anni”. I racconti di Carver sono oneste vicende di un’umanità in conflitto con i drammi comuni. Sono storie di coppie, di coniugi in crisi che cercano distrazione e divertimento, mariti traditori, frammenti di vita familiare con l’influenza positiva o nefasta dei figli. Ambientati in luoghi come bar, stanze d’albergo, giardini, camere da letto, facili da riportare a teatro e raccontati con una prospettiva soggettiva e unica. Portare un mondo così nello spazio ristretto di poco più di 50 metri quadrati del Teatro Eliseo Off poteva sembrare un’impresa ardua. Danilo Nigrelli ci rivela invece che: “Abbiamo fatto di necessità virtù. Non l’ho risolto all’italiana con il pubblico da una parte e la scena dell’altra, non avrebbe potuto funzionare così. Dentro quella stanza, in un unico luogo, si ritrovano le coppie e avviene tutto, i pranzi come le cene. Il pubblico è come se fosse dentro quelle stanze, a un metro dal letto dove i personaggi vanno a dormire dove si raccontano della vita, dell’amore della morte. Lo spazio ristretto faceva molta paura, ma insieme a Sonya Orfalyan (curatrice di scene e costumi, ndr) abbiamo risolto il problema trovando la giusta soluzione”.

La drammaturgia di Paola Ponti in Cose Così rispetta Carver e il senso della quotidianità nel suo linguaggio. Un progetto concepito e realizzato con devozione e profonda naturalezza. Balzano all’attenzione degli spettatori, due storie in particolare. Una di queste viene raccontata come se fosse un aneddoto, una notizia, dagli attori. Parla di Scotty, un bambino che viene investito nel giorno del suo compleanno. Di quella festa che non avrà mai più luogo e di una torta al cioccolato, ordinata dal bambino nella piccola pasticceria del centro commerciale. Ci sono quei due genitori devastati nel loro dolore e un pasticciere che non è un tipo gioviale forse perché lavora fino a sedici ore al giorno. Quel racconto di Carver si intitola Una cosa piccola ma buona ed è la storia di una torta di compleanno che non verrà mai più ritirata e pagata, di un equivoco, ma anche di incomprensione e rabbia, (in)capacità di empatia.

La seconda storia fa parte invece della trama, è una scène à faire, una scena madre di Cose Così. Robert va a far visita ad un’amica, Inez, con cui lavorava anni prima. Llyod, suo marito si ritrova a fargli compagnia e a bere scotch whisky con lui. Parlano di un documentario trasmesso dalla televisione, l’uomo che è cieco chiede al compagno della sua amica di spiegargli cosa sia una cattedrale. Robert lo scoprirà usando la percezione tattile e mostrerà a Llyod nuove prospettive di vedere le cose. La trama di Cattedrale potrebbe sembrare minima, quasi banale eppure la struttura e il ritmo di quel dialogo, il lavoro di recitazione portato in scena sono calibrati in modo perfetto, al punto da creare un’armonia di emozioni .

“Abbiamo progettato una serie di moduli recitativi – ci dice Negrelli – che gli attori hanno rispettato ma che gli spettatori non hanno visto né percepito. Ricreano la quotidianità che è costruita esattamente come nel testo. Non è finto naturalismo né battute buttate via in modo che sembrino naturali, ma è una costruzione ferrea, su cui si basa il lavoro recitativo, anche molto noiosa per gli attori, ma che ha dato i suoi risultati. Fanno parte di quella costruzione le scene e le parole d’amore tra mariti e mogli che diventano, in pochi secondi, l’esatto contrario di ciò che viene detto prima. Le scene di tensione che scattano all’improvviso. A me interessa che lo spettatore possa chiedersi cosa c’è di strano in quello che lo colpisce proprio perché non viene compreso fino in fondo”.

Nigrelli infine ritorna sulle paure universali presenti in Cose Così: la vita, la morte, l’incomunicabilità e l’amore. Raymond Carver ne scrisse in Fear (Paura), contenuta nella raccolta All of Us: The Collected Poems (1996). Spesso noi abbiamo paura di una condizione specifica, ma anche del suo contrario e quello che si verifica è un cortocircuito tra cause ed effetti, tra coppie antitetiche di stati divergenti tra di loro.

“Paura di addormentarsi la notte e di non addormentarsi. Paura del passato che ritorna e del presente che vola via. Paura di svegliarmi e non trovarti più. Paura di non amare e paura di non amare abbastanza. Paura che ciò che amo possa rivelarsi letale per quelli che amo. Paura della morte e di vivere troppo a lungo”.

Tutto questo è Cose Così, tutto questo è Carver.

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