15 anni di Mandala Dance Company: 3 giorni di spettacoli presso Spazio Rossellini di Roma

15 anni di Mandala Dance Company: 3 giorni di spettacoli presso Spazio Rossellini di Roma

Per celebrare il 15esimo anniversario della nascita della compagnia internazionale, ATCL dedica allo Spazio Rossellini di Roma, polo culturale multidisciplinare della Regione Lazio gestito da ATCL, una retrospettiva di tre giorni in cui verranno presentate cinque, tra le più importanti produzioni firmate dalla coreografa e regista Paola Sorressa e quattro lavori dei/lle coreografi/e under 35 associati.

Con un costante lavoro di rinnovamento dei linguaggi e delle estetiche della danza contemporanea, in quindici anni di attività, la compagnia internazionale Mandala Dance Company, si è accreditata come una delle eccellenze del panorama coreutico nazionale,  abbracciando il linguaggio di Paola Sorressa, danzatrice e coreografa, con una personale poetica e una ricerca in continua evoluzione, basate su un lavoro di destrutturazione corporea unito al floor work, flying low, contact e improvvisazione; un’incessante produzione artistica che ha portato la compagnia a calcare le scene di numerosi teatri italiani,  a prendere parte a importanti festival e rassegne nazionali ed internazionali, oltre a essere impegnata in diverse tournée all’estero (USA, Algeria, Thailandia, Tunisia, Messico, Polonia, Spagna) grazie anche alla collaborazione con diversi Istituti Italiani di Cultura.

Per il 15esimo anniversario dalla nascita della compagnia, dal 13 al 15 dicembre presso lo Spazio Rossellini di Roma, polo culturale multidisciplinare della Regione Lazio gestito da ATCL, una personale dedicata a Mandala Dance Company, in cui si alterneranno sul palco il 13 e 14 dicembre alcuni degli ultimi lavori firmati dalla coreografa e regista Paola Sorressa e il 15 dicembre le produzioni dei coreografi/e under 35 associati, vincitori delle tre edizioni di NVED_Nuovi Vettori Evolutivi Danza (2022-2024) e una produzione al debutto assoluto, creata da Mandala Dance Company per l’occasione.

La retrospettiva si apre, il 13 dicembre alle ore 21, con la presentazione dello spettacolo RITI DI PASSAGGIO, dedicato a Lucien Bruchon, che si ispira alla sacralità di tutti quei momenti che segnano il passaggio alle diverse fasi esistenziali o scandiscono l’evoluzione stessa dell’individuo in questa Vita terrena fino al passaggio a nuove dimensioni. Una sacra autorizzazione che permette di rovesciare l’esperienza individuale in quella collettiva e che accompagna ad una nuova condizione di equilibrio e quindi di rinascita. 

Si continua il giorno seguente con TRILOGIA 15TH ANNIVERSARY, in cui verranno presentate tre delle ultime produzioni firmate da Paola Sorressa: Insieme, Balancier, Essence (estratto). Un percorso di visione che accompagna il pubblico a scoprire le differenti tensioni artistiche e politiche che convivono nei lavori della coreografa romana (Premio Anfiteatro d’Oro per l’Arte della Danza, Premio Internazionale per la Danza Willy Dal Canto 2018, Premio NAPOLI DANZA per la coreografia). Indagini antropologiche a partire dalla relazione dei corpi di uomini e donne uniti nel vincolo dell’amore come in Insieme; o visioni creative che si innervano in Balancier, nello studio degli equilibri statici o dinamici e delle oscillazioni dei corpi e degli oggetti, con la presenza per la prima volta in scena dell’opera d’arte realizzata dallo scultore Fiorenzo Zaffina; ma anche riflessioni politiche, nell’era del virtuale e delle guerre, delle pandemie e dell’emergenza climatica, del consumismo e del capitalismo presenti in Essence, produzione che affronta la delicata questione di cosa nonostante le apparenti diversità ci lega indissolubilmente gli uni agli altri a brevi e lunghe distanze temporali e territoriali.

