Oltre a rappresentare il patrimonio materiale e immateriale di un paese, la cultura è un termometro capace di misurarne la temperatura politica. In questo senso, i radicali cambiamenti che hanno investito l’Italia, l’avvenuto passaggio di testimone e di bandiera, hanno fatto trapelare una volontà di restaurazione che interessa in maniera sfaccettata le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini e delle cittadine. E il comparto culturale non ne è affatto escluso. Con un Codice dello Spettacolo ancora in attesa, un nuovo Decreto Ministeriale alle porte e delle assegnazioni che hanno fatto gridare all’allarme – fatto salvo per dei reintegri che confermano i meccanismi di funzionamento finora vigenti –, a un passo dal nuovo triennio ministeriale nel settore artistico-culturale regna l’incertezza. Quali sono, dunque, gli scenari futuri che ci attendono?
Abbiamo provato a fare chiarezza in questa conversazione con Francesca D’Ippolito, Presidente di C.Re.S.Co – Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea, una delle realtà più attive a livello nazionale in materia di raccolta di istanze collettive e interlocuzioni istituzionali.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a uno spostamento radicale dell’assetto politico italiano che ha lasciato prefigurare una ridefinizione del settore culturale. Quali sono gli scenari futuri?
Pensando agli ultimi anni, mi ha colpito tantissimo il ricorso quasi quotidiano al termine identitario. Anche per mezzo delle direttive europee, delle opportunità offerte dai bandi, il pensiero artistico e culturale è stato plasmato positivamente in termini di inclusione, di modalità di ingaggio, di sviluppo di pratiche innovative, mantenendosi in apertura e in dialogo con altre nazioni, con altri mondi. Questo riferirsi continuamente, come si trattasse di una sorta di mantra, a tutto ciò che è identitario, che rafforza la nazione, mi sembra – tanto in fatto di ripercussioni politiche, quanto a livello culturale e artistico – un’inversione di marcia molto pericolosa.
Le artiste e gli artisti hanno dimostrato che la contaminazione è sempre una risorsa e non un limite, sicuramente mai un pericolo: si pensi all’ibridazione tra i generi (danza, teatro, circo), o alla diffusione dell’utilizzo del digitale e delle nuove tecnologie, che ha offerto ad esempio la possibilità di moltiplicare le connessioni artistiche. Ecco, se dovessi sintetizzare la tendenza che più mi spaventa sarebbe questa: l’idea di cultura unicamente come espressione di una nazione e non più di mondi da esplorare.
Quali scenari futuri? Il migliore possibile è quello in cui il settore culturale insorge artisticamente, continuando a mettere in circolo linguaggi e pratiche inedite, in grado di elaborare questo presente così veloce. La paura, invece, è che per intercettare finanziamenti, favori o per entrare nelle corti del Re, si inciampi. Speriamo che gli artisti e le artiste, a differenza di come alle volte è avvenuto in tempi passati, non si pieghino a certi claim da campagna elettorale, da propaganda.
Che tipo di interlocuzione politica avete condotto in funzione del nuovo Decreto Ministeriale?
Il mese di luglio è stato molto positivo perché la Direzione Generale Spettacolo ha indetto tre incontri tecnici in cui erano presenti Agis, Federvivo e C.Re.S.Co, a riprova che l’interlocuzione con il direttore Parente e con il livello tecnico non si è mai interrotta. Sembravamo essere giunti alle soglie della pubblicazione del D.M.: si era parlato di un lavoro di confronto tra Direzione Generale e parte politica nel mese di agosto ed eravamo sicuri che a settembre avremmo visto circolare delle bozze. Dalle dimissioni del Ministro Sangiuliano in poi, non abbiamo saputo più nulla e temiamo che i tempi si prolungheranno ancora. L’aggravante è che a una tardiva la pubblicazione del D.M. potrebbe corrispondere un ritardo nei termini della domanda, con inevitabili ripercussioni sulle assegnazioni e quindi sugli operatori, che si troverebbero ad affrontare un nuovo triennio senza sapere per tempo su che tipo di dispositivo normativo improntare la progettualità triennale. Questa condizione rende il sistema ancora più fragile, più insicuro. Come organizzatrice, la parola che sto sentendo circolare più spesso tra le colleghe e i colleghi è prudenza. La prudenza, quando è sinomino di incertezza e timore, non può generare innovazione né sostegno al rischio culturale, diventando un freno che rischia di impattare fortemente sulla salute del sistema, e dunque su artisti e artiste.
Dal punto di vista del Codice dello Spettacolo, la situazione è ancora più paradossale. Riferendomi all’esperienza di C.Re.S.Co, posso dire che già nel 2016 abbiamo dedicato l’Assemblea Nazionale alle idee degli operatori per una legge di settore, lo abbiamo fatto ancora in pandemia nel 2020, poi appena è finita l’emergenza pandemica siamo tornati a parlarne nel 2021 a Torino: mille incontri e nessuna bozza di testo ad oggi, contrariamente a quanto era stato annunciato durante la primavera. Siamo quasi al mese di ottobre e non è accaduto nulla. Per giunta, non possiamo non segnalare che le modalità di consultazione avvenute lo scorso marzo non hanno permesso un vero confronto con le sigle: la possibilità di dialogo è stata infatti molto risicata, con incontri svolti in presenza di centinaia di operatori provenienti da mondi diversi, dalla moda al gaming e allo spettacolo del vivo, includendo grandi soggetti privati, piccole realtà, senza creare un terreno comune di confronto. Lo trovo abbastanza preoccupante.
Se posso aggiungere un altro dettaglio rispetto al reintegro, nel momento in cui tutti hanno cominciato a preoccuparsi giustamente dei tagli, come C.Re.S.Co.abbiamo cercato di fare chiarezza: il problema per noi era ed è politico, come dimostra una riduzione totale dei contributi di oltre 7 milioni. Per la prima volta negli ultimi dieci anni non solo le risorse stanziate nel bilancio statale 2024 per il FNSV non state pari all’anno precedente ma addirittura in significativa diminuzione.In aggiunta, abbiamo dichiarato una forte preoccupazione per l’entità delle dotazioni in alcuni settori e per alcune valutazioni di Qualità Artistica da parte delle Commissioni, che hanno penalizzato maggiormente i settori a più alto tasso di innovazione e sperimentazione: ad oggi il reintegro è stato annunciato verbalmente, ma non c’è un documento certo che ne attesti modalità e tempi. C’è un impegno da parte del Governo, di cui tutti ci fidiamo, ma sono ormai trascorsi diversi mesi. Al momento abbiamo tra le mani soltanto una promessa.
Quali sono le principali proposte integrative o di modifica avanzate da C.Re.S.Co. in vista del nuovo D.M.?
Tralasciando gli aspetti più tecnici, l’istanza fondamentale che abbiamo avanzato non ha riguardato principalmente le singole tipologie di soggetto come ad esempio Teatri Nazionali, Tric, Centri di produzione. Abbiamo lavorato sull’impianto generale, su tutti i meccanismi e le regole del sistema previste dal Capo 1 del D.M., chiedendo innanzitutto una semplificazione dell’impianto normativo poiché negli anni, in assenza del Codice dello Spettacolo, si sono stratificate tante modifiche che hanno trasformato il D.M. in un piccolo Arlecchino con tante toppe colorate su un vestito ormai logoro.
L’accumulazione di vincoli, norme, lacci, impedisce chiarezza, trasparenza e semplificazione. Abbiamo lavorato per una maggiore predisposizione del sistema all’innovazione e alle nuove generazioni, facendo inoltre fortemente leva sul riequilibrio territoriale, un tema rilevante guardando all’attuale fotografia del sistema del finanziamento pubblico e ai divari tra nord, centro, sud e isole, ma ancora di più tra capoluoghi e aree interne o di provincia. E ci siamo occupati dell’iperproduzione, nell’ottica di aumentare gli spazi di programmazione, di far sì che le produzioni possano avere un reale mercato e una circuitazione sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico. Volendo riassumere i temi cardine della nostra proposta: semplificazione, trasparenza, permeabilità, riequilibrio territoriale, ricambio generazionale, contrasto all’iperproduzione attraverso un sistema sano di programmazione in rete, una logica di filiera.
In merito ai possibili cambiamenti che interesseranno il settore, che grado di consapevolezza hai rilevato nel comparto artistico? Ritieni che vi sia una volontà di aggiornamento volta a comprendere le dinamiche incombenti nell’ottica di essere pronti, meglio preparati ai tempi che verranno?
In questi anni, non mi è parso sempre questo l’istinto più diffuso, anche alla luce della situazione in cui siamo. Forse perché, vivendo una condizione di costante precarietà, abbiamo la tendenza come comparto a pensare al singolo caso e sempre meno in ottica di sistema. Se dovessi raccontare uno dei progetti che ho più a cuore dei miei ormai quattro anni di presidenza di C.Re.S.Co., parlerei sicuramente di C.Re.S.Co. Studia. Nel realizzarlo, ho pensato che l’unico modo per creare in primis dentro di me una coscienza e poi una consapevolezza che potesse farsi collettiva, fosse maneggiare i dispositivi normativi, prendere confidenza anche con questioni molto ostiche come leggi e regolamenti per poter intrattenere un dialogo alla pari con i burocrati. Lorenzo Milani diceva che è la lingua che fa uguali. Abbiamo bisogno anche di conoscenze tecniche, se si conoscono poco i propri diritti si fa fatica a reclamarli.
Prestare attenzione a capire in quale punto si genera l’equilibrio tra le cose, in virtù di un benessere collettivo, può sembrare un’utopia ma in realtà è l’unico mezzo per giungere a una reale riforma di sistema. Il rischio che si corre altrimenti – ed è lo stesso rischio che stiamo correndo con il D.M. in arrivo – è che si tratti dell’ennesima collezione di minuscole e parziali risoluzioni che potrebbero frammentare ancora di più un comparto già totalmente disomogeneo come il nostro.
L’1 e il 2 ottobre si terrà a Prato l’assemblea nazionale 2024 di C.Re.S.Co, dal titolo “I nostri giorni felici”. Perché avete scelto di indagare il tema della felicità con i vostri promotori, ponendovi in controtendenza con la cupa incertezza delle manovre politiche in attuazione?
