Presto ci sarà una colata di lava, una lingua di fuoco che attraverserà Paesaggi del Corpo – Festival di Danza contemporanea. Tutto ciò si verificherà il 10 ottobre, quando la Compagnia Balletto Civile sarà ospite al Teatro Artemisio Gian Maria Volontè di Velletri. Concerto Fisico è il loro manifesto poetico, un solo act che contiene in sé non solo i codici e le coordinate della ricerca artistica di Michela Lucenti, l’ibridazione tra danza, teatro, suono e corpo, ma anche la loro cronistoria come “collettivo nomade di performers”. Un percorso umano e artistico che vibra e infonde una rinascita o semplicemente l’atto di svegliarsi. E, infine, c’è un libro-guida e un’autrice premio Pulitzer nel 1975, Annie Dillard, come ci ha raccontato Michela Lucenti nel corso dell’intervista.
Ci siamo lasciati all’inizio dell’estate scorsa, ci ritroviamo in autunno. Come hai trascorso e come hai vissuto tutto questo periodo di tempo? Cosa ti ha lasciato, che cosa hai conservato?
È stata un’estate piena di tante cose da fare; in parte nuove, in parte da recuperare, come per molti. Stranamente il pensiero, a tratti, sembrava sospendersi perché c’era da essere estremamente operativi. Il punto in cui mi trovo adesso è qualcosa di bello, pieno, caldo che ha attivato in me delle riflessioni. Sto ripensando sia alla testimonianza fisica del mio, del nostro stare in scena, sia a nuove produzioni che per il momento sono nella la mia testa. Il lavoro estivo è stato riempito con tanta bellezza e successi, con ogni persona che abbiamo incontrato. Questo è il momento buono per una riflessione su quello che è accaduto, senza tristezza o nostalgia. Un tentativo di comprensione e di analisi per ciò che riguarda lo stare in scena, ma anche la scrittura. La composizione mediante l’elaborazione cosciente di tutto quello che abbiamo attraversato, senza far finta che non sia accaduto, quindi mi trovi in questa posizione.
Un approfondimento sul gioco di contrappunti, presenti in Concerto Fisico, tra te, e i tuoi compagni di scena: Maurizio Camilli e Tiziano Scali.
Concerto fisico è una materia lavica, un lavoro sui refusi. È nato come uno sfogo. Faccio un lavoro di drammaturgia fisica molto denso nella scrittura dei nostri spettacoli. Sicuramente faccio un lavoro coreografico ma per me è molto importante l’approfondimento, gli studi che si fanno all’inizio, il lavoro a tavolino precedente a quello delle prove. Da tanto tempo mi è stato chiesto di fare un lavoro da solista. Così non ho voluto ripercorrere la mia storia artistica, piuttosto esplorare un vuoto, una zona lavica che rappresenta la passione che io dedico e riservo a questo mestiere, il mio desiderio di essere una testimonianza con il corpo. Il rapporto con Maurizio e Tiziano è molto profondo. Maurizio è un attore e un danzatore, Tiziano è un fonico sui generis, molto spesso costruisce le partiture musicali dei nostri spettacoli. Lui è un musicista, un pianista. Sono entrambi le persone più adatte ad accompagnarmi e a “vegliare” su questa mia fuoriuscita artistica. Danno un’ulteriore forma a quello che io faccio.
Lavorando insieme con loro, mi sono accorta che cavalcavano benissimo il mio flusso. La funzione che hanno non è quella di mettermi dei paletti o di chiudere, ma di fomentare la mia ricerca, come se fossero il trampolino su cui ogni volta posso prendere la rincorsa. Veniamo dalle repliche di Palermo e, ancora prima, Pordenone. Concerto Fisico è uno spettacolo che cambia, un work in progress, anche se la partitura è la stessa. Ma soprattutto è una materia che noi lasciamo fluire, ognuno di noi è totalmente in gioco. Un lavoro che ogni volta è un po’ diverso, costruito su una partitura di interpretazione, come se fosse uno spettacolo jazz. Vive del momento in cui siamo e questa materia è la vita. È una materia viva come tutti gli spettacoli, ma in questo caso lo è ancora di più.
Quali sono stati i principali cambiamenti operati in Concerto Fisico?