La retrospettiva dedicata a Mandala Dance Company termina il 15 dicembre con la SERATA COREOGRAFI NVED, con la presentazione delle produzioni dei coreografi/e vincitori del progetto NVED_Nuovi Vettori Evolutivi Danza: Angelo Egarese con 5_PM, Elena Copelli con Morphing, Gianluca Possidente con Una favola antica e Lucas Delfino con Erosione. Quattro creazioni originali, aventi come oggetto uno o più aspetti tematiche legate alla transizioni umane, ecologiche, vibrazionali in linea con gli obiettivi e i 5 principi fondamentali dell’Agenda 2030 (le 5 P in inglese: people, planet, prosperity, peace, partnership), prodotti nell’ambito di NVED, progetto a sostegno della crescita di nuovi talenti coreografici a cura di Mandala Dance Company, che dal 2022 al 2024, ha permesso ai coreografi prodotti e associati di accedere a un’importante opportunità di sostegno produttivo. Al termine delle quattro performance, segue Layers, la creazione originale di Paola Sorressa per MATRIX PRO 2024, il dance training program di Mandala Dance Company, che esplora il concetto di stratificazioni, unicità e connessioni umane.

Otello Sarzi cent’anni dal futuro – Bando per progetti di teatro di figura

Otello Sarzi cent’anni dal futuro – Bando per progetti di teatro di figura

In occasione del centenario della nascita di Otello Sarzi – maestro di teatro, instancabile sperimentatore e rinnovatore dell’arte dei burattini – la Fondazione Famiglia Sarzi, unitamente a Unima Italia e in collaborazione con Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Fondazione Emilia Romagna Teatro, ATER Fondazione, Teatro Akropolis e la rivista Dramma.it, ha indetto il premio “Otello Sarzi cent’anni dal futuro. Drammaturgia contemporanea e Teatro di Figura”.

L’attività artistica di Otello Sarzi si è sempre caratterizzata per una fortissima attenzione al teatro contemporaneo. Otello conosce la drammaturgia del suo tempo: Brecht, Beckett, Arrabal, Lorca… e a questa si rapporta trovando un proprio modo per portare in scena quel repertorio attraverso il linguaggio dei burattini. Drammaturgie nuove che necessariamente hanno bisogno di figure nuove, sia da un punto di vista estetico che espressivo. La creatività di Otello e il suo genio consistono proprio nel saper concepire un segno visivo e teatrale innovativo per poter dar corpo scenico a un teatro contemporaneo.

Il premio prende le mosse da questo preciso lascito di Otello, ed è rivolto a compagnie con sede legale sul territorio nazionale, che si propongano di portare in scena la drammaturgia contemporanea italiana o internazionale attraverso il linguaggio delle figure.

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Night Stories apre la rassegna Körper al Teatro Nuovo di Napoli 

Night Stories apre la rassegna Körper al Teatro Nuovo di Napoli 

A cura di Sara Raia

Nel cuore di Napoli, la rassegna Körper al Nuovo si è aperta con la MM Contemporay Dance Company che ha presentato Short Stories di Michele Merola e a Skrik di Adriano Bolognino. 

Michele Merola mette in scena musica e danza, facendo dialogare sapientemente strumento, voce e movimento. Natalia Abbascia dà origine alla performance intonando Era de maggio di R. Murolo, accompagnandosi delicatamente con il proprio violino. Da questo momento in poi, mentre le luci sono ancora basse, brevi storie prendono forma. Un corpo inizia a narrare con la danza, raggiunto da altre cinque figure ci si avvia a un racconto che da personale diviene collettivo. Corpi tecnicamente forti, armonici, fluidi. I performer indossano abiti neri: pantaloni, calzini e camicie. Si cercano: è attraverso l’insieme che si entra nel vivo della narrazione. Vi sono molti momenti di contact, ciascun danzatore accompagna l’altro verso legazioni dinamiche. I piedi tesi sviluppano rond de jambes e orientano i movimenti tramite up and over, generando vortici ininterrotti. Non mancano prese, fuori asse, gran battements, cambi di peso e cambré. La struttura coreografica muta ininterrottamente, alternando momenti d’insieme con dei solo, senza mai bipartire la scena: la violinista e la compagnia lavorano in sinergia, si scambiano sguardi e si ascoltano reciprocamente. Per un momento la cornice è abitata solo dalle donne e la cantante arriva ad un mutamento di codice: le corde del violino lasciano spazio al femminile e la voce cambia lingua, canta in inglese. Dalle quinte fuoriesce solamente un braccio e quella tensione porta l’intero corpo del danzatore a prendere il centro, a diramare la propria potenza sulla scena, aprendosi silenziosamente all’ascolto dell’altro. Tre corpi in diagonale tramutano in danza il pizzicato del violino. Quando il gruppo si riforma, è teso tra balance e unbalance, piccole e sempre più grandi circonduzioni. Una ricerca di equilibrio porta alla caduta e rende visibile che anche – e soprattutto – in disequilibrio si resta in piedi. Con Short Stories, la MM Contemporary Dance Company travalica i confini mediali e i performer, nell’intrecciarsi l’uno con l’altra in una spirale in continua evoluzione, terminano la propria esibizione. 

