Contattare l’altrove. Deflorian racconta La vegetariana

Nov 11, 2024

Nelle scienze umane si parla molto, e da molto tempo, di “rappresentazione”: un successo dovuto senza dubbio all’ambiguità del termine. Da un lato, la “rappresentazione” sta per la realtà rappresentata, e quindi evoca l’assenza; dall’altro, rende visibile la realtà rappresentata, e quindi suggerisce la presenza.

C. Ginzburg

Cosa succede quando l’ambiguità e l’ambivalenza di cui parla Ginzburg vengono vanificate? Quando la corrispondenza tra una rappresentazione/presenza esteriore imprigiona un’identità interna che insiste e spinge verso la sottrazione alla presenza? È questo cortocircuito a muovere Yeong-Hye, la protagonista de La vegetariana di Han Kang: un processo che, nell’adattamento scenico di Daria Deflorian, diventa serpeggiante. Così, in scena, la protagonista non muta, ma rinasce da un’altra parte, diventando una presenza mutevole e complessa, rendendo la sua sparizione e metamorfosi impossibili e enigmatiche, incomprensibili fino alla fine. Abbiamo discusso di nascondimenti, sottrazione e qualità di presenza con la regista Daria Deflorian.

Al centro del romanzo e dello spettacolo c’è una donna che si svuota progressivamente, e in scena assistiamo a questa sottrazione. Nonostante il personaggio rimanga sempre in scena, il suo percorso e processo di mutazione creano uno spazio di interesse intorno a sé. Come ha lavorato sulla sparizione?

Prima di tutto ci lavora il romanzo. Noi siamo rimasti sempre molto in contatto con il testo originale, anche dopo la versione preparata con Francesca Marciano (autrice dell’adattamento del romanzo insieme a Daria Deflorian, ndr.), che ci ha fatto da spina dorsale. Siamo tornati tante volte, con tutto il gruppo di lavoro, al romanzo: ci sono delle parti che non sono inserite nello spettacolo ma che esistono nel lavoro, delle zone del romanzo che abbiamo aperto per comprendere meglio.

Trovandoci di fronte a un romanzo molto denso e complesso, è stato necessario fare delle scelte, dei salti. Sicuramente la vicenda permette di riflettere e di vivere, proprio in termini esperienziali, questo rinascere da un’altra parte, questo rapporto con un sogno che di fatto apre alla vita, al vivere. In qualche modo, questo effettivamente la rende visibile agli altri, ma non è fatto per gli altri; non è uno spettacolo, non è un’esibizione: è qualcosa che lei vive per sentirsi. Questo è stato possibile grazie a un lavoro attoriale di Monica Piseddu, suo, segreto, che non è una forma di regia ma una qualità di presenza.

© Andrea Pizzalis

Una fonte risuonata spesso durante l’ideazione de La Vegetariana è stato Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Luca Ronconi. Effettivamente si nota un’affinità con quel lavoro, per quanto riguarda il movimento dei personaggi in scena e il loro modo di incastrarsi. È molto interessante che in questo spettacolo questo disegno dei personaggi sia dato dai colori attribuiti a ciascuno. In che modo ha lavorato alla costruzione di questi personaggi?

Quello che mi aveva colpito allora era il fatto che la letteratura non era stata alterata dal teatro pur trovandosi di fronte a uno spettacolo vero e proprio. Questa cosa mi aveva molto segnato, proprio come spettatrice. Abbiamo avuto la fortuna di avere un mese a luglio, senza lavorare già direttamente sulla costruzione di nulla: abbiamo passato tre settimane molto libere, ricche di conoscenza nostra e di conoscenza di queste figure, senza darci nessun obbligo di costruirle. Ho osservato molto, ci siamo divertiti, facendo lavoro fisico e usando pochissimo la parola. Credo, a posteriori, che questo abbia creato delle fondamenta solide.