Il lavoro tra corpo e voce, per me, è estremamente connesso. Nonostante io abbia cantato fin da bambina, la formazione più grande che ho ricevuto è avvenuta con l’immenso lavoro fatto con Moni Ovadia. Parte da un’idea di canto arcaico, in qualche modo anche popolare. Seguendo una traccia molto chiara, si ascoltano le proprie “cavità”. Un lavoro sui risuonatori che cambiano a seconda di come il corpo è, di come sta in quel momento, di cosa sta vivendo. La mia voce è cambiata, per prima cosa mi sento di dire questo. Cambiando la mia voce, naturalmente cambia anche il mio corpo. Anche se lo spettacolo rimane furioso, è più morbido, più coinvolgente rispetto al pubblico.
Quando è nato voleva essere come un pugno, un manifesto. Adesso sembra sussurrare un piccolo suggerimento a chi lo guarda. Un “vieni con me” inclusivo. In questo momento io non ho voglia di dare schiaffi, ma di prendere la gente per mano, di consegnare la mia storia condividendola insieme a quella degli altri. Magari qualcuno guardando Concerto Fisico lo troverà molto Punk, per noi invece è molto più caldo adesso, più coinvolgente, questo è ciò che mi viene da dire a getto. L’altra cosa importante è che si è affinato in questi anni ancora di più il lavoro tra lo spazio, il suono e il corpo. La nostra ricerca è andata avanti e, chiaramente, anche il rapporto tra di noi, tra me e Tiziano si è evoluto. Ci sono delle cose che funzionano meglio semplicemente perché sono state esperite di più. Come tutti gli artisti ricerchiamo e studiamo.
Come sono stati selezionati autori, musicisti e opere contenuti in Concerto Fisico? Hai pensato di cambiare qualcosa, pensi di volerlo fare?
Dal punto di vista della macro traccia, dello scheletro drammaturgico non ho cambiato niente. Credo che non lo cambierò perché, anche se l’ispirazione è nata spontaneamente, dopo è stato a lungo meditato, abbiamo tracciato un filo rosso che per noi è fondamentale. È il risultato di un mio innamoramento letterario. Ogni parola contenuta in Concerto Fisico viene da un testo: Ogni giorno è un Dio, di Annie Dillard, Premio Pulitzer, una grandissima scrittrice americana. Lavoro sul testo della Dillard, che continua ad essere l’unico suo romanzo pubblicato in Italia, da molto tempo. Avrei così tanto materiale per fare ancora altri spettacoli. C’è una forte aderenza tra la mia e la sua scrittura. È incredibile, non ho trovato mai una forma così vicina a me.
Quasi nessuno ci crede che quelle parole contenute in Concerto Fisico non siano scritte da me, ma che sono appunti che io volontariamente declamo. Ricordo che nell’estate in cui che comprai Ogni giorno è un Dio, ho avuto una vera e propria folgorazione, ho sentito che questa meravigliosa scrittrice poteva accompagnarmi per mano in questo viaggio lavico. Lei è quasi una studiosa, la sua non è una scrittura “calda”, in apparenza sembra scientifica, ma si percepisce che sotto e dentro le sue parole si muovono le energie della terra che per me continuano ad essere molto vitali, al punto da continuare a rendere un costante tributo interiore.
A un giovane danzatore/performer, a una giovane danzatrice/performer consiglieresti ancora di non risparmiarsi, nonostante il futuro incerto, ma di cavalcare le proprie aspirazioni, suggestioni, idee?
Assolutamente sì, anzi in questo momento la cosa che suggerirei a un giovane è di farsi forte della propria diversità, ancora di più. Sento che nella danza il rischio è di un’etichettatura, un restringimento di campo. Ogni giovane artista ha delle cose da dire e questa è la cosa più virtuosa che c’è. Credo che ognuno debba provare ad ascoltarsi profondamente e non rientrare nelle etichettature che continuano brutalmente a dare in ogni luogo e in ogni dove. Trovarsi nell’affermazione di sé, senza mode, capire, scrivere. Con il mio nuovo incarico ERT (Artista Associato e Direzione artistica di una rassegna di drammaturgia fisica) proverò ancora di più ad aiutare e dare spazio ai giovani. Una dimensione nella quale i “fratelli maggiori” non intervengono, non fanno tutoraggi, ma ascoltano.
Lasciamo che le nuove generazioni facciano quello che vogliono e che sentono di fare, senza condizionamenti ed etichette. Proprio perché in realtà non ci sono delle linee guida, ci sono quelli che io chiamo “oggetti artistici”. Questo non è il momento di dare consigli, c’è bisogno che i ragazzi e le ragazze che si lanciano verso un percorso artistico leggano, studino, pratichino. Bisogna fare, io sono cresciuta facendo. Gli anni ’90, quelli in cui sono cresciuta io, sono stati molto feroci, ma c’era una libertà maggiore. Attraverso gli errori che ho commesso posso dire di aver raggiunto adesso la mia felicità personale. Insomma mi trovi critica su un po’ di cose come i tutoraggi, i progetti europei, la definizione “under 35”. Finché ho fiato cercherò di rappresentare un’alternativa a tutto questo perché crea dei piccoli mostri, non degli oggetti sinceri. La libertà bisogna urlarla, soprattutto in questo momento.