Night Stories
Skirk – Adriano Bolognino © Riccardo Panozzo

Quando il sipario si chiude, qualche minuto d’attesa prepara il pubblico all’ascolto di un suono stridente, lungo, fastidioso. Sulla scena tre danzatori si tengono per mano, ognuno è di spalle e la figura al centro si allontana lentamente. Le mani cercano di resistere al distacco ma poi, quasi come se si annullassero i minuti precedenti, il tempo squarcia repentinamente la fatica e il trio si scioglie. La coreografia di Adriano Bolognino attinge al celebre quadro di E. Munch. In norvegese, la parola skrik termina con la consonante occlusiva /k/ che suggerisce una brusca frenata. La medesima che avverte lo spettatore osservando già solo la prima sequenza coreografica. In italiano, il titolo dell’opera si è tradotto con “urlo”, per adattare il suono che produce la stessa sensazione della lingua di partenza, grazie ad aspetti fonosimbolici: il susseguirsi dell’articolazione delle due vocali posteriori /u/ e /o/ può essere ricondotta all’espressione del volto, emblema dell’opera dell’artista. La trasposizione del medium artistico conduce il coreografo a scavare a fondo. Rispetto al dialogo che le arti intessono tra loro, si pensa all’antico motto oraziano di ut pictura poesis e si riflette su questo particolare lavoro coreografico secondo cui è il tema del quadro ad assumere movimento, forma, dinamismo. Il topos lavorativo di Bolognino risiede in questa ricerca incessante di un disegno preciso che bruscamente tagli l’aria. 

I dieci danzatori sfidano il loro stesso corpo, mostrando fino a che punto la ripetizione può susseguirsi, in maniera netta, a livelli d’intensità costanti o sempre maggiori. La scena si colora di rosso, riprendendo le tinte calde del Munch e si articola secondo un penetrante turbine emotivo. In un particolare momento, Bolognino sceglie di lasciare due soli danzatori, un uomo e una donna, in fondo alla scena, quasi nascosti dal resto dei performer che continuano a muoversi energicamente. Si genera un chaos calmo e apparente, per cui l’occhio dello spettatore è chiamato a scegliere. Si può osservare il contorno o focalizzarsi su quelle due uniche figure, quasi immobili, che intensamente si guardano negli occhi. La mente riporta a quelle due stesse figure che nell’opera di Munch sono forse secondarie ma che se vengono osservate, parlano quanto la figura in primo piano. Il coreografo gioca su ciò che il pubblico può interpretare in maniera del tutto personale: non suggerisce letture ma apre molteplici orizzonti di pensiero. Sono frequenti i momenti in cui i danzatori si spostano con veloci pas de bouré suivi alla maniera classica, gravando sulla resistenza muscolare, sottolineando i propri respiri fìno a quando la tensione fuoriesce dalla scatola scenica e ognuno tende la mano al pubblico. Skrik vuole inglobare le sensazioni dentro cui spesso ci si chiude, dando forma al guazzabuglio che può celarsi dietro l’apparenza. Seguendo una direzione singolare, Bolognino permette la soggettiva immedesimazione attraverso l’atmosfera musicale e l’alternanza di assoli, duetti e ensemble. La MMCDC ben sa orientarsi in questo stile e dà prova di un ottimo lavoro corale e corporale. L’urlo non è effettivamente mai pronunciato, eppure viene a manifestarsi tramite la compagnia che rompe con lo sguardo la distanza con il pubblico, manifestando la disperazione dell’anima, generando dilatati istanti d’alta carica emotiva. Il grido in un momento è lentamente accennato tramite l’espressione facciale dei danzatori ma si rende esplicito, e costante, nell’insieme dell’intera performance: scatti, respiri, ripetizioni. Fervide vene emergono grazie alla tensione muscolare, insieme a energiche braccia, gambe, mani e piedi, scattanti movimenti di testa, lievi e morbide pause, brevi, che rilassano la pulsione a cui si tende dal principio. Mentre l’ensemble si orienta nello spazio un corpo resta immobile, accovacciato a terra di spalle al pubblico. Una figura continua la sua danza en face e l’esibizione si conclude con i performer che seguono la propria traiettoria in stasi, osservando altrove nel momento in cui un corpo non riesce ad arrestare la propria energia e continua a battere i moti dell’animo che risuonano sulla scena.Michele Merola e Adriano Bolognino utilizzano linguaggi differenti eppure i due lavori ben si intrecciano tra loro, mostrando l’armonia da una parte e la tragedia dall’altra, legati dal medesimo intento di mostrare la bellezza: tangibile o nascosta.

