Eric Minh Cuong Castaing è un coreografo e artista visivo nato nel 1979 a Seine-Saint-Denis, nel nord-est parigino. Dopo un diploma alla Gobelins – L’ Ecole de l’image di Parigi, inizia la sua carriera come graphic designer nel cinema d’animazione. L’interesse maturato in quegli anni verso la real-time coreography lo porterà presto ad avvicinarsi prima all’hip-hop, poi al butoh, sotto la guida dei maestri Carlotta Ikeda e Gyohei Zaitsu, e infine alla danza contemporanea con il coreografo e artista plastico tedesco VA Wölfl. Nel 2007 fonda la compagnia SHONEN (l’influenza dello studio di un’arte giapponese si ripercuote nel nome del collettivo, che si traduce in “ragazzino”) e dedica la sua ricerca alla creazione di dispositivi capaci di connettere la danza, le arti visive e le nuove tecnologie. Le sue opere, che spaziano dalle performance alle installazioni e ai film sono da egli stesso definite “in situ / in socius”.
La specificità di un prodotto site-specific incontra sempre, nel lavoro di SHONEN, una partership con istituzioni pubbliche, scuole, ospedali, istituti di ricerca o ONG al fine di instaurare rapporti duraturi e concreti e di creare un beneficio alle realtà sociali. Il suo studio esplora modalità di rappresentazione e percezione del corpo nell’era delle nuove tecnologie, in particolare nei rapporti di interdipendenza o compresenza (ad esempio, mediante l’allestimento di un video streaming live tra ballerini sul palco e ballerini palestinesi a Gaza nella performance Phoenix del 2018). Gli artisti che performano per SHONEN sono caratterizzati da una specificità e diversità di stili e tecniche, ma non mancano contaminazioni di corpi fuori standard, disabili, amatoriali, o non umani (spaziando dai droni a robot umanoidi).
L’opera
Il coreografo racconta in un’intervista per la rivista «Danser – Canal Historique»: “Ho creato L’Âge d’or nel giugno 2018 al Palais de Tokyo. È un dittico composto da un film e una performance, un incontro tra ballerini e bambini con disabilità dovute a disturbi motori. Tre anni fa, il Festival di Marsiglia mi ha offerto di condurre un workshop presso il centro Saint-Thys di Marsiglia. Non avevo mai lavorato sul tema della disabilità prima. Il primo giorno, il contatto con loro è stato difficile. Il secondo giorno, abbiamo iniziato i workshop con la contact dance, ed è stato fantastico. I bambini sorridevano al minimo tocco. Erano brillanti e i loro gesti disinibiti.”
Nato come un film ma diventata presto una performance, L’Age d’or è la perfetta sintesi della ricerca di SHONEN sulla relazione tra corpo e tecnologia. Partendo da un’interazione fatta di piccoli gesti, l’idea stessa di disabilità perde il suo significato. Il titolo fa riferimento alla mitologia classica, e l’auspicio è quello di tornare a vivere un’età dell’oro in cui le differenze siano la norma. L’Age d’or offre un’utopia: una danza comune che va oltre la condizione di disabilità. Colette Limouzm, direttrice del centro Saint- Thys, testimonia quale cambiamento abbiano percepito i terapeuti nei bambini, che mostravano più relax e controllo: “La maggior parte di loro soffre di distonia, movimenti involontari che sono difficili da gestire per i terapeuti. Sono diminuiti o sono scomparsi del tutto con la danza”. Utilizzando suggestioni sensoriali prese in prestito dal Butoh, Castaing chiede ai bambini confinati in sedia a rotelle di diventare vento o nuvole, mentre i danzatori guidano e estendono i loro movimenti involontari. La concentrazione, le risate, le urla di gioia sono state registrate durante i mesi di workshop e riportate nella performance. Il clima di comodità e familiarità è esteso anche al pubblico, che dopo lo spettacolo dal vivo diventa testimone del processo, catturato nel docu-film.
La performance
L’esperienza inizia in una scena vuota e senza quinte, nessuna musica in sottofondo, solo la voce dei bambini in sedia a rotelle che aspettano ai margini dello spazio. I danzatori vagano lentamente tra di loro, sussurrando nelle loro orecchie. La performance inizia discretamente: un ballerino porta un bambino al centro. Prolunga i suoi gesti, a volte li infastidisce, li manipola per farlo danzare. Presto tutti i bambini si uniranno alla scena, ognuno accompagnato da uno o più danzatori, montando un solo sviluppato appositamente per ognuno di loro in un esercizio di scoperta e riscoperta di gesti danzanti. Dalle parole del coreografo: “Al pubblico è trasmessa la dimensione della relazione sociale, la relazione con il tatto e il modo di guardare i corpi a lui sconosciuti. Ciò richiede la creazione di uno spazio di fiducia in cui lo spettatore possa rilassarsi. Quindi vi presentiamo l’Age d’or in uno spazio ordinato, con tappeti posati sul pavimento, che riuniscono il pubblico attorno agli artisti. Per ogni bambino creiamo danze sia specifiche che relazionali che lo stimolino. Ride e questo fa reagire gli altri bambini e i ballerini. Tutta la drammaturgia è scritta intorno a questi ritratti.”