In un tempo di strazianti e molteplici crisi come il nostro, siamo consapevoli che sia molto rischioso intitolare in questo modo un’assemblea. Qual è il principio che ha ispirato questa scelta? Ci siamo guardati negli occhi e ci siamo reciprocamente chiesti “come stai?”. Le risposte hanno sempre a che fare con la stanchezza, con la demotivazione, con la frustrazione. Allora ci siamo detti che forse l’unico modo per rispondere a criticità importanti è provare a farlo attraverso la felicità personale e collettiva. Non può dirsi felice un pianeta che non gestisce il cambiamento climatico, che lascia morire i migranti in mare. Allo stesso modo non può dirsi felice un sistema in cui tutte le lavoratrici e i lavoratori hanno la stanchezza e il burn out come compagni di viaggio quotidiani.
L’idea è di concederci il rischioso privilegio di fermare tutto per due giorni e riservarci il tempo per costruire insieme il decalogo di una politica culturale sana, equa… e quindi anche felice. Il titolo scelto per l’edizione di quest’anno del Festival Contemporanea è L’emozione prima della sommossa. Voglio prenderlo in prestito e adeguarlo per spiegare il tema della nostra assemblea: felicità come presa di coscienza, una felicità propedeutica alla sommossa. È come dire che per fare la rivoluzione bisogna essere in salute perché ci sarà tanto da fare. Proviamo a ritemprarci per approcciare a tutte le riforme di sistema anche con uno sguardo più visionario, per evitare di concentrarci unicamente sulle urgenze del presente senza progettare un futuro più sostenibile. In fin dei conti, l’unico modo per farlo ci sembrano proprio la felicità e il benessere.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
Annunci di riaperture e sfiancanti ritrattazioni interessano da più di un anno teatri, cinema e spazi culturali. I lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo sono allo stremo. La precarietà, che da sempre contraddistingue il sistema lavoro del comparto culturale, dilaga violentemente dal marzo 2020 non riguardando più la sola – e già di per sé drammatica e rilevante – sussistenza della categoria ma anche la frustrazione di un settore della cui esistenza la politica non intende affermare la necessità.
I sostegni sono giunti a singhiozzi e, mentre alcuni cittadini organizzano collette per sostenere lavoratori e lavoratrici ridotti sul lastrico, la risposta delle istituzioni ha raggiunto il suo picco con l’erogazione di bonus dalla destinazione poco chiara, non immessi in un programma definito e a lungo termine.
Il Ministro Franceschini fa nuove promesse, la categoria si organizza: non bastano più le manifestazioni che hanno attraversato le città italiane negli ultimi mesi al grido di “Noi esistiamo”; i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo si riprendono i propri luoghi di lavoro. Dal Teatro Niccolini dell’Accademia di Belle Arti di Napoli – primo teatro occupato in Italia – passando per il Teatro Verdi di Padova, il Piccolo di Milano e il Teatro Mercadante di Napoli, la protesta è esplosa mettendo da parte striscioni e cartelli e occupando gli spazi della cultura.
Sulla scia delle rivendicazioni francesi, originatesi con l’occupazione del Teatro Odèon di Parigi, anche l’Italia della cultura si mobilita con azioni decisive per intraprendere delle interlocuzioni concrete con la politica.
Presso il Teatro Piccolo di Milano e il Mercadante di Napoli sono stati istituiti dei presidi permanenti, in costante confronto, per lavorare con l’intera categoria alla definizione di istanze comuni, finalizzate al superamento della crisi e alla rigenerazione del settore. Una battaglia questa che porta con sé il malcontento dell’ultimo anno ma che abbraccia l’intera storia nera dello spettacolo e della cultura italiana per invertirne, finalmente, la rotta.
Alle esperienze di lotta del settore spettacolo si unisce quella degli studenti e delle studentesse dell’Accademia di Belle Arti di Napoli che, da più di un mese, hanno occupato gli spazi dell’istituto protestando contro l’alienazione e la disparità generata della didattica a distanza, contro le violenze sessuali perpetrate da un docente ai danni di numerose studentesse e trattate con estrema omertà dalla direzione per un periodo di tempo troppo lungo, circa dieci anni.
Sostenendo le rivendicazioni di una categoria di lavoratori, quella della cultura, in cui entreranno a far parte al termine della formazione accademica, le studentesse del Collettivo studentesco Abana, questo il nome del gruppo che ha operato l’insediamento presso l’Accademia napoletana, hanno sostenuto le attiviste dello spettacolo occupando insieme, all’alba del 27 marzo, il Teatro Mercadante.
L’ondata di scioperi verificatasi oltralpe nel ‘68, rinominata Maggio francese, riverbera in questo caldo Marzo italiano.
Ne parliamo con Salvatore Cosentino, tecnico audio facente parte del collettivo Lavoratrici e Lavoratori dello Spettacolo Campania, che figura attualmente tra i dieci lavoratori del presidio permanente del Mercadante, e con il Collettivo Studentesco Abana dell’Accademia di Belle Arti di Napoli occupata il 23 febbraio scorso e posta sotto sgombero questa mattina.
Dopo una serie di manifestazioni, giunte al culmine il 27 marzo – Giornata Mondiale del Teatro – data che avrebbe dovuto coincidere con l’annunciata e poi ritrattata apertura dei teatri, avete occupato il Teatro Mercadante di Napoli, creando un presidio permanente. Perché avete scelto di attuare questa azione?
Salvatore Cosentino: Questa occupazione arriva dopo un anno di manifestazioni. Abbiamo deciso di attuare l’occupazione di un Teatro Nazionale perché pensiamo che la nostra interlocuzione non debba riguardare il singolo teatro ma vada estesa a tutto il sistema della cultura e del lavoro in Italia. Le richieste che abbiamo fatto sono condivise dall’intero comparto. È importante ribadire che questa non è solo la lotta di un gruppo napoletano, ma quella di tante altre realtà dislocate in varie zone d’Italia.
L’occupazione non interessa esclusivamente il nucleo di dieci lavoratori e lavoratrici impegnati nel presidio permanente: il Teatro Mercadante effettua dei tamponi a cadenza regolare, a ciascuna tranche di controlli corrisponderà una rotazione e il successivo ingresso di altri lavoratori e lavoratrici. Abbiamo scelto questa linea perché non vogliamo essere un gruppo che parla e si espone a nome di tutti e tutte, faremo una turnazione dando voce a coloro che hanno partecipato al presidio e alle manifestazioni degli ultimi anni.
Quali sono le istanze espresse dal presidio, quali gli obiettivi?
SC: Ci stiamo muovendo su 4 punti, certamente finalizzati a migliorare le condizione dei lavoratori e delle lavoratrici del comparto ma che inglobano anche la lotta di altre categorie di lavoratori con cui si è attivato un reciproco sostegno: la garanzia che gli anni 2020-2021 siano considerati interamente ai fini contributivi; una programmazione e una progettazione generale del settore per evitare che si continui ad andare a tentoni da qui in poi in merito a possibili riaperture; il superamento del sistema dei bonus – in quest’anno sono stati erogati in maniera randomica dei bonus irrisori e saltuari, assolutamente non in grado di garantire la sopravvivenza del settore e dei lavoratori; l’apertura di un tavolo interministeriale tra i lavoratori del settore e i vari gruppi autorganizzati nati nell’ultimo anno che comprenda, oltre al Ministero della Cultura anche il Ministero del Lavoro.
L’obiettivo a lungo termine ha a che fare con la resistenza del comparto alla crisi generata dal Covid-19, ma soprattutto con il superamento dell’attuale modello economico del settore culturale che favorisce contratti irregolari e il lavoro in nero. Vogliamo scardinare la dinamica della contrattazione al ribasso. Crediamo che debba essere garantita la sopravvivenza dei lavoratori e delle lavoratrici, impossibilitata dalla precarietà dilagante e da un mondo del lavoro completamente incentrato sulle grandi industrie. Stiamo lavorando anche per presentare una proposta di riforma che parta dalle autorganizzazioni sorte nel corso dell’anno.
A proposito di gruppi autorganizzati, a un anno dal blocco delle attività spettacolari, ritieni che la categoria dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo stia risolvendo il problema del frammentismo?
SC: Esistono piccoli gruppi nati negli ultimi mesi che hanno dimostrato di avere delle difficoltà nel riflettere su determinati temi, come esistono esperienze importanti che sono riuscite a superare questa parcellizzazione.Èvero che i singoli gruppi hanno specificità diverse, ma si sta cercando di attuare una riforma che investa dei microsettori con poche garanzie.
Dunque, pur esistendo delle rappresentanze individuali, ci si sta muovendo per ottenere una rappresentanza generale del settore, in modo che chi riesce ad ottenere delle vittorie come singolo lavoratore possa generalizzarle e diffonderle agli altri. Ciò si ottiene unendo forze e idee e facendo proposte al rialzo.
Diversi teatri italiani sono stati occupati in questi giorni, pensate di coordinarvi anche con le altre realtà sul territorio per portare avanti la protesta?
SC: Facendo parte di Emergenza Continua cheè un coordinamento nazionale, abbiamo avuto modo di entrare in contatto più facilmente con tutti i gruppi italiani che hanno manifestato e occupato i teatri nella giornata del 27 marzo. Quindi esiste già un gruppo nazionale autonomo, un tavolo che ha anche prodotto analisi di settore e condotto inchieste sulla condizione dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo.
Ci sono state due azioni forti che hanno portato il Teatro Mercadante a concederci un tavolo permanente: la prima è stata il presidio organizzato, presso il Mercadante, il 25 marzo che ha sancito l’avvio di un’interlocuzione con la direzione, seguito dal blitz del 26 marzo con l’occupazione effettuata dalle lavoratrici dello spettacolo e dalle studentesse dell’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Quell’azione di forza ha poi portato all’apertura del presidio permanente che vogliamo utilizzare per rilanciare quanto richiesto e per avere sempre più voce in capitolo. Pensiamo che questa non sia solo una battaglia del settore ma di tutte e tutti, perché le lotte dei lavoratori riguardano l’intera collettività.
Da più di un mese avete occupato l’accademia di Belle Arti di Napoli. Quali sono le vostre motivazioni?
Collettivo Studentesco Abana: Abbiamo occupato il 23 febbraio in concomitanza con la mobilitazione nazionale dei lavoratori dello spettacolo, indetta a un anno dalla chiusura dei teatri e dei luoghi della cultura. Gli studenti universitari sono abbandonati a loro stessi da un anno, abbiamo continuato a pagare le stesse tasse di sempre ma senza ricevere alcun servizio.
Protestiamo contro la didattica a distanza, un tipo di istruzione che riteniamo incompleta e dannosa sia da un punto di vista psicologico, sia perché intendiamo l’istruzione come mezzo di scambio e di condivisione. Da diversi anni ci troviamo di fronte a un problema di sovraffollamento che con la pandemia si è acuito, impossibilitando l’attuazione di un piano di rientro. Solo l’11 febbraio, dopo un anno dalla diffusione dell’epidemia, l’accademia ha pubblicato una nota abbastanza vaga su un possibile piano di rientro. A nostro avviso, questo dimostra un certo immobilismo e una certa indifferenza rispetto alla condizione degli studenti.
