Articolo a cura di Francesca Lupo
«I feel the cost of it pushing my body / Like I push my hands into pockets / And softly I walk and I see it, this is all we deserve / The wrongs of our past have resurfaced / Despite all we did to vanquish the traces» (Sento il costo di questo spingere il mio corpo / Come se infilassi le mani nelle tasche / E dolcemente cammino e lo vedo, questo è tutto ciò che ci meritiamo / I torti del nostro passato sono riemersi / Nonostante tutto quello che abbiamo fatto per far scomparire le tracce). Così canta Kae Tempest in Europe Is Lost, un brano del 2016 che Carlo Massari sceglie come seconda traccia su cui comporre la sua coreografia. Una coreografia, quella di Metamorphosis, costruita tanto sulla musica quanto sulle parole. Atti di metamorfosi contemporanea (questo il sottotitolo dell’opera che il performer confessa al pubblico e al critico Carmelo Zapparrata) va in scena il 21 giugno all’Arena del Sole durante la rassegna InChiostro, un palcoscenico estivo allestito nel chiostro, appunto, del teatro.
Lo spettacolo è inserito all’interno del progetto Carne / focus di drammaturgia fisica, una ricerca sulle connessioni tra il linguaggio della danza e del teatro, a cura di Michela Lucenti. Prodotto nel 2022 dalla C&C Company, di cui Massari è il direttore, lo spettacolo è un trittico (ognuno con il suo titolo, Larva – Blatta – Sapiens), che per questa replica andrà in scena privato del suo terzo atto. Accompagnato dalle parole pronunciate da Emmanuel Macron durante un recente discorso pubblico su argomenti come la pandemia da Covid-19 e il conflitto in Ucraina, Massari entra in scena assumendo una posa da Capo di Stato. Sorride a una fotocamera immaginaria mentre stringe la mano a qualche spettatore che fa alzare appositamente, mentre ancora la voce del presidente francese riecheggia.
Ha così inizio Larva, in cui il performer, vestito di una camicia bianca e un paio di pantaloni neri, sulle note prima del celebre Walzer n°2 di Shostakovich e poi della sopracitata Europe Is Lost, inizia una sua trasformazione. Da una coreografia lineare e vigorosa con ampi movimenti per l’intero palcoscenico, si passa a un corpo che quasi sembra non essere più in sé, inanimato. Le braccia si intrecciano, il corpo si piega in due come un foglio di carta, ciondola da una parte all’altra finché non si scaraventa al suolo e inizia a recitare alcune Beatitudini rivisitate, dal Vangelo secondo Matteo. Strisciando esce di scena e dopo un piccolo intervallo ha inizio Blatta. Una coreografia disperata, questa, tra cadute rovinose e capriole.
Massari questa volta indossa una felpa, la stampa di una bistecca cruda ricopre interamente la superficie del tessuto. Un paio di mutande bianche, i calzini e le scarpe richiamano a loro volta il bianco del grasso e il rosso della carne. Un’altra traccia audio, questa volta di un video informativo sul consumo di carne nel mondo e sui processi per portarla in tavola, intervallati dai versi di gallinacei, bovini, maiali, stereotipati e agghiaccianti. Movimenti disperati in cerca di una forma si reiterano in scena su due ultimi pezzi strumentali (uno di questi composto da sonorità come di campagna, di pascolo, con tanto di campanacci e muggiti che Massari non manca di mimare) finché l’umanità solo apparentemente perduta dell’uomo in scena fa capolino, trasformando lentamente un muggito nella parola mamma.