Il cortometraggio
La seconda parte è dedicata a un film documentario che mostra le diverse sessioni di prove che hanno portato alla performance, ripercorrendo i mesi di workshop. Il film si muove tra il genere del documentario e della fiction, cercando di esaltare l’estetica dei corpi in movimento e il loro “stato di grazia”. Il fulcro del lavoro è sicuramente l’interazione tra danza, corpi non convenzionali e tecnologia. In particolare, L’Age d’or si serve della realtà virtuale e della motion capture per restituire in video una sensibilità e intimità che andrebbero altrimente perse.
La VR
Utilizzando dispositivi di realtà virtuale è stato possibile svincolarsi dalle problematiche legate a determinate specificità motorie dei giovani pazienti dell’Istituto Saint-Thys. A una ballerina è fissata una telecamera sulla fronte, tramite degli occhiali di supporto. I bambini vedono in tempo reale il suo punto di vista tramite i loro visori. Altri danzatori, nel frattempo, li muovono in base ai movimenti della danzatrice. Ad esempio, quando si mette la mano davanti al viso, il bambino vede l’immagine di quella mano. Allo stesso tempo, al braccio del bambino sarà fatto eseguire lo stesso movimento. Castaing mette in atto una stimolazione visiva e cognitiva che trasferisce i bambini in corpi mobili, danzanti.
La Motion Capture
Una parte del corto è dedicata all’animazione 3D partendo dalla danza dei performer con i bambini. Tramite l’uso di un dispositivo Kinect 2 (device Microsoft in grado di raccogliere dati percependo i cambiamenti di posizione) collegato a una cinepresa, i movimenti coreografici, così come il colore degli indumenti e la profondità dello spazio, erano registrati e pronti a essere renderizzati: al filmato originale, ovvero, è applicato un livello di animazione 3D. Il risultato è stupefacente, riuscendo infatti a trasmette una sensibilità chiara e concreta tramite video, e restituendo l’essenza e le caratteristiche peculiari di tutti i componenti del gruppo danzante. Al tempo stesso, ciò che si percepisce è anche un unico respiro, una massa densa e coerente formata da tante unità in comunicazione tra loro.
Durata: spettacolo di danza (30 minuti) seguito da un film (22 minuti) Performer: Eric Minh Cuong Castaing, Aloun Marchal, Silvia Costa, i bambini del centro Saint-Thys, i danzatori del National Ballet of Marseilles Pubblico: attorno a tutta la scena Spazio: scena vuota con tappeto danza Suono: musiche originali di Alexandre Bouvier Direzione fotografica: Marc Da Cunha Lopes
Nasce in provincia di Siracusa nel 2000 e affianca la maturità classica allo studio in ambito performativo frequentando l’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa e la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano, dove ad oggi frequenta il corso Danzatore e persegue uno studio personale circa la storia della performance digitale e le sue future declinazioni. Il suo primo studio coreografico Else_or the january blues debutta a giugno 2021 in occasione del Festival Dominio Pubblico – La città agli Under 25 negli ambienti di Spazio Rossellini a Roma.
Yvonne Rainer e Richard Serra nascono a distanza di cinque anni nella città di San Francisco, rispettivamente nel 1934 e 1939. Si tratta di una danzatrice e coreografa del movimento avanguardista postmoderno americano e di uno scultore minimalista.
Yvonne Rainer si trasferisce a New York nel 1957 per studiare teatro, trovandosi presto più fortemente attratta dalla danza contemporanea che dalla recitazione. La sua formazione inizia alla Martha Graham School e continua con Merce Cunningham. Rainer è stata una dei membri più attivi del Judson Dance Theatre, un punto focale per l’attività d’avanguardia americana nel mondo della danza negli anni ’60. Il suo noto approccio alla disciplina prevede di trattare il corpo più come fonte di un’infinita varietà di movimenti che come portatore di emozioni o drammi. Molti degli elementi che l’artista ha impiegato nei primi anni ’70, come ripetizione, schemi, compiti e giochi sono diventati caratteristiche standard della danza contemporanea. La sua performance più nota, Trio A (1966), consisteva in un’esibizione simultanea di tre ballerini che includeva una difficile serie di movimenti circolari e a spirale.