Eugenio Sideri, la corsa, la drammaturgia e l’oltraggio

Eugenio Sideri, la corsa, la drammaturgia e l’oltraggio

A un anno dal debutto a Cà Tiepolo, in provincia di Rovigo, Olmo. Io corro per vendetta, monologo interpretato da Enrico Caravita scritto e diretto da Eugenio Sideri, torna a calcare le scene il prossimo 14 settembre, questa volta sulla riviera romagnola. Ispirato al campione della corsa ultra trail Marco Olmo, atleta protagonista di sfide estreme quali  la Marathon des Sable con 230 km nel deserto marocchino, la Desert Cup di 168 km in quello giordano e la Desert Marathon in territorio libico. Ma anche della competizione sul Monte Sinai e in Martinica, per affrontare successivamente la corsa nel deserto della California e diventare campione del mondo a 58 anni nel 2006 vincendo negli oltre 165 km nell’Ultra Trail du Mont Blanc in Europa.

 Una vita spinta sull’acceleratore, non solo per il brivido dell’avventura ma anche per un desiderio di riscatto esistenziale e di vita intensa, vissuta sempre fino in fondo. Poi, due anni fa, il suo incontro con il regista e drammaturgo Sideri, fondatore di Lady Godiva Teatro a Ravenna, che già con Inizia per A nel 2012, aveva portato a teatro la vita di Alfonsina Strada, prima donna a correre in bici in Romagna, in un periodo ancora pieno di pregiudizi e divieti. È nato così il monologo dedicato all’ultramaratoneta in cui la corsa e le sfide estreme sono metafora della vita e delle scelte radicali che questa può spingere a compiere, oltraggiose, per riprendere appunto un termine caro a Sideri.

Come è nato il monologo dedicato al campione di ultratrail Marco Olmo e quando lo hai conosciuto cosa ti ha colpito di lui?

Il monologo nasce da una suggestione di Alberto Marchesani, che è un runner di ultra trail e inventore dell’Epica dell’Acqua, una 100 km non competitiva che attraversa i suggestivi paesaggi del Delta del Po.

Ci conosciamo da tempo e, casualmente, parlando di alcuni protagonisti solitari delle mie storie (Alfonsina Strada, Filottete, ad esempio) una sera mi ha detto: “Ma tu la conosci la storia di Marco Olmo? Secondo me potresti farne uno spettacolo”. Questo succedeva quasi due anni fa. E la faccenda poteva finire lì… tante volte incontro persone che mi propongono personaggi e storie che potrebbero diventare narrazioni a teatro o spettacoli veri e propri… in fondo era capitato così con Patrizia Bollini, quando mi aveva parlato, nel 2012, per la prima volta, di Alfonsina Strada (e da allora raccontiamo la sua storia in giro per l’Italia e pure all’estero, con lo spettacolo Finisce per A).

Mi sono incuriosito. Ma chi sono, mi dicevo, questi matti che fanno ‘ste cose da matti”? E così Alberto mi ha prestato un paio di libri di Olmo. Ma solo dopo alcuni mesi li ho letti velocemente. E mi sono sembrati un po’ noiosi. Mi sembrava un mondo di persone davvero particolari (mi riferisco al mondo dell’ultra trail) … gente che sfida se stessa e il destino in condizioni climatiche assurde, dai ghiacci ai deserti con cibo e acqua razionate, in gare in cui i compensi sono coppe, medaglie e basta! Non mi sembrava materiale abbastanza interessante per scriverne uno spettacolo. C’era qualcosa che non capivo: al di là delle imprese sportive, che comunque appartengono ad una nicchia (seppur relativamente ampia) di sportivi, a chi potrebbe interessare la vicenda di un uomo che ha corso intorno al Monte Bianco per 167 km? E ha vinto, quella corsa a 57 anni, appunto la Ultra Trail Mont Blanc, davanti a sportivi allenati e preparati e più giovani, provenienti da tutto il mondo? Qualcosa non mi tornava e così ci siamo nuovamente incontrati con Alberto, a cena. Stavolta è scattata la molla: mi stava raccontando una corsa che lui stesso aveva fatto tra i ghiacci islandesi e a un certo punto ho visto nei suoi occhi la sconfitta e la rivincita, occhi lucidi che mi raccontavano di come ci si possa sentire sconfitti dalla natura, dagli eventi, dalle cose che ci succedono nella vita. E magari sono proprio quelle situazioni o parole o cose che ti sono successe alle elementari o da adolescenti o al lavoro, a scuola, magari quella ragazza che ti ha rifiutato, quell’amico che ti ha umiliato, quel capo che ti ha licenziato o semplicemente tu stesso che la sera, prima di andare a letto, ti guardi allo specchio e vedi il vuoto, che un altro giorno è trascorso inutilmente… Ecco, mentre mi raccontava questo, ho pensato a quante volte poteva essere successo anche a me e quanto siano stati importanti il teatro e la scrittura quasi anche a strumento di riscossa, di rivincita. È scattata la molla, dicevo: in quella chiacchierata ho intuito, credo, che c’era una storia che meritava di essere raccontata e che non era semplicemente una storia sportiva, ma qualcosa di più….