L’occupazione è il nostro atto di protesta anche rispetto al caso di un docente dell’accademia che lo scorso anno è stato denunciato da una studentessa per abusi e molestie sessuali. Pur avendo ormai dato le dimissioni, per 10 anni è stato permesso a questo docente di perpetrare tali soprusi in un contesto di profonda omertà da parte delle istituzioni: questa è stata la base di rabbia che ci ha spinto ad agire.
In che modo avete gestito l’occupazione, che tipo di interlocuzione avete avuto con le istituzioni accademiche?
CSA: L’occupazione è iniziata quando la Campania si trovava in zona gialla, poi siamo passati in zona arancione e infine in zona rossa. Inizialmente abbiamo organizzato eventi pubblici, fornendo igienizzanti agli studenti e sottoponendoci spesso ai tamponi per mantenere alti gli standard di sicurezza. Quando è scattata la zona rossa le cose sono cambiate, abbiamo chiuso l’Accademia ma abbiamo deciso di restare qui perché le nostre rivendicazioni non erano state ascoltate dalla direzione.
Con una sensibilità di facciata, ci è stato risposto che le nostre richieste potranno essere esaudite solo alla fine della pandemia. Crediamo che l’emergenza sanitaria non possa essere una scusa per deresponsabilizzarsi e chiudere i luoghi della cultura: bisogna lavorare di più affinchè, anche in questa situazione, sia garantito il diritto allo studio. Ciò che chiediamo è mirato ad alleggerire le pressioni e le problematiche che tendono a colpire alcune fragilità.
Come viene organizzato il coordinamento tra le varie autogestioni?
CSA: Ci sentiamo molto vicini alla lotta dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo e della cultura perché in futuro ci troveremo ad affrontare lo stesso precariato e le stesse problematiche, anche per questo li abbiamo sostenuti nell’occupazione del Teatro Mercadante. Il Teatro Niccolini dell’Accademia di Belle Arti di Napoli è stato il primo teatro occupato in Italia. Volevamo liberare un luogo di cultura, coinvolgendo in vari progetti gli artisti della città che hanno necessità di tornare a lavorare in un teatro.
Alcuni giorni fa abbiamo partecipato alla conferenza del Teatro Odéon di Parigi, interfacciandoci con i lavoratori impegnati nell’occupazione. Siamo sempre in contatto con i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo e con tutte le realtà autogestite di Napoli, ma stiamo cercando un confronto anche con altre accademie che si stanno mobilitando al di fuori della nostra città.
Alcuni studenti dell’Accademia di Belle Arti hanno espresso la propria contrarietà nei confronti dell’occupazione che blocca la burocrazia. Qual è la situazione?
CSA: Questo è assolutamente un problema. Fin dal primo giorno abbiamo pubblicato numerosi comunicati per chiarire che non abbiamo intenzione alcuna di bloccare la didattica e il lavoro dei dipendenti della segreteria a cui abbiamo lasciato libero accesso agli uffici amministrativi.
Il nostro è un tentativo di far ripartire alcune attività didattiche in presenza. La segreteria non si è più presentata in accademia e questo ha creato certamente un disagio. Ciò non può ricadere sugli studenti occupanti: non è una nostra responsabilità ma del direttore. I nostri colleghi, protestando contro di noi per l’inadempienza burocratica, sbagliano interlocutore politico.
Alla luce dello sgombero di questa mattina, come intendete proseguire?
CSA: Alle 5:30 di questa mattina siamo stati sgomberati da una quarantina di agenti della DIGOS. All’interno dell’accademia erano presenti 17 studenti e studentesse, siamo stati identificati e denunciati. Non abbiamo opposto resistenza. Il Collettivo si sta riorganizzando, per il momento abbiamo creato un presidio permanente davanti all’istituto e terremo una conferenza stampa alle ore 11:00.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
Dall’avvento della pandemia, due sono le giornate che hanno segnato il corso degli eventi per il comparto culturale: il 4 marzo e il 24 ottobre 2020. In queste date il sipario del teatro italiano è calato definitivamente. I blocchi dell’attività spettacolare hanno incentivato la proliferazione delle più disparate reazioni artistiche: nel mese di marzo, e in quelli a venire, la creazione artistica si è riversata sul web portando il mondo del teatro a confrontarsi con le possibilità offerte da altri linguaggi.
Con la riapertura dei luoghi della cultura, avvenuta in primavera, gli esperimenti mediali hanno lasciato spazio a fervidi dibattiti sulla preservazione dell’artigianalità del mestiere, minacciato come appare dalla componente multimediale, in assenza del teatro.
La messa in sicurezza delle sale teatrali non ha evitato la seconda chiusura intercorsa nel mese di ottobre. Un duro colpo per l’intero settore che ha saputo unirsi per levare alto un grido di aiuto e di affermazione. A questa seconda fase pandemica, che a differenza della prima consente lo svolgimento delle attività spettacolari purché in assenza di pubblico, il teatro ha reagito dedicandosi al processo creativo, avendo modo di dilatare il tempo della creazione rispetto alle prassi vigenti in epoca pre-Covid.
In questo contesto si inserisce Zona Rossa, il progetto ideato da Daniele Russo e Davide Sacco, che ha trasformato il Teatro Bellini di Napoli in una bottega teatrale, una casa, abitata da un gruppo di artiste e artisti.
Come in un reality show pensato per il web, le telecamere seguono i momenti quotidiani e il processo creativo portato avanti da Alfredo Angelici, Federica Carruba Toscano, PierGiuseppe di Tanno, Licia Lanera, Pier Lorenzo Pisano, Matilde Vigna, i 6 artisti che porranno fine alla loro permanenza al Bellini solo quando un nuovo DPCM sancirà la riapertura al pubblico dei teatri. Una fuoriuscita che avverrà attraverso la porta principale, il palcoscenico, con lo spettacolo creato durante questo lockdown teatrale.
Adattandosi alla sperimentazione portata avanti dal progetto, Simone Giustinelli e Stefano Patti, ideatori de L’ultimo nastro di Krapp ― il programma radiofonico che ha dato voce alla crisi del settore durante la quarantena ― documenteranno il viaggio di Zona Rossa con una docuserie in quattro episodi.
Intervistato, Daniele Russo, direttore artistico del Teatro Bellini di Napoli, racconta questo esperimento sociologico dalla grande eco mediatica, con un focus sul report realizzato da L’ultimo nastro di Krapp.
Nella presentazione del progetto Zona Rossa viene definita un’installazione, una performance, una provocazione, un manifesto. A quali delle tematiche emerse nel dibattito sul blocco dello spettacolo dal vivo e sul ruolo della cultura in Italia si rivolge questa provocazione e con quali obiettivi? Quali sono i “punti” di questo manifesto?
Daniele Russo: Zona Rossa nasce dalla voglia di non fermarsi, una voglia che avevamo testimoniato già con il progetto di Piano Be, che ha rappresentato per noi un modo di reinventare la programmazione e l’utilizzo dello spazio. Avevamo cercato una maniera più dinamica di sfruttare al meglio i soli 200 posti agibili contro i 900 di capienza effettiva.
Zona Rossa è, innanzitutto, un modo per rendere produttivo un tempo potenzialmente morto, in cui mettere in discussione le dinamiche giuste e sbagliate del nostro settore, visibili già in epoca pre-Covid. Alla base di Zona Rossa c’è quindi il pensiero che il teatro si faccia in teatro e a prescindere dalla smania di qualche artista di far valere la propria conoscenza, il proprio nome, riversando il il teatro in altri linguaggi ―perché questo sono lo streaming e la televisione ― e finendo per svenderlo. Noi non ci siamo voluti piegare.
Se poi tra due anni saremo ancora con le sale chiuse, probabilmente anche noi inizieremo a produrre cinema, perché al teatro per il cinema non credo più di tanto. La risposta immediata, nel marzo scorso, fu quella di rendere i nostri spettacoli fruibili in podcast, ritornando alla forma del radiodramma, ma non abbiamo mai messo un nostro spettacolo interamente online. Abbiamo creduto fortemente che diffondere il processo creativo di uno spettacolo teatrale, potesse essere sia un modo per far conoscere qualcosa di poco noto, sia un modo per utilizzare il nostro linguaggio ― che è quello del teatro ―, insieme a quello della tv, dello streaming.
Zona Rossa è una sorta di programma TV: ci rifacciamo alla regia televisiva, abbiamo utilizzato un altro linguaggio per i nostri contenuti, ma senza cambiare la frontalità, la polvere, l’odore del teatro. Abbiamo semplicemente aperto una finestra su una parte di teatro che il grande pubblico non conosceva e in questo ci siamo sentiti molto aderenti al nostro pensiero.
Per quanto riguarda l’aspetto produttivo, quando ho presentato il progetto ho sottolineato come, pur essendo alla guida della direzione artistica del Teatro Bellini, ed essendo quindi editori prima ancora che artisti, io e mio fratello non sempre riusciamo a dedicarci ai progetti spettacolari che abbiamo maggiormente a cuore. 30 giorni di prove sono quasi il tempo “ufficiale” da dedicare al processo creativo, ma è un’ufficialità che non può essere adottata in maniera generalizzata, poiché ciascuno spettacolo dovrebbe avere a disposizione il proprio tempo di gestazione.
Una maggiore attenzione nei confronti dell’atto creativo è necessaria, invece si è finiti per standardizzare la formula. Zona Rossa è un’operazione a lungo termine: gli artisti hanno intrapreso questo percorso senza un’idea precostituita del lavoro che avrebbero fatto, per cui il tempo andava necessariamente ampliato e non solo per l’azione in sé che è legata al DPCM, ma anche e soprattutto artisticamente.
Il fatto che il gruppo non si conoscesse, non solo ha allungato ulteriormente il tempo della creazione, ma ha proiettato Zona Rossa, e il teatro tutto, in una dinamica da esperimento sociologico che riporta al centro il concetto di tempo di creazione e la possibilità del fallimento. Il gruppo di Zona Rossa dovrà certamente uscire dalla porta principale, il sipario, con uno spettacolo ma se dovessero fallire nell’idea primordiale, cioè quella di un progetto di gruppo fortemente vissuto, andrebbe bene anche così. Questo è un altro concetto che, per quanto riguarda il teatro, non ci è concesso nell’Italia del numerificio ministeriale.