Richard Serra è noto soprattutto per le sue sculture astratte in acciaio di grandi dimensioni, la cui presenza costringe gli spettatori a confrontarsi con le qualità fisiche delle opere e dei loro siti peculiari. Come altri minimalisti della sua generazione, Serra si allontana dall’arte come metafora o simbolo, proponendo invece l’idea della scultura come esperienza fenomenologica di peso, gravità, spazio, processo e tempo. Cresce a stretto contatto con i processi di lavorazione dei metalli, vista la professione del padre come installatore di tubi nell’industria della costruzione navale. Lo stesso Serra si dedicherà al lavoro nelle acciaierie durante gli anni del college. Una delle sue opere più popolari,Tilted Arc (1981), commissionata per la Federal Plaza di New York, ha suscitato accese discussioni circa il suo scopo artistico e il suo effetto sullo spazio pubblico. La struttura, che misurava 36 metri di lunghezza e quasi 4 metri di altezza, era posizionata in modo tale da impedire il movimento attraverso la piazza, costringendo così le persone a interagire con la scultura camminando intorno ad essa per arrivare dall’altra parte. Nel 2000, Serra vince il Leone d’Oro per l’arte contemporanea alla Biennale di Venezia.
La vicinanza temporale e geografica tra i due artisti, che iniziano a sperimentare nei primi anni ‘60 a New York, li porta a produrre due opere tra loro davvero similari. Entrambi gli artisti sperimentano il medium della pellicola tramite performance che coinvolgono le loro mani. Si parla di Hand Movie (1966) della Rainer eHand Catching Lead (1968) di Serra.
L’opera
Soggetto e periodo non sono le uniche due affinità delle performance video. Entrambe le opere esibiscono un approccio ibridato ai rispettivi media artistici, danza e scultura, ed entrambi i film possono essere classificati nella categoria minimalista e post-modernista. La premessa concettuale è simile: una mano impegnata in un’attività, catturata all’interno del film. Ciò è particolarmente importante considerando il fatto che entrambi i film sono il prodotto di un artista che proviene da una disciplina nettamente diversa. L’approccio trasgressivo di Rainer e Serra alle regole e alle convenzioni dei loro rispettivi media artistici non era insolito per gli artisti post-minimalisti, il cui lavoro si è spesso basato sulla sovrapposizione tra oggetto e arti performative. E per comprendere del tutto i motivi che hanno spinto due artisti così diversi a ritrovarsi d’accordo per estetica e multimedialità, è bene indagare i retroscena di ogni film.
HAND MOVIE
Yvonne Rainer gira il film aiutata dal collega artista del JDT William Davis confinata in un letto d’ospedale, in convalescenza dopo un intervento chirurgico.
È il primo dei suoi film, che l’artista considera più come esperimenti che opere d’arte finite. Guardando la performance è possibile tracciare un andamento coreografico parabolico: i movimenti in Hand Movie iniziano in modo neutro e aumentano progressivamente di complessità, prima di tornare di nuovo in una posizione piatta di “inizio”. Rainer mostra deliberatamente la mano da tutti i lati, suggerendo una prospettiva scultorea e tridimensionale. Un singolo dito è spesso isolato dal resto della mano, il medio indugia in una sorta di solo, mentre a volte il movimento è appena percettibile, un leggero allargamento del palmo e delle dita, una lenta arricciatura. L’articolazione delle dita della Rainer le fa apparire come unità autonome, permettendole di esplorare movimenti non quotidiani della mano e del polso. Una delle idee chiave associate al lavoro è la nozione di materialità del corpo, inteso come materiale con cui lavorare, proprio come se fosse compensato o acciaio. Nelle sue stesse parole, Rainer indaga “come usare il performer come mezzo piuttosto che persona”.
Durata: 7 minuti performer: Yvonne Rainer cameraman: William Davis suono: muto supporto: pellicola 8mm in bianco e nero
HAND CATCHING LEAD
Mentre Hand Movie si svolge lungo un continuum temporale di perpetuo movimento, Hand Catching Lead di Serra è un esercizio di riflesso, ripetizione e ritmo, un esperimento basato sul tentativo di afferrare pezzi di piombo che cadono. Il movimento rimane lo stesso dall’inizio alla fine, ma la possibilità del fallimento fornisce un aspetto indeterminato a un’attività altrimenti prevedibile. Due movimenti strutturano il film. Il primo è l’azione di presa della mano di Serra, il secondo è il pezzo di piombo stesso. I movimenti di tensione e rilascio dei tendini nel polso di Serra rendono visibile, ad un livello intimo, il processo minuto del lavoro manuale del corpo dell’artista.