Credi che siamo pronti ad accogliere concretamente, a convivere con le diversità?
È difficile per me cercare di spiegare che cosa sento, è come un freno nel nominare determinate parole come questa. Io credo che non dobbiamo più pensare ad accogliere le diversità, perché tutti lo siamo. Faccio un esempio: nonostante io sia una super femminista cerco di evitare rassegne al femminile. Trovo sbagliato qualsiasi evento concepito su categorie specifiche, chiuso in sé stesso. Dobbiamo provare a lavorare sullo stesso piano e invece abbiamo una società che fa una fatica incredibile a interagire con la diversità.
L’errore di questo momento è continuamente ricordare la diversità, noi dovremmo essere così bravi come artisti da darla per scontata senza farla diventare una sconfitta e nemmeno una conquista. Io in questo momento cerco di andare un po’ più all’osso e discutere di libertà. Quando parliamo delle diversità dobbiamo mettere in conto che fanno parte del sistema, la diversità è la normalità della nostra vita, anche all’interno di una stessa famiglia. Quindi perché non smettiamo di parlare di diversità? Abbiamo la possibilità, soprattutto nel campo artistico, di essere liberi. Spesso siamo noi i primi a darci un’etichetta.
Il presente risveglia o viene risvegliato dagli slanci emotivi? Come si realizza, cresce, si sviluppa una memoria sentimentale?
Credo che i sentimenti profondi, i ricordi che sono depositati in noi sono appunto quella lava di cui ti parlavo all’inizio. Le cose grandi sono sempre vive nonostante il passare degli anni, lo scorrere del tempo. Siamo come una montagna. I ricordi, intesi come grandi emozioni vissute, sono qualcosa che ci spinge, ci muove profondamente. Sono vivi, non vanno vivificati. Creata una piccola apertura, questa lava può risalire. In questo caso Concerto Fisico può servire a questo, fa da detonatore come quando si estrae qualcosa da una miniera. Io agisco in un modo molto Punk per spaccare la crosta, mi pongo per prima in questa condizione. Una cosa bella che succede è quando le persone mi dicono di essersi dimenticati di me e io godo per questa cosa. Significa che ad un certo punto io fungo da sciamana. Funziona proprio così, è come fare un viaggio e chi guarda, nei cinquanta minuti di durata dello spettacolo, va da un’altra parte con la sua testa. Quando ciò avviene, si realizza qualcosa di magico. Il risveglio emotivo avviene attraverso questo detonatore, questa spaccatura della crosta.
C’è qualcosa che hai perdonato, è avvenuta una riconciliazione con l’artista che è in te e c’è qualcosa invece per cui ti senti grata e orgogliosa?
Mi sento grata ancora oggi verso quelli che mi sostengono. I maestri che ho incontrato, in primo luogo Leo de Berardinis, quelli che mi hanno dato una spinta alla libertà. E sono grata di cercare, di poter dare anche io, a mia volta, lo stesso slancio. Il mio centro è il rapporto tra la danza, il corpo, il teatro e la parola. Mi vengono in mente quei maestri che hanno dato il via a quella che è diventata la ricerca della mia vita e per loro era un andamento naturale.
La cosa che non mi perdono è quando mi arrabbio discutendo tra danza e teatro. Bisognerebbe trovare una modalità più oggettiva, più concreta che si trova anche nell’accettare che alcune persone non capiranno e non vorranno mai comprendere il mio punto di vista. Vorrei essere più matura, più anziana, più tranquilla. Ogni tanto però ci sono delle circostanze che ancora adesso mi fanno infuriare come quando avevo vent’anni. Trovo insopportabile quando l’atteggiamento di chiusura proviene da enti e personalità che hanno un ruolo culturale importantissimo.

Redattore editoriale presso diverse testate giornalistiche. Dal 2018 scrive per Theatron 2.0 realizzando articoli, interviste e speciali su teatro e danza contemporanea. Formazione continua e costante nell’ambito della scrittura autoriale ed esperienze di drammaturgia teatrale. Partecipazione a laboratori, corsi, workshop, eventi. Lunga esperienza come docente di scuola Primaria nell’ambito linguistico espressivo con realizzazione di laboratori creativi e teatrali.