Non mi piace parlare di manifesto perché non ho la presunzione per redigere un manifesto, ma credo che le istanze che il progetto porta con sé possano essere condivise da qualunque artista. Legarsi al DPCM è per noi una richiesta di attenzione politica: abbiamo vissuto il primo passaggio del DPCM che ci ha rimandati alla chiusura del progetto entro il 5 marzo, ma tutto ciò è avvenuto senza che si parlasse del teatro. Questa è un’altra istanza presente in Zona Rossa: parlate di noi.
La mediaticità che il progetto ha acquisito è un bene per il settore. Essendoci difesi con i contenuti abbiamo potuto accettare anche l’accostamento che alcuni hanno fatto tra Zona Rossa e il Grande Fratello.
Il teatro deve avere il coraggio di essere mediatico, popolare rispetto al discorso, non rispetto a quello che portiamo in scena. Dovremmo essere parte del processo, anzi dovremmo essere il fulcro della ripartenza. Zona Rossa vuole contribuire a gridare la necessità del teatro.
Il fatto che gli artisti stiano vivendo un nuovo lockdown a distanza di pochi mesi, rinchiudendosi in teatro con 5 sconosciuti, sacrificando la vicinanza degli affetti in un momento in cui crollano certezze e abitudini, ha proprio lo scopo di riaffermare l’utilità di questo lavoro, non tanto a livello di tutele sindacali quanto di centralità.
Zona Rossa rappresenta una possibilità concreta di coinvolgere l’audience nel processo creativo e di documentarlo. In che misura la presenza virtuale del pubblico nella fase di costruzione dello spettacolo sta incidendo sulla creazione?
DR: Misurandolo in termini numerici, il progetto sta avendo una grande visibilità. Il mio grande dispiacere è che, pur avendo avuto questa operazione una grande eco mediatica, il teatro non ha la capacità di imporsi sui grandi numeri. Se il coraggio fosse maggiormente diffuso, un progetto come Zona Rossa potrebbe “teatralizzare” molte più persone di quanto non riesca a fare con la forza di un solo teatro.
Mi rendo conto che il teatro ha importanti potenzialità, per questo annunciai Zona Rossa come un atto di fede e di amore verso il teatro: credo nella forza del teatro e soprattutto di ciò che avviene dietro le quinte, del processo. Il processo attiva la mente, è interessante, incuriosisce, fa viaggiare. Vorrei che la televisione si rendesse conto di questo e che, le rare volte in cui programma il teatro, non si occupasse solo di divi prestati al teatro o di riprese di spettacoli, ma che facesse trasmissioni sul teatro.
Durante la prima settimana di lavoro, ho suggerito agli artisti di far entrare di più il teatro nello streaming e meno lo streaming nel teatro. Tornando al sotteso discorso sociologico, bisognerebbe lasciare i cellulari all’ingresso del teatro, disconnettersi dal mondo. Da questo punto di vista, il processo creativo è stato inquinato. Occorre tener presente, poi, che da un punto di vista artistico, paradossalmente non siamo abituati a un eccesso di libertà.
Zona Rossa è un esperimento e io sono convinto che gli artisti faranno un grande lavoro, perché tutti hanno una profonda sensibilità. Il processo resta la parte più importante e più rischiosa di ciò che stanno facendo, perché anche rispetto al settore svelare le proprie modalità creative è una grande responsabilità.
L’avvento della pandemia ha posto nuova luce sulle possibilità dello streaming e dei processi mediali applicati allo spettacolo dal vivo, non senza polemiche. Qual è la tua posizione in merito? L’operazione messa in campo con Zona Rossa è un esperimento che si nutre dell’attualità o vuole rappresentare anche una risposta possibile?
DR: Sì, vuole sicuramente rappresentare una proposta possibile. Tutti i teatri italiani avrebbero dovuto e potuto mettere in campo quest’operazione, facendole così acquisire una forza maggiore. Ciascun teatro avrebbe potuto definire la propria linea editoriale attraverso la scelta degli artisti coinvolti. Noi non abbiamo inventato nulla. Abbiamo avuto solo il coraggio di credere fortemente che il teatro inteso come mondo e non come semplice restituzione dello spettacolo potesse essere interessante. Invece è ancora dilagante l’idea che il teatro sia lo spettacolo.
L’incontro tra gli spettatori, l’ascolto della voce reale dell’attore o dell’attrice, l’errore del tecnico o dello scenografo, fanno parte del teatro, sono la vita del teatro e sono il motivo per cui il teatro funziona. Da spettatore, non ho bisogno di vedere un prodotto artigianale inserito in un contenitore industriale ― perché il cinema è un’industria. Nel momento in cui riprendi la parola, il gesto, l’emozione, con una telecamera stai utilizzando un linguaggio che è proprio del cinema, al di là dei modi in cui decidiamo di chiamarlo.
Mi sentirei inadatto, come attore, a trasporre un mio spettacolo per la televisione, perché difendo l’artigianato del mio mestiere. Alternativamente, se si decide di adattarsi allo streaming, occorre pensare a qualcosa che abbia senso a prescindere dal Covid, a un’operazione che abbia una componente tecnica che necessita e che impone lo streaming.
L’ultimo nastro di Krapp è un progetto nato alcuni anni fa, rimodellato e riproposto durante il lockdown per raccontare il blocco del settore culturale, in particolare quello dello spettacolo dal vivo. Come è cambiato il progetto dagli esordi fino al format L’ultimo nastro di Krapp #Homedition?
Simone Giustinelli: L’ultimo nastro di Krapp nasce da un grande senso di solitudine. Nel 2015 avevo deciso di passare un periodo da eremita in un paese della Ciociaria con qualche centinaio di anime. Ero avvolto in questa grande solitudine e lì ho pensato a L’ultimo nastro di Krapp, un programma radiofonico andato in onda per due stagioni.
Stefano Patti: Il tema della solitudine è importante. Abbiamo proprio pensato a un modo per mettere in dialogo le persone tra loro, creare delle connessioni. In un momento come quello del lockdown, non c’era nulla da “valutare” artisticamente, ciò che per noi era davvero importante era parlare degli artisti e lasciare che i critici per un momento ragionassero sulla funzione della critica, mentre noi fossimo indotti a ragionare sulla funzione dell’arte che veniva fortemente messa in discussione.
SG: Volevamo che in quella trasmissione entrasse il presente. La soluzione che abbiamo trovato, che è qualcosa che un pò ci portiamo dietro anche ora, è stata chiedere alle persone delle cose riguardo ai loro desideri, per sollecitare la capacità di programmare, di inventare il futuro. Quando i problemi diventano molto grandi sembra che il futuro non esista più, mentre il futuro esiste sempre, è l’unica certezza.
SP: Io sono principalmente un attore e il rischio di questo mestiere risiede spesso nel chiudersi nei propri problemi e nelle proprie esigenze, non avendo l’opportunità di confrontarsi liberamente con le diverse professionalità del settore. Con #Homedition abbiamo raccolto diversi sguardi, quello dei direttori di festival, degli organizzatori, dei registi, in questo è stato decisamente illuminante.
SG: Credo sia necessario riflettere sul valore della costruzione dei legami. All’interno di #Homedition abbiamo anche fatto in modo che delle persone si conoscessero. Alcuni ci hanno detto che grazie a Krapp, durante il lockdown, hanno potuto fare degli incontri imprevisti. Una piacevole scoperta è stata il fatto che abbiamo ospitato persone che si sono assunte la responsabilità del loro ruolo di artisti.
SP: Nel corso delle puntate, L’ultimo nastro di Krapp è diventato una sorta di foyer virtuale in cui, anche dopo la trasmissione, tutti gli ospiti potevano incontrarsi, condividendo degli spunti interessanti, dei principi di collaborazione. Il dialogo è diventato reale quando abbiamo trovato un equilibrio tra la nostra mission, fare informazione creativa, e il preservare una sorta di anarchia rispetto a ciò che sarebbe potuto accadere in puntata.
#Homedition ha condotto alla collaborazione con festival e teatri per il racconto di eventi e programmazioni: da #Mezzogiornodifuoco, il ciclo di interviste con cui avete approfondito la ripresa delle attività del Teatro Stabile di Catania, a #PianoBe del Teatro Bellini di Napoli interrotto, insieme alla programmazione, a causa della nuova chiusura dei teatri intercorsa nel mese di ottobre. Con Zona Rossa, il Teatro Bellini ha avviato un progetto che indaga il processo creativo, rendendolo fruibile per il pubblico. Come si struttura l’intervento di L’ultimo nastro di Krapp per la narrazione di Zona Rossa?
SG: Dopo la chiusura dei teatri di ottobre abbiamo dovuto ripensare le azioni di Krapp. Da un lato c’era la volontà di continuare un percorso che era iniziato e si stava sviluppando con due strutture importanti come il Teatro Bellini di Napoli e lo Stabile di Catania; dall’altra non potevamo non riconoscere quanto quella seconda chiusura avesse inciso sugli umori e sulle speranze di un intero settore, lasciando tutti noi senza parole.
Ci è sembrato inopportuno, all’inizio, continuare le nostre attività ― pur se pensate per un ambiente digitale, pur se costruite e sviluppate per una produzione e una fruizione a distanza. Abbiamo parlato con Daniele Russo e con Laura Sicignano e con loro abbiamo deciso di aspettare, e nell’attesa maturare un pensiero più consapevole, una risposta piccola ma decisa all’ennesima mortificazione. È stato il periodo in cui, d’altro canto, abbiamo sostenuto un progetto come Litura, in cui artiste e artisti hanno prestato la loro schiena per guardare con il pubblico la desolazione dei palcoscenici vuoti.
Zona Rossa è poi arrivato improvviso e incendiario come il risveglio di un vulcano. Abbiamo pensato potesse essere l’occasione giusta per ristabilire un contatto con la programmazione del Bellini, con il loro e il nostro pubblico, e un modo per metterci ancora una volta in discussione in termini di linguaggi e modalità di lavoro. La forma che abbiamo scelto è quella del documentario.
SP: Tenda e zaino in spalla, siamo andati ad accamparci sul palco grande del Teatro Bellini e abbiamo vissuto per tre giorni con gli artisti residenti, raccogliendo voci, suoni, immagini, momenti di ordinaria follia, di uno dei progetti più unici e accattivanti nati in questo momento in Italia. Nascerà un documentario in quattro puntate, per raccontare, con gli occhi de L’ultimo nastro di Krapp, il progetto di Zona Rossa con i suoi protagonisti.