Entrambe le sperimentazioni possono essere considerate come forme ibride in cui gli artisti hanno combinato i rispettivi media originari con il nuovo mezzo cinematografico. Per capire cosa stia ricercando Rainer, con la sua mano come sineddoche della danza, e cosa stia facendo Serra all’interno dell’avanguardia delle arti plastiche, è necessario aver seguito lo sviluppo storico delle due discipline. Per Rainer il focus sta nella materialità del corpo e dei suoi movimenti funzionali e autonomi che resistono al fraseggio e alla drammatizzazione. Per Serra il rapporto della mano con il piombo è un’incarnazione performativa e processuale della relazione dell’artista con i suoi materiali. Avviene così un inedito e inconsapevole scambio tra i due artisti, che hanno successivamente ammesso di essersi influenzati a vicenda. Rainer ruba dalle arti plastiche la tridimensionalità e la matericità del medium fisico, mentre Serra prende in prestito il movimento puro per interagire con i suoi strumenti.
Durata: 3 minuti performer: Richard Serra suono: muto supporto: pellicola 16mm in bianco e nero
Nasce in provincia di Siracusa nel 2000 e affianca la maturità classica allo studio in ambito performativo frequentando l’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa e la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano, dove ad oggi frequenta il corso Danzatore e persegue uno studio personale circa la storia della performance digitale e le sue future declinazioni. Il suo primo studio coreografico Else_or the january blues debutta a giugno 2021 in occasione del Festival Dominio Pubblico – La città agli Under 25 negli ambienti di Spazio Rossellini a Roma.
Nato nel 1980, Alexander Whitley è un danzatore e coreografo londinese, direttore della Alexander Whitley Dance Company. Si diploma alla Royal Ballet School ma viene ben presto folgorato dalla danza contemporanea, che gli permetterà di fare esperienza con compagnie quali la Rambert, la Michael Clark Company, la Sydney Dance Company e la Wayne McGregor Random Dance. In qualità di coreografo, cura i lavori di alcuni tra i nomi di spicco della danza contemporanea inglese come Balletboyz e Candoco, riservando però solo alla sua compagnia il compito di testare i limiti della danza dal vivo. La AWDC nasce infatti nel 2014 in risposta alle nuove possibilità creative offerte dalle nuove tecnologie digitali e le pratiche interdisciplinari che ne possono derivare. L’intenzione è quella di indagare la rilevanza del movimento attraverso i vari media, usando la tecnologia digitale come strumento di coinvolgimento profondo del pubblico. Lavora sul concetto di presenza e accessibilità dell’opera d’arte nei confronti di spettatori che possano effettivamente partecipare alla stessa esperienza anche se molto distanti tra loro. All’inizio del lockdown nel Marzo 2020, per l’appunto, Whitley inizia a lavorare a un database, che più tardi diventerà il progetto Digital Body, di sequenze di danza realizzate usando la tecnologia di Motion-Capture, rendendo il lavoro disponibile gratuitamente per tutti i digital artist che volessero usufruirne.
L’opera
Il progetto Digital Body esplora come il movimento umano possa essere rappresentato utilizzando la tecnologia di motion-capture e animazione 3D. Quanto si può rendere astratta la figura di un corpo e riconoscerla ancora come umana? Come può la motion capture animare forme che siano diverse da quelle anatomiche? In reazione diretta a queste e altre domande che gli sviluppatori e i digital artist iniziavano a porsi, nasceChaotic Body, lavoro di danza e digital art che prevede la produzione di tre brevi video-performance. In attesa dell’ultimo capitolo del trittico, il team di digital artist ha messo a disposizione le prime due parti, Strange Attractor e Liminal Phase. Entrambe le composizioni prendono in prestito i pattern naturali come pretesto per testare le soglie di ciò che rimane riconoscibilmente umano quando il corpo è ridotto a un insieme di punti nello spazio. Partendo dallo studio della fisica matematica, il processo creativo è volto a indagare la Teoria del Caos. Non è la prima volta che Whitley si lascia ispirare dalla scienza, basti pensare a 8 Minutes, sull’esplorazione dello spazio, o Butterfly Effect, che indaga tempo e casualità. Come egli stesso spiega, “La natura descrive sistemi dinamici, proprio come dovrebbe fare una coreografia”.
Chaotic Body 1: Strange attractor
Il primo capitolo del progetto Chaotic Body è stato commissionato dal Romaeuropa Festival con il supporto del British Council, ed è frutto della collaborazione tra il coreografo e l’UL Collective, team di digital artist. Uno fra loro, Chris Waters, in occasione della premiere mondiale nell’ottobre 2020, ci parla delle fasi creative nello sviluppo della stanza virtuale che avrebbe fatto da scena alla coreografia. Che cosa si sarebbe potuto ottenere creando uno spazio con regole fisiche molto complesse con cui i danzatori potessero convivere? Il risultato è inaspettato e imprevedibile, un sistema di interazione basato sulla sensibilità dello spazio alla danza e alla musica. La coreografia, la musica e l’arte visiva si arricchiscono a vicenda.