Da un anno porti in scena questo monologo. Che tipo di pubblico attrae?

Abbiamo recitato all’Epica dell’Acqua, al debutto, a Cà Tiepolo, nella cornice della splendida isola di Albarella, tra acque, canneti, casoni di pescatori e una natura che pare ancora incontaminata. Il pubblico erano i runners che stavano correndo le tre tappe di 100k in totale, completamente immersi nella Delta del Po… e tra il pubblico c’era Olmo in persona! Eravamo emozionatissimi! Alla fine, mentre il pubblico dei runners ci applaudiva entusiasta, Olmo è venuto in scena ad abbracciarci! È stata un’emozione incredibile! Era un pubblico di corridori, appunto, che conosceva benissimo Olmo e le sue imprese. Poi siamo stati in carcere, con i detenuti che ci guardavano sorpresi, un po’ forse perché disabituati al teatro, ma soprattutto increduli che un uomo potesse compiere imprese così e forse qualcuno si è un po’ ritrovato, vedendo le proprie sconfitte e cercando la forza per la rivincita. Poi i festival teatrali, con pubblico “teatrale”, che ha accolto commosso lo spettacolo, dandoci molta soddisfazione. Pubblici diversi, di vario tipo, in cui ciascuno trova, nella storia di Olmo, la sua personale storia, anche se non ha mai corso un passo…

In questo tuo lavoro, di riflesso, tu affronti anche il tema del tempo nelle sue declinazioni: quello legato alla corsa in sé, quindi al presente, al passato (al ricordo e al non detto), al tempo futuro come possibilità. In quale ti trovi più a tuo agio, nello scriverne?

Come dici tu, non c’è un tempo solo nella mia scrittura. Attraverso il tempo, in una corsa continua tra la memoria e il futuro, cavalcando il presente. È il presente del teatro che mi interessa, il suo farsi mentre succede, il suo hic et nunc: in quel presente che succede mentre si svolge la scena, ecco che avvengono le cose (azioni, fatti, racconti, emozioni, sorrisi, lacrime). È il tempo del teatro, che succede mentre si svolge lo spettacolo e che raccoglie tanti altri tempi, ma è come se ne disegnasse uno solo, mentre avviene. A me interessa quel tempo lì, sulla scena. Il resto è finzione.

Il tema della vendetta a cui si riferisce il titolo, invece, che ruolo gioca nell’avventura di Olmo?

È fondamentale. Ma non va intesa la vendetta come qualcosa di cattivo, di negativo, anzi. È la rivincita, la rivalsa, il trovare il proprio respiro, la propria strada verso ciò che ci rende compiuti, che ci fa sentire a posto con noi stessi. Ognuno ha la sua, ognuno corre la sua corsa.

In questo tuo lavoro dedicato a Olmo, l’attore Caravita cosa porta di se stesso e cosa porta di te sul palco (oltre al personaggio che interpreta)?

Enrico dice spesso che per lui l’attore è un corpo a prestito. Credo sia un’ottima definizione per rispondere. È compito dell’attore mantenere la propria verità per indossare il personaggio che non è mai altro da sé: è altro, ma sicuramente non finzione, almeno non nel senso che molti credono e che tanto teatro ha fatto credere. Partiamo sempre da noi stessi, da ciò che siamo, dalle nostre storie, dai nostri percorsi… è la verità che abbiamo addosso che ci fa indossare degli abiti diversi che, ognuno di noi, indossa a modo suo.

