Figlie d’Egitto ovvero Le Supplici di Sofia Bolognini, autrice e regista teatrale classe 1992, vincitore del premio Centro Nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanea 2016 con la seguente motivazione:
“Un testo compatto, organicamente strutturato, appoggiato su modelli drammaturgici focalizzati sul gender, che riesce, seppur attraverso una struttura formale e ritmica per così dire classica, a reinterpretare il mito senza perdere la forza originaria dei grandi tragici e a proporre temi contemporanei quali il conflitto tra Oriente e Occidente, il corpo della donna come luogo di guerra e sopraffazione e il confronto/scontro tra due tipi contrapposti di potere. Un’opera nella quale l’antico favolistico e l’allusiva contemporaneità mediatica si amalgamano quasi sempre con equilibrio. Un testo che ben si adatta ad essere rappresentato nel teatro greco di Segesta senza stravolgerne il forte impianto scenografico naturale, puntando sulla parola, sul lavoro degli attori e le relazioni archetipali tra i personaggi.”
Figlie d’Egitto ovvero Le Supplici vuole esserne una sintesi, un rimescolamento, una ricostruzione per frammenti, una reinterpretazione poetica. Rispetto alla tragedia classica, l’ordine degli eventi è stato invertito: le supplici sbarcano sulla spiaggia di Argo dopo aver ucciso i propri mariti, non prima. Esse dunque scappano dalla pena di morte, non dalle nozze. Il linguaggio è un tessuto di sperimentazioni e innesti. L’impianto generale procede per scansioni ritmiche solenni rispettando la sonorità classica. Alcune citazioni particolarmente efficaci dell’opera antica sono state inserite organicamente nel testo, opportunamente segnalate da asterisco. Non mancano innesti moderni, volutamente isolati e stridenti, pensati per disarcionare di colpo l’orecchio dello spettatore. Un’indagine sul conflitto tra Oriente e Occidente, sintentizzati nelle figure del Principe d’Egitto e del Sovrano di Argo. Figure archetipiche, protagoniste di uno scontro sleale e fratricida. Argo è industriale, democratica, senza déi. Egitto è brutale, integralista, tirannico. Con la stessa violenza combattono per il dominio economico sul mondo: i giagimenti di petrolio, che compaiono anacronicamente nella piece assieme a cacciabombardieri e smartphone, confondendo epoche storiche, rimescolando gli eventi. Uno studio sul conflitto di genere, sintetizzato in chiave filosofica. Il rifiuto delle nozze e l’uccisione dei propri mariti significano l’impossibilità del riconoscimento all’interno di una cultura maschilista e imperialista, fondata sul possesso e sull’oggettivazione del mondo (in questo caso, del corpo femminile). Il maltrattamento delle donne che nel testo subiscono le peggiori umiliazioni tanto in Egitto quanto in Grecia, è stigmatizzata in una denuncia filosofica che oltrepassa i confini di genere. Di contro al capitalismo dell’Io e alla lotta per la supremazia, si auspica il ritorno ad una visione più mite del mondo, basata sul rispetto reciproco, la coappartenenza e la cura, della madre verso il figlio, della terra verso gli uomini. Ovunque esiliate e respinte, le Supplici non sono più donne, ma ideali. Non portano frasche d’ulivo, ma una nuova visione del mondo. La Corifea diviene simbolo archetipico della Concordia tra gli uomini, fertile grembo che partorirà l’ultimo Dio. Come una sorta di Madonna pagana attraversa le terre cercando il luogo adatto per dare alla luce suo figlio. Senza riuscirvi.
Immaginiamo che due immarcescibili personaggi shakespeariani siano condotti, dalla mano di due creatrici contemporanee senza scrupoli, al desolato universo di Samuel Beckett. Cosa potrebbe succedere? Che strana metamorfosi subirebbero i loro nitidi profili, i loro brillanti discorsi, le loro tragedie, il loro destino? Nella loro nuova e indefinita dimora – uno spazio beckettiano – galleggia un’atmosfera comica e crepuscolare, che sfuma qualsiasi pretesa di nobiltà o di eroismo. Questo spazio impregna tutto di un umorismo che corrode le mura dei castelli e ammuffisce i più splendidi vestiti, trasformando le loro gesta in un cantico clownesco e assurdo.