Il titolo fa riferimento al concetto di attrattore strano, particolare regione di spazio in un sistema dinamico entro la quale si manifestano interazioni di andamento caotico. La sequenza di danza catturata in motion capture della danzatrice si ripete in loop. Il punto, spiega Whitley durante la premiere mondiale, non è creare una sequenza virtuosa di passi che si susseguono, ma vedere come l’interazione con regole fisiche altre in uno spazio digitale riesca a trasformare una semplice sequenza in qualcosa di irriconoscibile rispetto al punto di partenza.
Durata: 6 minuti Performer: Tia Hockey Pubblico: chiunque possieda un device con connessione internet Spazio: stanza virtuale Suono: composizione di Qasim Naqvi
Chaotic Body 2: Liminal Phase
Debutta nell’estate 2021 presso il VRHAM Festival di Amburgo, confermando la presenza dello stesso team di creativi, con l’aggiunta del compositore americano Missy Mazzoli. Si tratta di un breve lavoro per due danzatori, che pone l’accento sul respiro umano per dissolvere i confini tra la forma dei loro corpi e l’ambiente in cui si trovano. I due danzatori hanno registrato la loro sequenza senza sapere cosa l’altro avrebbe danzato, eppure il risultato finale ottenuto è un duetto in cui le due ombre sembrano comunicare incessamente tra di loro, e dissolversi l’una dentro i confini dell’altra.
Durata: 6 minuti Performer: Hannah Ekholm, David Ledger Pubblico: chiunque possieda un device con connessione internet Spazio: stanza virtuale Suono: composizione originale di Missy Mazzoli
Nasce in provincia di Siracusa nel 2000 e affianca la maturità classica allo studio in ambito performativo frequentando l’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa e la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano, dove ad oggi frequenta il corso Danzatore e persegue uno studio personale circa la storia della performance digitale e le sue future declinazioni. Il suo primo studio coreografico Else_or the january blues debutta a giugno 2021 in occasione del Festival Dominio Pubblico – La città agli Under 25 negli ambienti di Spazio Rossellini a Roma.
Jérôme Bel nasce nel 1964 a Montpellier. A 19 anni scopre il mondo della danza al Festival d’Avignone, assistendo a Nelken di Pina Bausch e Rosas danst Rosas di Anne Teresa de Keersmaeker. Decide così di iscriversi al Centre National de Danse Contemporaine presso Angers e una volta diplomato riesce a lavorare per varie compagnie ed artisti, tra cui Angelin Preljocaj o la Compagnie L’Esquisse di Joëlle Bouvier e Régis Obadia. Nel 1994 debutta in qualità di coreografo con un pezzo per due danzatori intitolatoNom donné par l’auteur, ponendo le basi di quello che poi si delineerà come il suo stile, la non-danza – corrente artistica nata in Francia nei primi anni ‘90 che prevede la creazione di pezzi in cui il movimento è associato a pratiche più teatrali e performative quali la lettura, le arti plastiche, musica, film, video proiezioni.
Nel primo progetto coreografico come nel successivo, dal titolo Jérôme Beldel 1995, la danza sembra scomparire a favore di un’analisi delle sue convenzioni e dei suoi codici, esplorando il corpo del performer alla stregua di un oggetto. È solo nel suo terzo progetto coreografico, Shirtologiedel 1997, che lo stile performativo multimediale della non-danza si definisce chiaramente, non che si tratti di un artista a cui piacciono le etichette.
L’opera
Pensiamo allora a Shirtologie come un gioco umoristico tra persone e immagini, un esperimento su un nuovo modo di connettere il performer e il pubblico, attraverso la poetica di un racconto e l’azione quotidiana di sfilarsi una t-shirt, sublimata sul palcoscenico.
In un’intervista del 2012 per il Tate Modern, in occasione della ripresa della performance, il coreografo racconta l’origine della sua creazione. Per l’esibizione precedente a Shirtologie aveva previsto la nudità completa dei performer, quindi decide che il lavoro successivo si sarebbe concentrato in qualche modo sui costumi. Trova nella t-shirt grafica la forma di outfit più contemporanea, capace inoltre di portare con sé un’ideologia. Dopo un’interminabile sessione di shopping durata tre mesi – tutti i capi utilizzati durante la produzione sono infatti ready-made – mette in ordine il bottino di magliette per creare una narrativa, come un attore che scrive la propria drammaturgia.