Per noi si tratta di un formato nuovo, dell’ultima piccola scommessa da teatri in lockdown che abbiamo fatto con noi stessi e che vuole essere il nostro modo per dire che il comparto dello spettacolo è vivo, continua a produrre idee, provocare, edificare. Ci siamo, insomma, nonostante tutto e faremo il possibile per continuare a esserci.
La forza de L’ultimo nastro di Krapp è la capacità di mettere in relazione diverse modalità di fruizione (la radio, il video) e dunque diversi linguaggi mediali con lo spettacolo dal vivo. Qual è, nella vostra esperienza, il rapporto che intercorre tra spettacolo dal vivo, comunicazione e New Media?
SG: Il rapporto è ancora troppo debole. Con Stefano stiamo cercando di capire come la nostra comunicazione, cioè il racconto dell’Ultimo nastro di Krapp possa diventare sempre più popolare: in Italia ci sono dei media che il teatro non utilizza affatto come il cinema, la sala cinematografica intesa come medium, la televisione, la radio, privandosi di fatto di settori di pubblico. In qualsiasi discorso programmatico di un direttore teatrale sentiamo dire che la stagione vuole essere popolare, inclusiva, orizzontale.
Questa affermazione, che è molto corretta, ha bisogno anche di un ragionamento profondo su come questo prodotto culturale e popolare, elaborato da una direzione artistica, venga comunicato. Non penso che le storie che avvengono in teatro siano meno divertenti o meno accattivanti di quelle che avvengono in televisione anzi, l’aspetto umano e “analogico” dello spettacolo dal vivo fa sì che il rapporto tra spettatori e scena sia molto più intimo di quello che si crea mediante un prodotto televisivo. Credo che debba essere rimossa la patina di diffidenza nei confronti della comunicazione su ampia scala: questa è la vera sfida per lo spettacolo dal vivo in questo momento.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
Fin dal primo blocco delle attività culturali imposto durante la scorsa primavera, il settore dello spettacolo dal vivo ha avviato una riflessione sull’utilizzo di modalità alternative, per consentire il prosieguo delle attività spettacolari online. La tematica ha assunto sempre maggior rilievo: dal timore per il possibile svilimento dell’attività artistica dal vivo – peculiarità fondante del sistema teatrale –, si è giunti a una incentivazione delle proposte di teatro in streaming, con particolare attenzione alle potenzialità creative e di generazione di economie che il mezzo digitale è in grado di fornire, attutendo i danni causati dalla pandemia al comparto culturale.
Nel confrontarsi con nuove procedure utili alla veicolazione di prodotti artistici online, i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo dal vivo si interrogano su questioni contrattuali, su oneri e compensi, e sulla tutela dei diritti d’autore e di immagine. A tali interrogativi tenta di rispondere VADEMECUM STREAMING, il documento redatto e pubblicato da Attrici Attori Uniti che, a partire dallo studio del sistema streaming italiano e mondiale, tenta di facilitare l’approccio alla realtà virtuale, in un panorama che ha mutato diritti e modalità di svolgimento del lavoro degli artisti.
Redattori: Alessandro Anglani, Marisa Della Pasqua, Mariagrazia Pompei con il contributo di Emanuela Bizi, Asia Coronella, Simone Faloppa, Emanuele Fava, Davide Seminara, Nicoletta Serao e Carlotta Viscovo.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
Lo spettacolo dal vivo, la cui spina dorsale è l’assembramento – di condivisione e di presenza si sarebbe parlato fino a qualche mese fa – è stato messo in pausa dalla tempesta pandemica che si è abbattuta su ogni parte del mondo. Privati dei propri luoghi di lavoro, deputati o meno che siano, i lavoratori e le lavoratrici delle arti sceniche stanno vivendo una crisi senza precedenti che ha ricadute economiche sull’intero settore culturale, smembrato, snaturato, messo in quarantena. Accanto a organizzazioni preesistenti, come associazioni sindacali, coordinamenti e federazioni, che da tempo si adoperano per garantire la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici, sono fioriti raggruppamenti spontanei, associazioni di categoria, petizioni e tavoli di lavoro che instancabilmente formulano proposte e richiedono l’attuazione di diritti spettanti a una categoria professionale storicamente poco tutelata.
Non c’è smartworking che tenga: senza spettacolo non c’è lavoro, senza lavoro non c’è sostentamento. La grande quantità di forme aggregative sorte in questo tempo sospeso, è segno di un’urgenza, di una necessità condivisa: il sostegno statale e una nuova normativa che tuteli i lavoratori. L’obiettivo perseguito è comune a tutti, ma la frammentarietà emersa in questi mesi potrebbe rappresentare un ennesimo ostacolo.
Allo scopo di creare una bussola che sia d’orientamento per i lavoratori dello spettacolo, proponiamo una mappatura parziale in continuo aggiornamento. La definizione di una rete che accorpi le istanze destinando maggiori forze alla causa condivisa, potrebbe amplificare il diapason di una voce che si fa coro e che, rinvigorendosi, contribuirebbe a tradurre in azioni determinanti il mayday lanciato dal comparto artistico.
Alla mail theatron2.0@gmail.compotranno essere inviate segnalazioni e suggerimenti per aggiornare questa parziale mappatura che raggruppa, in ordine alfabetico, associazioni sindacali e di categoria, Federazioni, Coordinamenti, gruppi e pagine Facebook, chat Telegram, tavoli virtuali, impegnati in azioni di tutela per i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo dal vivo.
Associazioni Sindacali e di categoria, Federazioni, Progetti
AGI Spettacolo – Organizzazione sindacale di natura programmatica, unitaria, laica, democratica, plurietnica, di donne e uomini, che promuove la libera associazione e l’autotutela solidale e collettiva delle lavoratrici e dei lavoratori. L’adesione all’AGI Spettacolo è volontaria.
AGIS – Associazione Generale Italiana dello Spettacolo – Riunisce associazioni di categoria, federazioni e fondazioni ed è presente sul territorio nazionale con Unioni regionali e interregionali. L’AGIS rappresenta gli imprenditori nei settori dell’esercizio cinematografico e delle attività, pubbliche e private, della prosa, della musica, della danza, dello spettacolo popolare, come il circo, lo spettacolo viaggiante e la musica popolare contemporanea. L’AGIS costituisce per i vari settori dello spettacolo lo strumento di dialogo con tutte le istituzioni nazionali e locali, e di coordinamento e promozione delle esigenze delle singole categorie. In particolare, in sede nazionale e territoriale, l’AGIS assolve la duplice funzione di ente rappresentativo degli interessi del mondo dello spettacolo e di organizzazione sindacale che offre ai propri associati servizi di carattere tecnico, amministrativo, sindacale, fiscale, giuridico, e legati alla comunicazione.
AIDAF– Italian Family Business è stata fondata nel 1997 e raggruppa oggi più di 200 aziende familiari, rappresentando il 15% circa del PIL del nostro Paese, raccogliendo più di 600 mila collaboratori.
AIDAP – Associazione Italiana Danza Attività di Produzione, è l’Associazione Nazionale che raggruppa, in seno a Federvivo – Agis, le realtà professionali di produzione della danza ed è la loro voce ufficiale in tutte le sedi istituzionali: dal MIBACT alle Commissioni Cultura di Camera e Senato, una funzione che AIDAP interpreta cercando di rappresentare gli interessi di tutta la categoria, in funzione di un sistema dello spettacolo trasparente, equo, sostenibile ed efficiente.
ARTEC – Associazione Regionale Teatrale della Campania– Associazione di categoria aderente all’Unione Regionale Agis Campania, rappresentativa degli organismi professionali operanti nel settore del teatro. È una rete dinamica, costituita da vari soggetti dell’ambito teatrale e attiva sul territorio con la finalità di favorire economie di scala, progettualità e sviluppo al servizio degli associati.
A.S.N.A.I.– Associazione Sindacato Nazionale Artisti Italiani – Associazione Sindacale che raggruppa associati contraddistinti dal prestare attività lavorativa professionale e non e/o titolari di apposite certificazioni qualificative nell’ambito del settore artistico considerato nella più ampia accezione del termine. Principale scopo è quello connesso all’aspetto sindacale, giuridico, economico, morale e professionale di tutti gli artisti. Tale scopo si concreta nel volgere attività precipuamente volta a migliorare le condizioni di lavoro, ad adeguare il sistema previdenziale alla realtà della categoria; a garantire un sistema di sicurezza sociale relativamente alla malattia, infortunio, invalidità e disoccupazione; alla protezione della salute e della integrità psico-fisica, nonché alla prevenzione delle malattie professionali e degli infortuni. Il tutto garantendo, anche patrocinio ed assistenza, giuridica e fiscale per tutti gli iscritti.
AssoDanza Italia – Associazione che riunisce le scuole di danza e gli insegnanti che si riconoscono nella Formazione Coreutica di Base con la finalità di rappresentare a livello nazionale gli interessi del settore, chiedendo maggiori tutele e ascolto per le relative istanze.
Assolirica – Associazione professionale nata con l’obiettivo di riunire tutti i professionisti della Lirica che svolgono la professione all’interno del panorama teatrale italiano, europeo e mondiale.
Asso Musica – Associazione degli organizzatori e dei produttori di spettacoli di musica dal vivo. Conta oltre centoventi imprese associate su tutto il territorio nazionale che coprono circa l’80% dei concerti dal vivo in Italia. Dalla nascita di Assomusica i nostri associati hanno promosso migliaia di concerti e manifestazioni a pagamento dall’estremo nord alle isole, con la presenza di milioni di spettatori. Esercitiamo una costante attività di sensibilizzazione per l’approvazione di una Legge che sancisca il valore culturale, sociale e civile della musica in tutte le sue forme ed espressioni, spronando il Parlamento ed il Governo Italiano all’attenzione verso il nostro settore. Inoltre riteniamo essenziale che vengano ricercate e finanziate soluzioni e progetti per costruire nuovi spazi polivalenti per la musica contemporanea.
C.Re.S.Co – Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea– Arcipelago che unisce lavoratori e imprese di tutto il territorio nazionale: per questo la nostra rappresentanza a livello istituzionale costituisce un unicum potendo dare voce a realtà eterogenee e assai differenti tra loro. Assieme ai promotori continuiamo a costruire ogni giorno un percorso plurale, trasparente e coraggioso in grado di dare vita a una nuova sensibilità poetica e politica, funzionale alla difesa della nostra dignità lavorativa, alla valorizzazione del nostro ruolo sociale che contribuisce alla ricchezza materiale e immateriale di questo Paese. Ai promotori sono riservate comunicazioni relative al piano normativo così come ai bandi e alle opportunità in corso. I nostri tavoli di lavoro sono lo strumento democratico che abbiamo scelto per definire le nostre azioni e attraverso l’impegno comune ognuno di noi è portatore di visioni innovative.