Anche se poi la costruzione è stata abbastanza lineare, abbiamo cominciato dall’inizio e abbiamo proseguito fino a svolgere le scene che avevamo scelto di portare in scena. Ma per un mese, nel nostro codice interno, abbiamo chiamato questo periodo di free jazz ci permetteva di non pensare alla rappresentazione, ed è stato molto bello. Poi ho potuto lavorare con tre grandi figure del teatro contemporaneo. La fortuna è stata che la regia si è configurata più come una regia drammaturgica, di composizione di tutte le questioni che dovevano armonizzarsi con gli ingredienti che avevamo messo in campo. C’è poi una sorta di auto-regia attoriale in cui ognuno ha portato un proprio sapere.

© Andrea Pizzalis

Credo sia interessante riflettere sullo spazio, in relazione allo spazio del femminile nell’economia dello spettacolo, che non è mai uno spazio neutro. Secondo alcune visioni urbanistiche di stampo femminista, nella costruzione degli spazi contemporanei, la prevalenza dello spazio dato agli uomini non è dovuta al fatto che le donne siano state annullate, ma perché sono state nascoste. Le due donne protagoniste in scena sembrano combattere costantemente con questo stato di nascondimento e svelamento. Come è stato lavorare su questa ambivalenza da regista e da attrice?

Sicuramente la questione dei luoghi nascosti è presente. Per me, in particolare, il bagno e la vasca da bagno sono stati tra le prime cose che ho costruito mentalmente, perché per me il bagno è proprio il luogo del vero io. Anche in questo lavoro, quindi, anche in questo spettacolo, i momenti di contatto con l’altrove, con il senso e con il non senso avvengono in bagno. Inoltre, sicuramente volevo uno spazio che fosse uno spazio di “finta convivenza”, cioè una convivenza relazionale matrimoniale, ma che in realtà permettesse di vedere la distanza: ci si parla con una persona che non c’è, vedi sempre uno dei due. Certo, c’è il letto, un altro luogo fondante, arrivato fin dall’inizio.

Sapevo che di tutto questo non c’era ancora una struttura architettonica di questa casa; per me era una casa già abbandonata, come se fosse già una casa dove tutto è finito. Come quei luoghi dove, dopo un po’ di anni, cominciano a entrare le piante, perché questo è il destino di certi luoghi abbandonati. Però il letto e la vasca da bagno erano fondamentali, perché credo che siano luoghi segreti, luoghi dove ci possono essere dei segreti. Mi interessava che i sogni di Yeong-Hye fossero sempre raccontati a un marito sotto la doccia, o a un marito che si addormenta, o a un marito che guarda la televisione: quindi, questo rapporto di distrazione rispetto all’esperienza dell’altro.

© Andrea Pizzalis

La vegetariana è sicuramente uno spettacolo e un testo in cui le autorialità messe in gioco sono distinte e riconoscibili, formando un quadro omogeneo ma distinguibile nelle sue parti…

La regia di questo spettacolo non è solo attoriale, ma è visiva, grazie all’apporto di Andrea Pizzalis per tutta la parte visiva e, chiaramente, anche per quanto riguarda lo spazio. C’è una drammaturgia della luce e una drammaturgia del suono che non sono nate al servizio di un’idea precostituita. Nel momento in cui le progettualità attoriali, drammaturgiche, registiche, spaziali di luce e di suono sono riuscite a non affastellarsi, c’è sempre stato qualcosa che ha fatto un passo indietro. Poter provare al Teatro Vascello per tre settimane è stata una grandissima fortuna; non avremmo potuto fare il lavoro in altre condizioni.

La vegetariana
scene dal romanzo di Han Kang
adattamento del testo Daria Deflorian e Francesca Marciano
co-creazione e interpretazione Daria Deflorian, Paolo Musio, Monica Piseddu, Gabriele Portoghese
regia Daria Deflorian
aiuto regia Andrea Pizzalis
scene Daniele Spanò
luci Giulia Pastore
suono Emanuele Pontecorvo
costumi Metella Raboni
consulenza artistica nella realizzazione delle scene Lisetta Buccellato
collaborazione al progetto Attilio Scarpellini
consulenza alla drammaturgia Eric Vautrin
direzione tecnica Lorenzo Martinelli con Micol Giovanelli
stagista Blu Silla
aiuto regia Andrea Pizzalis
regia Daria Deflorian

per INDEX Valentina Bertolino, Elena de Pascale, Francesco Di Stefano, Silvia Parlani

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