La perfomance consta di tre parti, tre momenti diversi in cui il gioco sembra azzerarsi per poi ripartire durante la sezione successiva. È bene sapere che, originariamente, le tre parti servivano da break tra due performance più lunghe dell’artista.
Prima parte| Il Countdown
Frédéric Seguetteè l’unico interprete in scena, già apparso negli altri lavori del coreografo e con il quale instaurerà di lì in avanti un rapporto di collaborazione molto proficuo.
Il performer, sotto un fascio di luce fredda in jeans e felpa bianca, sotto la quale si celano altri strati di capi, si guarda i piedi. Inizia a spogliarsi di una maglietta alla volta, e alla terza che recita 99% angel il pubblico già ride. Si scopre subito il gioco di uno strip-tease per niente erotico, come lo stesso autore lo definisce, un conto alla rovescia dettato dai numeri stampati sulle t-shirt.
La didascalia diventa autonoma, non più coadiuvante di qualcosa, non più solo sottolineatura, ma testo unico e protagonista, insieme al corpo e alle azioni del performer. Il meccanismo di ricerca del fil rouge è assolutamente lasciato nelle mani dello spettatore, che non si limita a guardare passivamente l’azione performativa ma vi partecipa scoprendo gli enigmi dietro le associazioni di immagini e parole.
Alla fine della sezione, il performer è ormai rimasto a torso nudo, e lo si vede per la prima volta non sfilare ma indossare una maglietta, che illustra una gabbia toracica.
Seconda parte | Dance or Die
Le scritte sulle prime due magliette preannunciano un cambio, un nuovo capitolo che sta per iniziare. Lo spirito è più narrativo, sembra di ascoltare una fiaba i cui tasselli vanno pian piano componendosi. Per la prima volta il performer usa la voce, per leggere le parole trascritte sulla maglietta, o per cantare le note di uno spartito di Mozart stampato sotto il suo mento. Le parole sulle t-shirt sembrano adesso dare ordini, ammonimenti, anticipazioni di quelle che saranno le mosse successive del performer, in un continuo gioco con il pubblico.
Terza parte | United Colors
La performance si chiude con la più breve tra le tre sezioni. Niente più scritte, si gioca di cromie, varie sfumature di blu e azzurro che si susseguono sul tronco del performer, per poi finire con una citazione alla cultura pop del fast-fashion che non fallisce mai nel far sorridere il pubblico.
La ripresa integrale è del luglio 1999 durata: 25 minuti in 3 parti performer: Frédéric Seguette pubblico: è necessario che il pubblico riesca a vedere perfettamente cosa è scritto sulle magliette indossate dal performer spazio: lo spazio minimo richiesto è 2x2m luce: un cerchio di luce bianco sul performer suono: nessun suono previsto
Nasce in provincia di Siracusa nel 2000 e affianca la maturità classica allo studio in ambito performativo frequentando l’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa e la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano, dove ad oggi frequenta il corso Danzatore e persegue uno studio personale circa la storia della performance digitale e le sue future declinazioni. Il suo primo studio coreografico Else_or the january blues debutta a giugno 2021 in occasione del Festival Dominio Pubblico – La città agli Under 25 negli ambienti di Spazio Rossellini a Roma.
Quattro linguaggi si incontrano, e offrono il proprio contributo ad una creazione “time & site specific”, nata al tempo dell’isolamento, ma diventata via via un cantiere di ricerca articolato e complesso. Una storia (di Simone Giorgi) di solitudini che si rincorrono da una parte all’altra delle pareti, sul filo di grandi brani di repertorio (Ludwig van Beethoven) o di musiche scritte per l’occasione (da Fabio Massimo Capogrosso).
Ecco lo spunto per la ricerca coreografica di Saul Daniele Ardillo intorno al corpo di danzatori, che sono isolati da un’epidemia nella primavera del 2020, ma potrebbero esserlo in qualsiasi primavera della loro (e nostra) vita. The Other Side andrà in onda il 25 giugno ore 21,15 su Rai5. Sotto lo sguardo e al ritmo del montaggio di Valeria Civardi, con le suggestioni di un’opera pittorica di Luisa Rabbia, evocativa e materica al tempo stesso.
La Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto di Reggio Emilia e La Toscanini di Parma lavorano insieme nei mesi di maggio e giugno per una “(video)creazione musicale e coreografica” con i danzatori della compagnia e i musicisti della Filarmonica Arturo Toscanini. Questa nuova “creazione a distanza” parte dall’esperienza di ‘1 meter Closer’, prodotta in aprile e presentata da Rai 5 nella Giornata mondiale della danza, il 29 aprile.