Docservizi– Insieme di professionisti che gestiscono la propria attività in cooperativa per fare rete. Realizzano piattaforme, strumenti e servizi innovativi per ottenere più vantaggi e tutele per il settore.
Federvivo – Federazione dello Spettacolo Dal Vivo – Le associazioni aderenti all’AGIS rappresentano l’intero comparto dello spettacolo italiano. A rappresentare lo spettacolo dal vivo è Federvivo, presieduta da Filippo Fonsatti, di cui fanno parte, tra le altre, le fondazioni lirico sinfoniche, i teatri nazionali e quelli di rilevante interesse culturale a iniziativa pubblica e privata, le istituzioni concertistiche orchestrali, gli esercizi teatrali, i circuiti multidisciplinari, i festival, le società concertistiche, le compagnie teatrali private, le compagnie e i teatri di innovazione, le imprese di produzione, distribuzione, promozione e formazione della danza.
Fed.It.Art. – Federazione Italiana Artisti – Federazione composta da compagnie teatrali, musicali e di danza ed ha il fine di tutelare gli interessi collettivi della categoria dello spettacolo dal vivo e di rappresentarli nei confronti delle Istituzioni.
FNAS – Federazione Nazionale delle Arti in Strada–Associazione a carattere nazionale, iscritta all’AGIS, che riunisce le realtà che hanno a cuore l’utilizzo artistico dello spazio pubblico, con particolare riferimento all’arte e allo spettacolo di strada, affinché ne venga riconosciuto il valore sociale, storico, culturale, artistico, educativo, economico e turistico presso le istituzioni dello Stato sia a livello locale sia nazionale.
Note legali – Associazione di Promozione Sociale fondata a Bologna nel 2006 per tutelare e migliorare la professione del musicista. Con oltre 1.000 associati è oggi la più importante “union” italiana di musicisti e la più prolifica struttura di formazione e consulenza legale in ambito musicale.Note Legali può contare tra i propri associati (lavoratori autonomi) i più importanti musicisti della musica leggera italiana e può inoltre vantare la maggiore rappresentanza di soci in seno al NUOVOIMAIE.
P.l.a.tea. – La Fondazione per l’Arte Teatrale P.l.a.tea. si è costituita nel 2008 su iniziativa dei 17 teatri stabili pubblici italiani, dei quali è organismo di rappresentanza istituzionale presso gli organi di governo, le pubbliche amministrazioni, gli enti locali nonché presso le associazioni sindacali di datori di lavoro e i prestatori d’opera. Ha sede a Roma, presso l’Agis, con la quale è convenzionata fin dalla sua nascita.Ha come scopo la formazione, la promozione e la diffusione della cultura e dell’arte, con particolare riferimento alla cultura teatrale anche tramite lo sviluppo di forme di interdisciplinarietà di linguaggio e produttive.
SAI – Sezione Attori Italiani – Confluita in SLC_CGIL, la Sezione Attori Italiani entra in sinergia con musicisti, danzatori, tecnici, traduttori e figure autorali, uniti in un’unica direzione. Gli attori iscritti alla SLC_CGIL e alla sezione SAI hanno partecipato alla trattativa di rinnovo del CCNL degli scritturati e a quello dei teatri come delegazione trattante, e si auspica di formarne una anche per la trattativa sull’audiovisivo.
S.I.A.M. – Sindacato Italiano Artisti della Musica–Il SIAM cerca di migliorare la situazione lavorativa dei musicisti facendo proposte come indennità di disoccupazione con requisiti ridotti e altre iniziative, perché pensiamo che esista una relazione direttamente proporzionale fra condizione professionale dei musicisti e qualità dell’offerta culturale ma anche fra qualità dell’offerta culturale e qualità della vita.
SLC-Cgil Nazionale– SLC (Sindacato Lavoratori della Comunicazione) è il sindacatodi categoria della CGIL nato nel 1996 dall’accorpamento tra la FILPT (Federazione Italiana Lavoratori Poste e Telecomunicazioni) e la FILIS (Federazione Italiana Lavoratori dell’Informazione e dello Spettacolo). Oggi sono circa 40 i CCNL di riferimento per i vari settori che fanno capo al SLC ed oltre 100.000 gli iscritti fra i lavoratori delle rispettive aziende.
Smart Italia – SMart è una cooperativa di tutela e gestione di progetti creativi.
S.O.S. no profit cultura–Questo appello, il sito e tutta la campagna di comunicazione sono ideati e promossi da un gruppo di associazioni no profit che non rivendicano alcuna priorità particolare ma cercano il coinvolgimento di tutte le associazioni, della cittadinanza, di enti, organi e servizi dell’intero settore cultura in senso trasversale e con spirito di democrazia partecipativa. Siamo persone fisiche e figure professionali che stanno dedicando energie, pensieri e azioni con l’obiettivo di tutelare un settore socialmente strategico per la crescita culturale nazionale, nei piccoli comuni come nelle città e nelle metropoli, attraverso un lavoro spesso lontano dai riflettori della cronaca ma che è tangibile per i territori, in forma capillare e accessibile.
U.N.I.T.A – è un’associazione di categoria fondata da più di 100 interpreti del teatro e dell’audiovisivo creata per sostenere e promuovere la centralità del mestiere dell’attore all’interno del panorama artistico e culturale e nella formazione sociale di ogni individuo. Un’associazione di lavoratori e professionisti dello spettacolo che, nel rispetto della diversità delle anime, auspica di far convergere il maggior numero di energie umane all’interno di un unico progetto. In questa prospettiva U.N.I.T.A. vuol essere una casa aperta e inclusiva, animata dalla passione e dal rispetto per il nostro lavoro. La nascita di questa associazione è frutto di un impegno cresciuto negli anni e maturato in questo periodo di emergenza che ha reso gli orizzonti lavorativi del nostro settore, come quelli di altre realtà sociali, ancora più critici e complessi.
Pagine e gruppi Facebook
Amleta – Amleta è un collettivo di attrici nato per evidenziare e contrastare il divario e le discriminazioni di genere nel mondo dello spettacolo. Ex Tavolo di Genere A2U.
Attrici Attori Uniti–Siamo una comunità di lavoratrici e lavoratori professionisti dello spettacolo, in tutte le sue declinazioni, che si riconoscono nella cultura etica del lavoro, nei suoi oneri e onori, nei suoi doveri e nei suoi diritti.
Autorganizzati dello spettacolo roma – Siamo le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo di Roma. Insieme a centinaia di migliaia di precari ci troviamo senza stipendio. Chiediamo il Reddito di quarantena, incondizionato, universale per tutte e tutti.
CCNL lavorator_spettacolo_danza –Questo gruppo nasce per fornire informazioni e soluzioni ai lavoratori dello spettacolo ma principalmente per ottimizzare la conoscenza dei propri diritti e del proprio contratto collettivo nazionale. Attraverso il contatto diretto con gli organi sindacali è emersa la necessità che sia l’artista stesso a monitorare il rispetto del proprio contratto collettivo, e laddove ci siano anomalie scegliere di non accettare la proposta lavorativa o trattare per soluzioni economiche alternative, eventualmente con l’ausilio del proprio sindacalista.
Crepino gli artisti – Gruppo che vuole promuovere la dignità lavorativa di artisti, tecnici e lavoratori dello spettacolo nella sua interezza. Un gruppo indipendente creato da lavoratori dello spettacolo senza ingerenze partitiche o istituzionali, che possa accrescersi nel tempo e diventare strumento di tutela per gli operatori del settore.
Danza Error System – Siamo danzatori e questo è il nostro grido affinché i nostri interrogativi e i nostri appelli possano essere ascoltati.
Emergenza spettacolo LIGURIA – Emergenza Spettacolo Liguria è , un coordinamento regionale di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo autorganizzato, apolitico e apartitico.Il coordinamento raccoglie tutte le professionalità del mondo dello spettacolo
FACCIAMOLACONTA – Un gruppo di attori e attrici professionisti che si è liberamente costituito per presentare alle Istituzioni richieste di tutela che riconoscano all’attore la centralità che gli spetta nello spettacolo dal vivo.
Fondazione Centro Studi Doc– La Fondazione Centro Studi Doc svolge attività di ricerca, documentazione, formazione e condivisione per sostenere la dignità del lavoro, con particolare attenzione all’arte, alla creatività, alla cultura, alla conoscenza e alla tecnologia, e comunque in tutti i settori economici e sociali antichi o nuovi in cui scarse sono le tutele e dove il lavoro non viene riconosciuto.
La cultura siamo noi?–Le avversità di questa pandemia possono far sorgere un sistema immunitario culturale del tutto nuovo, per questa ragione abbiamo convertito questo gruppo, nato nell’esperienza di Eruzioni Festival, in uno spazio per aggregare articoli, approfondimenti e spunti di riflessione al fine di stimolare un confronto costante in tempo di crisi. Se da un lato abbiamo gli scienziati che lavorano per arginare il contagio e guarire i malati, dall’altro abbiamo l’urgenza di stimolare l’attività del pensiero, affinchè si possano individuare rapidamente vaccini sociali e culturali per salvare quel che resta dell’umanesimo. Usiamo questa community come se fosse una bottega cognitiva, mettiamo in circolazione pensieri, anche grezzi, e proviamo a distillare traiettorie, visioni e immaginari.
L’attore visibile – Questo documento vuole creare un largo fronte unitario di colleghe e colleghi che porti alla stipula di un contratto nazionale di categoria per l’audiovisivo e ad una rinegoziazione di quello per lo spettacolo dal vivo, salvaguardando le tutele nazionali minime degli artisti interpreti. È nostra intenzione rinnovare il SLC rifondando il SAI (Sindacato Attori Italiani), con una chiara e forte azione di condizionamento della sua agenda sindacale.
Lavorator_ della danza – Il gruppo Lavorator_ della danza è un movimento informale, apartitico e indipendente che nasce con la volontà di aprire una riflessione sistemica di settore a fronte di un desiderio condiviso di cambiamento.
Lavoratori pugliesi dello spettacolo–Siamo tra quei cittadini a cui spetterà il compito prezioso e difficile di contribuire a ri-creare la comunità, non solo artistica ma prima di tutto civile, quando questa emergenza sarà passata e arriverà il momento di ridisegnare il mondo così come non lo abbiamo mai immaginato. E non sappiamo se quando quel momento verrà noi saremo ancora in piedi, come imprese e come lavoratori, per poter fare la nostra parte.