Lo stesso Massari definisce il progetto un «trittico inversamente evolutivo» durante il dialogo con Zapparrata, che durante la rassegna estiva è il mediatore nell’incontro tra il pubblico e gli artisti alla fine delle loro performance. «Si parte da una estrema costruzione fisica e vocale (le Beatitudini) e si arriva ad una incapacità fisica e vocale» che il pubblico del 21 giugno non avrà possibilità di vedere in scena. Sapiens è il titolo del terzo e ultimo atto in cui l’uomo protagonista, appena riappropriatosi della parola mamma, cerca di creare un pensiero ed esporlo, ma fallisce. D’altronde, che pensiero, che parola può ancora sopravvivere mentre intorno a noi si profila il disastro? Tempest scrive un commiato per l’Europa, Macron ricorda la data dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, Massari si appella all’apocalisse. Eppure, l’epilogo della replica del 21 giugno non è la morte. È la prima parola dell’essere umano, uguale in tutte le parti del globo: mamma. Comunque sia, con Blatta la replica del 21 giugno si conclude nel segno della nascita.
Nel 2011 va in scena Corpo e cultura, interpretato da Massari e Chiara Taviani, ex codirettrice della C&C Company. Durante un’intervista un giornalista per abbreviare li chiama quelli di C&C, da lì il battesimo. Ed effettivamente corpo e cultura sono due parole chiave fondamentali per leggere l’opera del 2011, Metamorphosis del 2022 e la stessa poetica della compagnia. Corpo e cultura parlava di «come la cultura possa trasformarsi attraverso i corpi da cui viene rappresentata e come, viceversa, i corpi possano prendere forma attraverso la cultura da cui vengono attraversati». A distanza di molti anni Massari stesso fa riferimento a questo lavoro per raccontare Metamorphosis. Si tratta di un’indagine su come la contemporaneità agisca sul corpo umano, come la attraversi, la pervada, deformi. Gli atti sono tre proprio perché tre sono i passaggi, perché metamorfosi è movimento, parola che racchiude un processo.
Massari cita Kafka: basta una notte perché Gregor Samsa diventi uno scarafaggio, ma le spoglie d’insetto sono la fase finale di un processo che probabilmente l’ha sempre visto uno scarafaggio, ovvero un povero impiegato senza spina dorsale, umiliato e succube del sistema. «Un’evoluzione naturale del suo corpo rispetto a quello che la sua mente già poneva in essere». Come può allora il corpo umano non barcollare, non perdere l’equilibrio e cadere ripetutamente davanti allo sfacelo ampiamente predetto e in parte già avvenuto? Come una mosca in una stanza con le finestre chiuse, non riesce a distinguere la libertà dal vetro. Metamorphosis colpisce come colpì chi assistette alla prima proiezione de L’uscita dalle officine Lumière: un guardarsi allo specchio. È così che ci sentiamo, che ci muoviamo? Sono questi i suoni che emettiamo mentre l’apocalisse, giorno dopo giorno, ci pervade?
La vitalità del linguaggio della C&C Company si esprime sin dal nome. Corpo e cultura, danza e parola: sono questi i principali strumenti di Massari, sia in Metamorphosis che nella sua intera produzione. Che sia in scena da solo o con altri performer (come Chiara Taviani), che crei per sé o per gli altri (Right per Opus Ballet, 2021), Massari non cede a un solo linguaggio, e in questo caso il corpo e la parola sono i due strumenti principali in scena, che coesistono armonicamente, senza gerarchie. Massari viene dal teatro musicale e dalla prosa, ma il suo percorso artistico l’ha portato a un’ampia sperimentazione dei vari linguaggi della scena, tra queste la collaborazione in compagnia con la già citata Chiara Taviani, proveniente dalla danza classica, e l’incontro con Michela Lucenti. Coniugando coreografia e drammaturgia, Massari indossa il presente. Il suo corpo danza sulle direttive del presidente francese, sulle pesanti pietre di Tempest, sulle percentuali di consumo di carne nel mondo, sui campanacci di mucche al pascolo. Transdisciplinarietà dei linguaggi, corpi attraversati da responsabilità, dal divenire degli eventi. Una cifra stilistica che ha la potenza dell’immediatezza, che realizza in pieno l’obiettivo prefissato di «parlare di società alla società».

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