Che rapporto c’è tra il teatro e la scuola e cos’hanno in comune il drammaturgo e l’insegnante? Chiara Guidi, co-fondatrice della compagnia teatrale Societas di Cesena, Premio Ubu Speciale nel 2013 e Premio Lo Straniero nel 2016, incontra al Teatro Rasi di Ravenna, docenti della Scuola Primaria e Secondaria, per discutere e confrontarsi su questi temi.
“Mi occupo di corsi di aggiornamento da anni – spiega – e ho iniziato a tenerli all’interno dei teatri, perché accanto agli spettacoli per adulti abbiamo voluto dedicare attenzione anche all’infanzia”. Sono loro, infatti, il pubblico ideale, per la loro totale mancanza di preconcetti e disponibilità ad entrare con il gioco e la meraviglia alla dimensione dell’arte che interroga e parla all’uomo dell’uomo. Motivo per cui da anni Guidi reclama, in Italia, il costituirsi di una critica teatrale anche per il teatro dell’infanzia che non può ridursi a mera forma di intrattenimento.
“Il bambino ha una coscienza – precisa Guidi – e anche se di per sé non ha bisogno dell’arte, ha certamente bisogno di una dimensione relazionale per accedervi”. In questo percorso di crescita e di educazione alla bellezza sono fondamentali entrambe le figure professionali dell’artista e del maestro della scuola.
Si tratta infatti un’esperienza duplice, sia estetica, che scaturisce dal contatto con l’oggetto/evento, dando luogo alla tensione, all’attesa e al piacere del bello. Sia politica, perché implica una relazione con l’altro da sé e di conseguenza una capacità di attenzione e di crescita. Come l’artista scrive o interpreta la sua opera da portare in scena, allo stesso modo l’insegnante ogni giorno “crea” una drammaturgia su come spiegare al bambino la realtà. Come il teatro è un’esperienza più corporea che mentale, così la scuola.
Ma l’estetica e la politica dell’epoca post-industriale, aggiunge, hanno imposto una logica di mercato ad ogni ambito della realtà, conoscenza compresa. Si è sviluppata così, nei decenni, un’ormai irreversibile tendenza alla catalogazione di ciò che si conosce, piuttosto che all’osservazione, alla riflessione, allo stare silenzio di fronte al reale. Solo così, infatti il pensiero umano può evolvere, attraverso l’utilizzo di simboli, analogie e metafore (che aiutano la mente a creare collegamenti) per leggere la realtà in modo più completo e non solo in modo meramente funzionale, come sempre più spesso avviene. La ricerca dell’utile che consegue alla logica di mercato, infatti, rischia di portare ad una maggiore difficoltà a cogliere la bellezza nascosta della cose e all’impoverimento del linguaggio.
Interpretare, ci dice Guidi, significa avere una coscienza dell’ascolto e quindi la capacità di formulare un giudizio, il prendere posizione. Se il linguaggio è scarno, binario, semplificato, rischia di non esserci spazio per l’incontro, il confronto, lo scambio. Per questo è importante che le scuole e i teatri (ma anche i musei, le biblioteche) mantengano la loro connotazione di luoghi in cui l’opera d’arte/la rappresentazione della realtà interroghi la sensibilità di ciascuno che è soggettiva. Essendo solitamente luoghi di fiducia e di scambio, queste soggettività imparano a stare insieme, ad arricchirsi, forse anche a entrare in conflitto ma comunque sempre a non annullarsi e distruggersi. Questa loro connotazione rischia di essere messa in crisi da una visione che “spinge verso l’equilibrio mondiale” appiattendo però ogni attività dell’immaginazione che non sia utile. Dovrebbe invece rimanere sempre nella scuola, aggiunge Guidi, una componente di inutilità, uno spazio vuoto in cui potersi fermare e farsi delle domande. Così come nell’insegnamento non si dovrebbe avere mai una pretesa di esaustività, ma lasciare sempre aperte delle domande, per stimolare e invogliare alla ricerca.
Diventare retori della scuola (gli insegnanti) e del teatro (i drammaturghi), questo l’invito di Guidi rivolto ai presenti, ricordando che “la didattica., come la drammaturgia, non può dire tutto”, e che “la parola è materia da plasmare”. Sarebbe importante, conclude, “scrivere le immagini delle proprie lezioni. Proprio come facciamo noi drammaturghi alla fine dei nostri laboratori, per mettere a fuoco il metodo”.
Così come è importante, infine, il fattore della saggezza, accanto a quello della relazione. “Nell’epoca attuale, siamo chiamati ad essere vigili come la civetta che nell’antichità simboleggiava proprio questo valore, per la sua capacità di vedere anche nel buio e che l’iconografia classica ci ha tramandato con l’immagine del volatile sulla testa di Atena, dea delle arti e dell’ingegno”.

Insegnante di italiano come seconda lingua, formatasi all’Università per Stranieri di Siena, giornalista pubblicista iscritta all’Ordine laureata in Filosofia e Beni culturali all’Università degli Studi di Bologna, una grande passione per il teatro. Pirandello, De Filippo, Pasolini e le avanguardie del Novecento i preferiti di sempre.