“Quello con la Toscanini è un dialogo già iniziato, che ci interessa particolarmente – spiega Gigi Cristoforetti, direttore della Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto – In questo periodo non stiamo facendo quasi nulla di ciò che avevamo previsto. Un disastro dal quale non ci facciamo piegare, e ne approfittiamo per approfondire dimensioni artistiche alle quali teniamo moltissimo, per le quali non c’era mai tempo. La videodanza, in particolare – aggiunge- ci permette di rapportarci con nuovi pubblici, e il dialogo interdisciplinare è una delle scommesse più importanti della contemporaneità”
“Per questo sono particolarmente felice che Ravenna Festival, nostro partner stabile – spiega ancora- ci accompagni nel momento in cui dobbiamo rimandare la prima del ‘Don Juan’ (che era prevista in giugno al Teatro Alighieri di Ravenna), e che anche la Collezione Maramotti sia nostro complice, aggiungendo un linguaggio e un’artista al progetto”, conclude Cristoforetti.
“L’occasione di collaborare con la Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto infatti è capitata in un momento particolare, anche se l’idea di farlo, a lungo raggio, era già stata avviata mesi prima – ribadisce Alberto Triola, sovrintendente e direttore artistico de La Toscanini – Il progetto mette in gioco energie creative in senso stretto. Insieme alla compagnia di danza partecipano tre nostri musicisti e oltre l’omaggio a Beethoven, presenta anche la musica di Fabio Massimo Capogrosso (nostro compositore in residenza per questa Stagione) con un’opera appositamente pensata”.
“In tempo di isolamento, la nuova creazione accoglie per poi sprigionare una forte tensione che si trasforma nella tensione armonica di un’anima chiamata a trovare e a trovarsi con tutte le altre voci coinvolte, musicisti, danzatori e pubblico”, conclude Triola.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
É intitolato Mycrosistems il nuovo progetto di Equilibrio Dinamico, compagnia fondata e diretta da Roberta Ferrara, nata nel 2011 per offrire concrete possibilità di formazione e tirocinio per giovani danzatori del Sud Italia. Dal 2014 la compagnia, con sede operativa a Bari, si apre alla collaborazione di un piano di produzione e distribuzione diretto da Vincenzo Losito. La mission della compagnia è da subito la volontà di un repertorio versatile, eclettico e trasversale con prime italiane a firma di coreografi e direttori di caratura internazionale.
Microsystems nasce dalla collaborazione con il Maestro Benedetto Boccuzzi, nell’intento di investigare ambienti sonori molto diversi fra loro compressi in uno spazio ridotto dove tutto accade all’istante fino a collassare. In reazione al blocco delle attività, causato dall’emergenza sanitaria, questo progetto si basa sulla volontà di intraprendere uno studio e renderlo fruibile come oggetto di studio stesso. Il Maestro ha composto inediti Microsystems per ciascun danzatore che ha potuto sperimentare liberamente le partiture, definendone la personale ricerca. Le performance di Beatrice Netti, Camilla Romita , Nicola De Pascale, Salvatore Lecce, Serena Angelini , Silvia Sisto e Tonia Laterza sono sette microcosmi che girano attorno alla musica. Fondendosi in un unico elemento, in un solo corpo. Il risultato di ciascuna ricerca è un oggetto di studio in perpetuo cambiamento, reso fruibile attraverso delle riprese video.
In questa intervista, Roberta Ferrara racconta genesi e obiettivi di Microsystems.
Il vostro nuovo progetto è intitolato Microsystems. Da dove si origina la necessità di dare vita a nuovi spazi di creazione artistica?
Credo che ogni artista necessiti di momenti di quiete per riflettere ed entrare in ascolto di sé stesso. Abbiamo accolto questo tempo come un momento di cambiamento prezioso e necessario per raffinare la nostra poetica. Da direttore ho pensato subito che fosse un ottimo momento per suggerire ai miei danzatori di dedicarsi all’ascolto e alla ricerca personale. Microsystems è un’idea nata dal Maestro Benedetto Boccuzzi, un progetto che ho subito accolto. Il M° Boccuzzi ha due qualità in comune con Equilibrio Dinamico: ecletticità ed entusiasmo. Le parole d’ordine per portare avanti questa iniziativa sono state qualità e ascolto. Per chi vive il mondo dell’arte, è necessità naturale dare vita a nuovi spazi di creazione.
Il blocco delle attività causato dalla pandemia, vi ha portato a sperimentare metodi alternativi d’indagine creativa privilegiando l’idea di studio. In che misura questo percorso di ricerca può essere fruibile per il pubblico come oggetto di studio?