In questo caso Enrico è partito da un aspetto fisico: Olmo è molto alto, magrissimo, runner. Lui è più basso, robusto, pratica sport ma non la corsa. Ci siamo chiesti come avvicinarci ad Olmo, proprio sapendo la diversità e quasi subito è nato un gioco di dichiarazione d’intenti, metateatrale: “Ci vorrebbe che Marco Olmo venisse qui…”, questa la prima battuta dello spettacolo, una dichiarazione appunto d’intenti, in cui l’attore dichiaratamente afferma di non essere quel personaggio, di non assomigliargli, ma che ne racconterà le vicende come se fosse quel personaggio.

E poi la storia personale di Enrico, che ad un certo punto del suo percorso teatrale ha scelto di diventare un portuale (e lo è tuttora), per vari motivi, tra cui la sicurezza economica che il teatro non ti dà. Ha scelto la famiglia e ha scelto il teatro con la serietà e l’impegno di un vero professionista. Ecco, Marco Olmo, nella sua vita, era uno escavatorista, alla Unicem, un’azienda che produce cementi e calcestruzzi. Ha guidato, come operaio, l’escavatore per 30 anni. Enrico è partito da qui, dalla affinità con Olmo nell’essere, entrambi, operai e Olmo stesso, quando abbiamo chiacchierato, ha apprezzato molto la scelta di Enrico. Ha sentito l’affinità, l’empatia di avere cammini simili. Io stesso ho scavato nelle mie vendette, in quelle storie della vita che mi hanno dato e mi danno dolore. In particolare il mondo dell’adolescenza, il liceo, dove ho vissuto esperienza che mi hanno profondamente segnato.

L’avventura sportiva e umana di Marco Olmo che tu porti sul palco parla del rapporto dell’uomo con se stesso e i suoi limiti. Come sviluppare un monologo efficace che non cada nella retorica e nel già detto?

Non lo so… sinceramente non mi sono posto e non mi pongo queste domande, le considero un po’ dei falsi problemi. Mi spiego: da secoli, fin dai Greci, il teatro indaga sul rapporto dell’uomo con i suoi limiti. Il tempo passa e le opere si succedono, affrontando l’uomo sempre in relazione al tempo passato e ai nuovi presenti. Ognuno, credo, scrive e riscrive. Büchner diceva che “scriviamo sempre lo stesso libro”. Ecco, nel mio piccolo, anche io provo a scrivere il mio.

Olmo è una figura solitaria, che fa scelte estreme e, riprendendo una parola a te cara, oltraggiosa (perdonami, anche se è un uomo non ho resistito a fare questo accostamento). Oltraggiosi si nasce o si diventa secondo te?

Olmo è assolutamente oltraggioso, ci mancherebbe. Quando ho scelto questa parola per nominare il gruppo di adolescenti con cui lavoro da 5 anni (Le Oltraggiose, appunto) volevo proprio il significato antico del termine, quello di superare il limite imposto, da se stessi e dagli altri. Olmo, in questo senso, è davvero oltraggioso! Io credo che si possa nascere oltraggiosi e lo si possa però anche diventare. In ogni caso non basta un’indole ribelle, un desiderio, se vuoi anche innato, di rivalsa. Occorre coltivarlo, ampliarlo, portarlo a compimento nella vita stessa che attraversiamo. Voglio dire: posso anche essere arrabbiato con i limiti che la società impone, posso contestarli, fare rumore, ma non basta, occorre cercare una propria via, una strada per correre la propria corsa oltraggiosa e correrla tutta, fino a quando il respiro ci sosterrà. È spesso un percorso che si fa in solitaria e la solitudine fa paura. E non mi riferisco necessariamente a quella fisica, che comunque gioca il suo ruolo e la sua importanza, ma a quella mentale, di scegliere altri passi dentro a un sistema di cose dai sentieri già tracciati. Si tratta di impegno, costanza, determinazione e di obiettivi che scegliamo di porci. Ricordando che le vie, mentre le si percorre, a volte cambiano direzioni, ci portano altrove rispetto a quanto pensavamo, a volte tornano indietro. È una scelta forte e faticosa l’oltraggio. Sempre, comunque, in direzione ostinata e contraria.