Lirica Muta – Siamo i Professionisti che operano nel settore dell’Opera Lirica: Coreografi, Costumisti, Light designer, Registi, Scenografi, Assistenti Costumisti, Assistenti alla Regia, Assistenti Scenografi, Assistenti Light Designer.
MOVIMENTO LAVORATORI DELLO SPETTACOLO – Tutti i lavoratori dello spettacolo possono suggerire idee per migliorare la vita, dobbiamo cominciare a camminare sulle nostre gambe: bisogna confrontarsi, condividere un percorso.
Mujeres nel Cinema – gruppo di cui fanno attualmente parte quasi 9000 professioniste coinvolte nel settore dell’audiovisivo. Lo scopo è quello di mettere in relazione le donne che lavorano nel cinema per far nascere nuove sinergie e nuove opere, nuovi linguaggi e per dare visibilità alle registe e alle autrici, che realizzano i loro film in Italia e all’estero. Tra gli obiettivi del gruppo, vi è quello di dare voce e visibilità alle istanze, le necessità, e le problematiche delle lavoratrici dello spettacolo e in particolare delle lavoratrici del settore audio-visivo, particolarmente care in questo periodo di emergenza a tutto il settore. I direttivi di Mujeres nel Cinema e Mujeres nel Teatro si interfacciano costantemente, promuovendo iniziative congiunte.
Mujeres nel Teatro – Gruppo di genere di attiviste di categoria. Lavora sulla parità di genere in seno alla categoria del mondo dello spettacolo dal vivo, sull’emergenza scaturita dalla crisi da Covid-19, sul riconoscimento giuridico dell’intera categoria spettacolo, non solo Teatro e anche non di genere, comprendendo tutte le figure professionali coinvolte nel settore. Organizza Tavoli di Concertazione e di Sintesi con altri gruppi , associazioni, raggruppamenti spontanei, sigle sindacali.
Presidi culturali permanenti– Le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo si ritrovano ogni giorno per potersi CONOSCERE e FAR SENTIRE. Porta un cartello, uno striscione o un semplice foglio A4 dove scrivere le tue rivendicazioni. Per una visione nuova da costruire insieme.
Professionist* dello spettacolo–Pagina dell’assemblea nazionale permanente delle Lavoratrici e dei Lavoratori dello Spettacolo italiano. Per la tutela dei diritti dei Professionist* della Cultura, dell’Arte e dell’Intrattenimento. Strumento per dar voce a tutte e a tutti.
Professionist* dello spettacolo – Emergenza continua – Sarebbe utile approfittare di questa situazione di smarrimento e incertezza per intraprendere finalmente una strada comune verso il riconoscimento dei diritti e del valore sociale ed economico del settore attraverso un sindacato che finalmente ci dà ascolto. Sfruttiamo questo gruppo per coordinarci e raccogliere idee utili.
Registro di categoria attori Campani – Lo scopo di questa pagina è di sensibilizzare la categoria degli attori, rispetto alle tematiche del lavoro. Tale piattaforma ha lo scopo di raccogliere idee, pareri e contributi rispetto al raggiungimento di uno status lavorativo ben definito della figura dell’attore in Campania.
Rinascita Digitale – Cambiare si può – Gli avvenimenti dell’ultimo periodo hanno inevitabilmente portato tutti noi a cambiare radicalmente la nostra vita ed il modo in cui ognuno di noi pensa al lavoro.Ripensare il futuro aziendale si può. Dal 16 Marzo, Rinascita Digitale trasmetterà un mese di formazione gratuita su: smart working e digital transformation, comunicazione digitale e marketing. In questo mese di live troverete tutto ciò che può servire all’impresa ed i suoi dipendenti per poter riprogettare il futuro del lavoro in ottica principalmente digital. Con noi professionisti del settore, esperti, ricercatori e Case History.
Sarte di scena – Sarte di Scena nasce durante il periodo di lockdown come gruppo autodeterminato e autorganizzato dilavoratrici e lavoratori dello spettacolo.L’intento è quello di porre l’attenzione sulla crisi e i problemi interni che il nostro settore sta affrontando e di cercare di trovare soluzioni alle contraddizioni e ingiustizie che quotidianamente incontriamo sui luoghi di lavoro.Altro obiettivo fondamentale è quello di sensibilizzare colleghi e pubblico sull’importanza del nostro lavoro,troppo spesso catalogato come semplice hobby.Siamo delle professioniste e dei professionisti!
Vivere da Artisti – autonomi spettacolo – Il gruppo, dedicato ai lavoratori autonomi dello spettacolo, vuole essere luogo per uno scambio di informazioni ed esperienze in campo pratico, burocratico, legale e qualsiasi altro aspetto gestionale che ogni giorno siamo costretti ad affrontare da soli nella giungla di oscure norme e cavilli.
ZO-NA ROSSA – Proseguiamo nell’intento di connettere i vari focolai di pensiero che si stanno sviluppando su piattaforme diverse, per tentare di elaborare una “road map” da proporre alle istituzioni, non solo in termini di diritti e tutele, ma anche in termini progettuali. La funzione sociale dell’arte, sarà quanto mai centrale per ricomporre il tessuto sociale e psicologico di piccole e grandi comunità. La funzione pubblica del teatro e dell’arte attiene in questo momento più al Ministero della Salute che al Mibact, come strumento terapeutico. Da qui un progetto di creazione di residenze, focolai, centri territoriali, zone rosse, che in sicurezza consentano la ripresa delle attività di creazione, relazione, pedagogia, socialità, inclusione.
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Attori e attrici uniti – Le persone di questa chat sono attori e attrici (no maestranze o datori di lavoro). Qui solo ed esclusivamente notizie riguardanti il lavoro e le problematiche ad esso interconnesse.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
Marc Chagall, Introduzione al teatro ebraico, 1920
È trascorso poco più di un mese dalla chiusura dei teatri sull’intero territorio nazionale in ottemperanza al DPCM del 4 marzo. A un primo momento di spaesamento e di preoccupazione per il futuro del settore, è seguita la certezza che la crisi indotta dalla diffusione dell’epidemia è una bestia di inaudita ferocia con cui tutti i lavoratori e le lavoratrici devono fare i conti. Se da un lato il Decreto “Cura Italia”, riconoscendo la tipicità dei lavoratori dello Spettacolo dal Vivo, ha amaramente confortato circa l’inadeguata considerazione di cui godono i professionisti del settore nel mondo del lavoro, dall’altro ha gettato altra benzina sul fuoco dell’incertezza divampato con l’emergenza sanitaria.
Il settore dello spettacolo dal vivo, debole e ferito, sta subendo un’erosione che ne scopre la carne viva fino a mostrare i nervi. E i nervi sono coloro che in questa crisi hanno perso tutto: gli invisibili. I nervi sono tutti quelli che a causa delle consuetudini vigenti nei rapporti lavorativi che, scavalcando le norme, si sono sedimentate in quella che viene letta come la normalità, non trovano menzione nelle categorie che hanno accesso a un sostegno statale. I nervi sono i lavoratori che contribuiscono allo scrosciare degli applausi al termine della performance ma che, di fatto, legalmente non esistono. La piaga del lavoro nero è venuta a galla, i bulloni arrugginiti di questo sistema sono saltati. Forse è davvero giunto il momento di dare alla cultura ciò che le spetta: la dignità della sua funzione sociale. Perché non si può affidare alla sola imperitura resistenza dell’arte il destino di migliaia di uomini e di donne.
Con una lettera, lo scorso 7 aprile il Sindacato SLC-CGIL ha informato i giornalisti del settore circa il trattamento che artisti e maestranze stanno ricevendo. Si tratta di un’accorata richiesta di aiuto e di limpidità per garantire allo Spettacolo dal Vivo la tutela delle sue lavoratrici e dei suoi lavoratori. Emanuela Bizi, Segretaria Nazionale di SLC-CGIL, fa il punto della situazione.
A un mese dalla chiusura dei teatri sopraggiunta nel mese di marzo, e tenuto conto delle misure varate nel Decreto “Cura Italia”, come si configura ad oggi la situazione dei lavoratori dello spettacolo dal vivo?
La situazione dei lavoratori dello spettacolo dal vivo è drammatica. Anche se riteniamo importante che il Decreto “Cura Italia” abbia riconosciuto, per la prima volta, la tipicità dei lavoratori dello spettacolo, le misure messe in campo non sono sufficienti. Spero che si rendano conto del fatto che, al di là dei correttivi che abbiamo richiesto e che non so se verranno messi in atto, è evidente che alcuni dei criteri proposti rappresentano degli ostacoli insormontabili che, in questo momento, stanno lasciando fuori dalle tutele troppi lavoratori.
Volendo ripercorrere l’intervento di SLC-CGIL a tutela della categoria, quali richieste sono state avanzate da parte del Sindacato al MIBACT e al Ministero del Lavoro? Che tipo di risposta avete ricevuto?
Il problema è generale, riguarda sia le imprese sia i lavoratori. Per questo abbiamo tentato di trovare fin da subito un asse comune. La prima lettera che abbiamo inviato al Ministero ha raggruppato l’intero settore dello Spettacolo, comprendendo, oltre al Sindacato, Agis, ANICA, Confartigianato, le cooperative, per effettuare una richiesta congiunta. Ho sperato che quella lettera potesse rappresentare l’inizio di un percorso comune, in realtà tutto si è bruscamente interrotto. A quel punto ho provato ad avere alcuni colloqui telefonici per segnalare l’errore di interpretazione dell’Articolo 19 ma, essendo granitica la posizione, abbiamo deciso di inviare una lettera ad Agis e al Ministero.
Non abbiamo ricevuto risposta. L’unico modo per riportare alla normalità questo Paese è dare vita a un’imponente operazione trasversale di sostegno della cultura. C’è bisogno di permettere un accesso egualitario al mondo della cultura: in questo momento ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B, come dimostrano i dati ISTAT. Il lavoro è la trave su cui poggia l’intero settore perciò è giusto aprire un dialogo con le imprese, delle quali comprendo le esigenze ma non le modalità adottate rispetto al trattamento dei lavoratori.
Quali conseguenze ha comportato l’infrazione, da voi segnalata, della Legge sui Licenziamenti da parte di alcune imprese?
Le imprese stanno licenziando senza tenere conto delle norme sui licenziamenti, ecco perché non possiamo trovare un’intesa con le imprese pur avendola sempre cercata. Adesso basta partire dalle imprese: bisogna dare garanzie al lavoro. Di queste garanzie anche le imprese beneficeranno. La complessità sta nelle abitudini sbagliate del settore, ad esempio: se le prove vengono conteggiate in maniera forfettaria, si ledono le 30 giornate lavorative utili all’accesso ai contributi. Il 90% dei contratti di lavoro non tiene conto delle regole imposte dal CCNL: viene applicata una modalità che prevede una sorta di contratto a termine, attivato solo nelle giornate di scrittura. È una forma di contratto che esiste da sempre ma che adesso non è più utilizzabile.