Studiare significa osservare attentamente, esaminare, sforzarsi di fare qualcosa che possa essere condivisibile con un pubblico che, in questo caso, è in rete e perciò rintracciabile in tutto il mondo. Provenendo da studi umanistici mi è sempre interessato assaporare quello che precede un’opera finita. Mi innamoro del processo creativo perché mi lascia in sospeso, dando al pubblico la possibilità di creare una strada fatta di immaginazione e sensazioni dirette che, in questo caso, possono scaturire da uno schermo. In quanti sguardi o paesaggi ci perdiamo quando guardiamo un film o una semplice clip? Il Maestro Boccuzzi ha composto personalmente 7 musiche per ogni danzatore. Ogni traccia diventa un tappeto sonoro in cui il danzatore si rifugia per sperimentare uno spazio che si fa vivo attraverso una poetica personale.
Microsystems prevede una forte interazione tra composizione musicale e composizione coreografica, lasciando ampi margini di espressione individuale ai danzatori che hanno preso parte al progetto. Come nasce la collaborazione con il Maestro Benedetto Boccuzzi e come si traduce nell’immagine video questo lavoro?
Il M° Boccuzzi ha collaborato con noi lo scorso anno per una produzione firmata dal coreografo ospite Riccardo Buscarini, nella quale il Maestro suona live, al pianoforte, 50 minuti di musica classica. Le musiche composte per Microsystems sono di origine elettronica, dimostrando una duttilità che appartiene contemporaneamente al Maestro e alla nostra compagnia. Necessitiamo di danzatori versatili e consapevoli. Nei video è tangibile come una musica elettronica, apparentemente astratta, possa prendere una forma, una sostanza, un volume che nasce da un connubio tra spazio sonoro e spazio fisico. Questi brevi video rappresentano per noi una piccola gemma; segnano il possibile inizio di un progetto parallelo che potrebbe divenire una costante nei prossimi anni: ossia lasciare che i danzatori si cimentino in brevi creazioni in cui sviluppare un’identità e una poetica proprie.
Equilibrio dinamico nasce con la volontà di offrire possibilità di formazione a giovani danzatori del Sud Italia. In che modo potrà essere portata avanti questa missione in un momento così delicato per tutto il settore artistico?
Affronto ogni missione come se stessi guidando una barca a vela: bisogna essere attenti a dominare il vento! Ho imparato che i cambiamenti fanno parte del ciclo naturale delle cose, l’importante è che da questi cambiamenti scaturisca un miglioramento. In questo periodo di lockdown ho studiato, ho ascoltato, mi sono posta molti quesiti su come fronteggiare questo mutamento e arricchirmi di nuovi strumenti che, inevitabilmente, il settore artistico ad oggi richiede. Abbiamo lavorato senza sosta, perché dietro a una creazione, un progetto, una qualsiasi idea si muovono tante figure. La prima cosa che ho ritenuto indispensabile è stata riformulare il team. Ora più che mai il gioco di squadra è necessario per rielaborare idee, mantenendo la qualità del lavoro artistico come priorità.
BIOGRAFIA DI ROBERTA FERRARA
Roberta Ferrara è artista freelance; il suo bagaglio artistico si struttura nel tempo tra Italia ed estero, grazie ad uno studio di più linguaggi e tecniche, necessari per avviare un processo creativo e di scoperta. Roberta dirige, dal 2014, la sua compagnia di repertorio Equilibrio Dinamico e il suo progetto educational Ed Ensemble nel Sud Italia. I suoi lavori sono stati selezionati in festival internazionale come Masdanza, FIDCMX, Cortoindanza, Network Danza Urbana XL e Vetrina della Giovane Danza D’Autore Anticorpi XL, Premio InDIVENIRE, BallettGala Staatstheater Bremerhaven, Solo Coreografico, Lucky Trimmer, Sid Festival Seattle, Solo Tanz Theater Festival dove riceve il premio migliore coreografa e premio residenza dal direttore artistico R. Fernando, Staatstheater Ballet Augsburg. Le sue produzioni sono state ospitate in festival e stagioni di danza internazionali tra cui Italia, Città del Messico, America, Albania, Kosovo, Belgio, Germania, Croazia, Singapore, India, Giappone, Corea, Brasile, Romania; nel 2019 l’ Experimental Film Virginia le ha prodotto il suo primo dance short film ‘And Still She Gives’ con anteprima ufficiale in NYC. Roberta è un artista indipendente, docente e coreografa ospite per diverse istituzioni e compagnie tra cui Scuola Statale di Berlino, English National Ballet School, Conservatório Internacional de Ballet e Dança, Portogallo, Morikawa Dance Academy, Giappone, Elan Ballet, India, Balletto di Calabria, Balletto di Siena, Eko Dance Project, Italia, ODT International, Singapore, Korea Ballet House, Seoul, Staatstheater Ballet Augsburg, Germania e Teatrul De Balet Sibiu, Romania.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
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