Prosegue la programmazione di Cross Festival – Space for the Soul

Prosegue la programmazione di Cross Festival – Space for the Soul

Prosegue Cross Festival, venerdì 31 maggio presso Casa Ceretti con un workshop di meditazione, un percorso di ascolto del proprio spazio interiore guidato da Federico Torre. Si comincia venerdì, dalle 7,30 alle 8,30, per ripetere lo stesso orario la mattina del Sabato e quindi concludere la domenica con un tempo a disposizione più ampio che andrà dalle 9,00 alle 11,30 nella splendida location immersa nel verde di Villa Taranto a Verbania, in cui questa volta Federico Torre dialogherà con Antonella Cirigliano sulle potenzialità della consapevolezza e dell’esplorazione interiore proponendo esperienze immersive al pubblico presente.

Un viaggio all’interno del corpo utilizzando il respiro come guida, alla ricerca di uno spazio in cui provare a stare “comodi”.
Alle ore 18, nella terrazza panoramica del Sacro Monte di Ghiffa, il concerto di Laura Cuomo, Rituale della presenza. Canti popolari di dolcezza e pathos, un progetto che  nasce dall’ispirazione e dalla potenza che questi luoghi sacri sanno trasmettere, dando vita a un set musicale diviso in quattro movimenti in cui la voce è protagonista, voce solista o moltiplicata in canto da litania, coro greco, polifonia elettrica con l’ausilio della loopstation e coadiuvata dal sostrato elettroacustico dei synth.

L’artista nei giorni da martedì 28 a giovedì 30 maggio  dalle ore 18.00 alle ore 21.00 nella sede di Atelier Casa Ceretti – Verbania terrà un workshop sulla voce e guiderà i partecipanti in un viaggio che parte dalla voce parlata e si sviluppa nel canto, diventando uno strumento di armonizzazione e comunicazione. I partecipanti esploreranno la loro identità, la connessione con il Tutto e la spiritualità attraverso il potente mezzo della voce umana.

L’1 giugno sarà quindi la volta dell’Healing Meditation Center, il centro buddista di Albagnano (Bee) che ospiterà un laboratorio di danza, movimento, colori e simboli, a cura di Antonella Cavalcante e Massimiliano Rosati, per indagare se stessi nel presente, andando all’origine dei propri blocchi con l’ausilio del Tarocco di Marsiglia. Un laboratorio tecnico e corporeo con pratiche singole e di gruppo, che si terrà dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 17.

Nel weekend 1 e 2 giugno ancora un fitto programma di appuntamenti a partire da sabato 1 giugno alle ore 18.00 a Verbania Atelier Casa Ceretti, la Performance – Installazione sound art, un progetto di 2501, alias Jacopo Ciccarelli, artista visivo in collaborazione con Stefano Jaccheo, Chiara Franticali, Hiroyasu Tsuri Towone, Una maestosa macchina narrativa – UMMN 2501, presentato nel contesto di una residenza artistica che si terra’ negli spazi di Casa Ceretti, dal 20 maggio al 3 giugno aperta al pubblico, con lo scopo di sollevare interrogativi sulle potenzialità della creazione di immaginari visivi come strumento di scoperta personale e in parallelo sulla possibilità di creare un vocabolario che ci permetta di visualizzarli. In che modo raccontare storie può essere uno strumento di scoperta? Come attraverso la commistione di pittura, suono, immagini e performance questa pratica può diventare un potente strumento di ricerca?

Anche l’artista e coreografa Elisa Sbaragli insieme ad un gruppo di performer, terrà una lunga residenza a Verbania, negli spazi di Villa Simonetta, per approfondire i temi della prossima creazione. Oltre ad un breve workshop offerto alla cittadinanza, Elisa Sbaragli presenta due performance in forma di studio, sabato 1 giugno alle ore 17 (in replica anche il 2 giugno alle ore 15) a Villa Simonetta. La presentazione dalla performance Se domani si tratta di un lavoro ancora in fase di studio che  parte da un’esplorazione identitaria per arrivare a scoperchiare, a svelare le nostre fragilità trasversali, storiche, sociali davanti a una contemporaneità impregnata di una plurale crisi, economica, intima

e climatica. In Se domani la crisi diventa corpo, suono e movimento. La parola crisi viene risemantizzata nel suo originario significato di scelta e di possibilità permettendoci di ritrovare “l’altrǝ”, cambiare, rinnovarsi, essere vivi e non considerarsi immortali.
La performance sarà anticipata dal workshop Dal corpo alla parola, dalla parola al corpo il 24 e 25 maggio. I due incontri, tenuti dalla danzatrice e coreografa Elisa Sbaragli, sono un momento per riflettere sul tema della “crisi” attraverso degli esercizi e processi che indagano il rapporto espressivo, narrativo e simbolico tra la parola e il corpo, a partire dall’esperienza di ricerca per realizzare la creazione del lavoro coreografico “Se domani”.