Quello che mi meraviglia è l’assenza del Ministero: ho segnalato la problematica dei licenziamenti in violazione delle norme ma non c’è stata alcuna risposta, il Ministero non è intervenuto sulle imprese. Abbiamo chiesto di abbassare la soglia dei 30 giorni non perché il lavoro non venga svolto per almeno 30 giorni in un intero anno ma perché, spesso, gli artisti svolgono anche mansioni d’insegnamento che però vengono conteggiate in gestione separata. E poi, vogliamo dirci finalmente che in questo settore, in particolare nell’ambito musicale, c’è un’enorme quantità di lavoro nero?
Uno dei punti su cui, con la vostra lettera, avete sollevato l’attenzione riguarda la cattiva interpretazione dell’Art.19 del CCNL. Ciò ha previsto l’applicazione del Comma relativo alla Causa di Forza Maggiore invece del Comma inerente alla Causa di Forza Maggiore in presenza del Provvedimento di Pubblica Autorità, che ha comportato la possibilità di risoluzione del contratto nel giorno successivo al versamento di 12 giornate di paga al minimo sindacale. Rispetto al Fondo di Integrazione Salariale di cui si stanno avvalendo le imprese, cosa sta accadendo?
La cosa più grave che è successa, e che sancisce l’impossibilità di creare un rapporto con le imprese, è che da un lato è avvenuta una cattiva applicazione dell’Articolo 19 per i lavoratori assunti, dall’altro nei contratti in essere con le compagnie è stato specificato che, in caso di Causa di Forza Maggiore, l’impresa ospitante non avrebbe dovuto corrispondere alcun contributo. È come se i Teatri Nazionali, le Fondazioni lirico-sinfoniche, i Tric si fossero chiusi espellendo tutto quello che non ritengono organico, garantendo invece alle proprie masse fisse, cioè ai propri dipendenti, ammortizzatori e integrazioni. Se il teatro ospitante interrompe il rapporto con la compagnia senza garantire alcun sostegno, come può la stessa compagnia che deve rispettare l’Articolo 19 – seppur con il comma errato – pagare i suoi lavoratori?
Rispetto alle Fondazioni è accaduta una cosa simile: tutti i lavoratori non contrattualizzati come mimi, danzatori, figuranti speciali, assunti con obbligo di Partita Iva o con forme di collaborazione autonoma, non possono avvalersi di alcuna tutela. Proprio questi teatri, che vivono di soldi pubblici, avrebbero dovuto essere i primi a dare il buon esempio. Sono sicuri che i lavoratori non insorgeranno mai e di questo si fanno scudo. Perché su questo il Ministero non prende una posizione netta?
Per quanto riguarda i lavori previsti da adesso ai mesi a venire, i cui contratti non erano ancora stati sottoscritti secondo la consuetudine vigente di firmare il contratto nel primo giorno di prove, quali azioni potrebbero essere intraprese per garantire ai lavoratori un compenso, riferendomi anche a coloro i quali hanno già svolto la parte autorale dello spettacolo?
Credo che andrebbe attivato un ragionamento sulla distribuzione dei 130 milioni destinati al settore: una parte di quei compensi dovrebbe essere finalizzata a una sorta di ristoro automatico per chi aveva un contratto che è stato annullato. Abbiamo chiesto di convertire l’indennità di 600 euro in un reddito di ultima istanza in modo da sostenere i lavoratori nel tempo. Tante, troppe persone sono state tagliate fuori da queste dinamiche, a partire dagli autori. Ciò è accaduto – e bisogna ribadirlo – perché quello dello spettacolo è un mondo che rispetta poco le regole.
L’ENPALS ha prodotto due circolari per richiedere il pagamento dei contributi ENPALS anche agli autori, che sono per lo più in gestione separata. I meccanismi di evasione sono enormi in questo settore e adesso li stiamo davvero pagando tutti. Forse è arrivato il momento di ripensare completamente il sistema. Noi vogliamo provare a proporre un diverso modello di lavoro ma ci scontriamo con la difficoltà di destinare gli ammortizzatori a causa del lavoro nero.
Tra i lavoratori dello spettacolo c’è molta disinformazione e poca coesione: tutti i lavoratori sono deboli presi singolarmente, anche gli operai di una fabbrica. Gli attori fanno una professione diversa dalle altre, che implica anche delle ricadute sulla persona, ma nel rapporto di lavoro deve valere la stessa regola per tutti. Spero che questa situazione permetta ai lavoratori di unirsi e di approfondire i temi che li riguardano, perché un lavoratore che non conosce i propri diritti non è in grado di esercitarli. Questo è un grande problema della categoria, tanti non sanno nemmeno che esiste un CCNL di riferimento. Questa crisi ha portato alla luce tutti i nodi del settore.
L’esclusione di molti attori dalla richiesta di indennizzo, per via delle date vincolanti che sanciscono o meno la possibilità di accedere al contributo in base all’avvio o alla conclusione del rapporto lavorativo, riguarda anche i lavoratori intermittenti particolarmente presenti nel Teatro Ragazzi. Vista la situazione, è da ritenere reale e incombente la minaccia di estinzione di un genere come il Teatro Ragazzi che rappresenta un’eccellenza del teatro italiano?
Il Teatro Ragazzi è quello che per primo ha subito il contraccolpo della crisi per via della chiusura delle scuole. Avevamo chiesto al Mibact di stabilire un intervento congiunto con il Miur. La battuta d’arresto del Teatro Ragazzi rischia di essere mortale. Il problema dell’intermittenza, più diffusa nel Teatro Ragazzi per la tipologia di lavoro richiesta, è che le norme che la regolano non garantiscono alcuna tutela. Anche le cooperative dello spettacolo utilizzano molto l’intermittenza, che per le imprese risulta molto costosa. Lo stesso Teatro Ragazzi ci aveva segnalato questa problematica e abbiamo provato a trovare insieme una soluzione. Sono necessarie regole diverse a seconda dei soggetti.
L’intermittenza a tempo indeterminato rende la situazione ancora più complessa: con un contratto di questo tipo, pur essendo intermittente, per l’INPS il lavoratore è a tempo indeterminato, viene quindi inserito nella classe C dell’ENPALS, deve accumulare 112 giornate lavorative per conseguire un anno contributivo e non ha diritto ad alcun ammortizzatore. Per questo abbiamo chiesto di non assumere a tempo indeterminato: paradossalmente un contratto a termine prevede maggior tutela. I vincoli delle date 23 febbraio (solo se si stava lavorando da prima o da quel giorno si può accedere a Fondo di Integrazione Salariale o Cassa in Deroga) e 17 marzo (se il rapporto di lavoro termina dopo questo giorno non si può chiedere l’indennità di 600€) escludono un gran numero di lavoratori, anche gli intermittenti a tempo determinato. Il blocco delle attività non è partito unitariamente in tutta Italia, interessando originariamente solo le quattro regioni in cui è stato dichiarato lo stato di crisi.
Successivamente al 23 febbraio, quindi, sono stati attivati nelle restanti regioni dei contratti di lavoro che rilegano i lavoratori in un limbo temporale che non dà diritto ad alcun ammortizzatore. Per quel che riguarda gli intermittenti c’è un’altra particolarità: le aziende con un numero di dipendenti superiore a 5 devono pagare il Fondo di Integrazione Salariale. L’INPS non ha mai disciplinato il calcolo dell’indennità agli intermittenti per cui, in presenza di una circolare che obbligava tutti coloro che pagavano il FIS a non chiedere l’ammortizzatore in deroga, anche le domande per il FIS sono state respinte. Il calcolo dell’indennità del lavoratore intermittente è basata su una circolare dell’INPS del 2006. La situazione degli intermittenti è molto aggrovigliata ma l’INPS, attraverso questa norma, sta escludendo scientemente migliaia di lavoratori.
In attesa del nuovo Decreto di aprile, su quali fronti sta lavorando il Sindacato? Questo lavoro si sta avvalendo della sinergia con gli altri Sindacati?
Le nostre principali richieste sono: la possibilità di risarcire i contratti accesi e l’emissione di un reddito minimo che duri nel tempo. In questo momento CISL e UIL non stanno ascoltando la mia proposta di collaborazione. Sto lavorando in solitudine, per cui mi sto muovendo autonomamente. Non c’è un protagonismo forte da parte delle due organizzazioni sindacali in questo momento. Forse perchè SLC-CGIL sta accelerando i tempi per le pressioni dei lavoratori. Il sindacato in questo momento deve stare dalla parte dei più deboli. Il vero problema sopraggiungerà il prossimo anno: per quest’anno i grandi teatri ce la faranno avendo risorse garantite ma la cultura dei comuni, che si sostiene con le tasse di soggiorno, vive una grande complessità per il blocco del turismo.
Una possibile ripartenza potrebbe verificarsi con l’intrattenimento nelle città, anche in luoghi non deputati. Quali sono in questo senso le ipotesi che stanno avanzando le realtà regionali e comunali?
Dodici assessori dei comuni delle città più grandi d’Italia hanno avuto un incontro con il Ministro Franceschini per avere risposte circa il futuro dei loro territori. Questi assessori sono consapevoli di poter essere gli autori della ripartenza e, in virtù di ciò, hanno chiesto dei fondi. Penso che una parte di quei 130 milioni debba essere destinata ai Comuni e alle Regioni che conoscono veramente le piccole realtà che non sono riconosciute dal FUS. La norma che regola il Terzo Settore permette al comune di accedere al lavoro gratuito per le attività culturali, per questo ho già redarguito gli assessori per scongiurare la gratuità.
È più che mai necessario che tutti capiscano che chi lavora nello spettacolo non lo fa per divertimento e che deve essere pagato adeguatamente. Il compito delle Regioni, anche in nome del Titolo V, è di guardare alla sua rete e garantirla. I lavoratori dello spettacolo hanno una funzione sociale: come si sostiene la scuola pubblica così vanno sostenute le attività culturali. Il Sindacato deve imparare a riconoscere l’atipicità dei lavoratori dello spettacolo: il lavoro non è sempre precario, può essere dignitoso anche se fatto in modo atipico. Mi auguro che avvenga un grande cambiamento, per tutti noi. Questa crisi è stata mortale e temo che lascerà molte macerie. Spero in un appoggio maggiore da parte del Ministero che ha un ruolo importante.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
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