Domenica 2 giugno alle ore 17 a Verbania Atelier Casa Ceretti Immaginari. Tra ponti, stratificazioni e deviazioni una conversazione aperta al pubblico il progetto LA MACCHINA dell’artista 2501 diventa uno stimolo per far incontrare diversi punti di vista sulla creazione di immaginari visivi come pratica di apprendimento e strumento di “liberazione”.  In conversazione con 2501 ci saranno il ricercatore e scrittore Bertram Niessen e l’artista visivo Riccardo Arena.
Alle ore 19 a Verbania Teatro Il Maggiore (Foyer) la performance Stuporosa di Francesco Marilungo – Körper.Il progetto si ispira agli antichi lamenti funebri delle prefiche che accompagnano l’anima del defunto, quando lascia il corpo e consolano i parenti nel dolore della perdita. Le cinque performer di Stuporosa, tra cui ricordiamo la danzatrice Roberta Racis e  la musicista, performer e antropologa Vera di Lecce, piangono senza un motivo apparente, dando vita a un pianto che assume varie sfumature, a tratti trattenuto, a tratti soffocato, a tratti trasformato in musica, a volte con accenti di speranza e a volte con toni che richiamano un antico lamento funebre salentino.

Ultimo appuntamento del Festival alle ore 21 nel Parco di Villa Maioni (in caso di pioggia Teatro Il Maggiore), Conversazione con il  giornalista esperto di musica, Pierfrancesco Pacoda, Attraverso le parole il pubblico potrà riflettere sulla spiritualità insita nella pizzica e conoscere l’artista Antonio Castrignanò, il suo lavoro e ciò che vuole comunicare agli ascoltatori con la sua musica.

Chiusura con il  Concerto di pizzica – Babilonia di Antonio Castrignanò, realizzato in collaborazione con Musica e Spiritualità di Albagnano Healing Meditation Centre.
Babilonia è un viaggio corale che inizia dal Salento, terra d’origine del musicista, e si dirige oltre i confini territoriali alla scoperta di lingue e culture differenti, con la voglia di raccontare se stessi e conoscere la storia altrui.

Il concerto sarà anche evento ponte a chiusura di CROSS Project 2024 e apertura di Musica e Spiritualità 2024 a sancire la sinergica e fruttuosa collaborazione tra CROSS, Albagnano Healing Meditation Centre, spesso sede di spettacoli e attività di CROSS Festival, e il festival Musica e Spiritualità.

Uno speciale ringraziamento per questa dodicesima edizione del Festival ai Comuni di Verbania e Ghiffa che sostengono il progetto, a Fondazione Cariplo, che sostiene il progetto tramite il bando “Per la cultura”, alla Fondazione Compagnia di San Paolo che sostiene il Festival tramite il bando “Linee Guida per progetti nell’ambito della cultura contemporanea 2024”, alla Fondazione Comunitaria del VCO Ente Filantropico e a tutti gli enti finanziatori, stakeholder e partner senza il cui sostegno il Festival non sarebbe possibile.

La compagnia Mulino ad Arte cerca cerca figure tecniche per la tournée.

La compagnia Mulino ad Arte cerca cerca figure tecniche per la tournée.

La compagnia Mulino ad Arte cerca figure tecniche per la tournée. Si richiede:

Conoscenza della terminologia tecnica di palcoscenico;
Esperienza come fonico e datore luci di giro (operatore Chamsys);
Esperienza di videoproiezione;
Esperienza in carico e scarico;
Montaggio e smontaggio (per piccoli allestimenti);
Capacità di gestire informazioni tecniche interpretandole ed elaborandole in funzione degli obiettivi da raggiungere;
Capacità di operare in gruppo su attività e processi tipici dello spettacolo dal vivo; Atteggiamento pro-attivo e curioso verso ogni forma d’innovazione artistica; Flessibilità nel calendario degli impegni personali con relativa disponibilità al lavoro anche nei giorni festivi;
Disponibilità negli spostamenti anche con mezzi propri (Patente B);
Disponibilità a guidare furgone (Patente B);
Preferenza: base di appoggio prossima a Torino;

Dopo una prima valutazione un gruppo di tecnici sarà invitato a partecipare ad un colloquio conoscitivo in data da definire presso la sede di Mulino ad Arte.
La data limite per l’invio del curriculum è venerdì 15 giugno all’indirizzo info@mulinoadarte.com con oggetto: CANDIDATURA PER RICHIESTA TECNICO TEATRALE.