Le due donne (i personaggi, non le autrici) hanno trasformato i loro pomposi soliloqui in una specie di dialogo “unisonico” e mancato; forse hanno accettato che le risposte non arriveranno mai? Hanno, chissà, portato al limite la massima assoluta dell’attuale società dell’immunizzazione, cancellando la presenza dell’Altro? Ma che domande difficili! E loro non sono interessate a rispondere, hanno altro da fare. Cosa? Cercano un assassino. Cospirano con il pubblico. Scappano da un temibile Padre e da antichi fantasmi. Insegnano a uccidere il nemico, a capire le strategie del loro enigmatico autore e fanno un bel balletto. Fanno ridere!
Lei Lear è uno spettacolo cacofonico, un volo ribelle e spiritoso su alcuni elementi della narrativa di Re Lear, dal punto di vista delle sorelle malvage, Goneril e Reagan, all’interno di una cornice beckettiana e clownesca. Un gioco scenico ibrido, contemporaneo – e qui, la loro tragedia, che sommata al tempo è sempre uguale a commedia, è proprio quella del trovarsi, oggi, in un luogo strano e, chissà, senza futuro.
Lei Lear è lo spettacolo vincitore del Premio PimOff per il teatro contemporaneo 2021.
Muchas Gracias Teatro, fondata da Chiara Fenizi e Julieta Marocco nel 2018, nasce da un lungo e eterogeneo percorso teatrale realizzato dalle artiste sul territorio europeo e sudamericano. Mick Barnfather (Inghilterra), Philippe Gaulier (Francia), Jeremy James e Gilbert Bosch (Spagna), Inês Marocco e Elcio Rossini (Brasile), Alfonso Santagata e André Casaca (Italia) sono alcuni dei riferimenti artistici che, dopo anni di collaborazione, hanno influito sul carattere eccentrico di questa compagnia internazionale. Tra la comicità classica e la sperimentazione contemporanea, Muchas Gracias crea e produce spettacoli che partono sempre da una ricerca sulle potenzialità creative, drammaturgiche e sovversive delle figure teatrali comiche, e sulla forza della comicità come mediatrice tra il performer e lo spettatore. Alle sue fondatrici, due donne simpatiche e un po’ esibizioniste, che si dedicano al teatro dall’inizio del secolo, piacciono le frasi ad effetto e le domande trascendentali, come: “la risata è un’efficace termometro dei sintomi sociali”; “il palco, il crocevia ideale per l’esplorazione dei paradossi contemporanei”; “la platea, il perfetto ricettacolo di scoperte inaspettate e necessarie” e per concludere: “ma, che cosa stiamo facendo?!”. Forte, no? Per arrivare a queste conclusioni e rispondere a queste difficili domande, oltre alla loro ricerca, continuano a collaborare con artisti di diverse provenienze, e a portare i loro spettacoli originali sulle infinite perplessità contemporanee in giro per i festival e i teatri italiani, spagnoli e sudamericani. E c’è chi ci crede! Tant’è vero che diversi teatri e istituzioni hanno deciso di collaborare e di sostenere il loro lavoro: Iberescena (Programa Iberamericano per le Arti Performative), FUNARTE (Fundazione Nazionale per le Arti – Brasile), Ministero da Cultura do Brasil, Segreteria da Cultura e do Desenvolvimento (Porto Alegre, Brasile), Teatro Umbral (Arequipa, Peru), Le Murate PAC (Firenze), ARCI Firenze, Centro Civico Drassanes (Barcellona), Ajuntament de Barcelona (Spagna), Teatro Kaddish (Barcellona), Teatro PimOFF (Italia). Le vere fondamenta del loro lavoro è l’incondizionato Credo nella bellezza dell’essere Umano.
Il Teatro C’art Comic Education con la direzione artistica di André Casaca, ha una tradizione quindicennale sul teatro fisico e la comicità non verbale. La sua concezione artistica e pedagogica, ha consentito in questi anni, la nascita e lo sviluppo di percorsi di ricerca e formazione artistica radicate nella decostruzione della gestualità ordinaria e prevedibile e nella affermazione di un’identità gestuale, lontana dalla rappresentazione. Infatti la compagnia trova nell’Identificazione il fulcro del suo lavoro comico corporeo. Le produzioni del Teatro C’art sono state replicate in festival e teatri d’Italia, Svizzera, Germania, Francia, Portogallo, Palestina, Israele, Turchia, Etiopia, Capo Verde e Brasile.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
Il 29 Marzo alle ore 18.30, al foyer del Teatro Valle di Roma, avverrà la presentazione di Teatro nel diluvio, il libro che raccoglie i testi teatrali di Simone Amendola.
Cinque testi, tutti precedentemente premiati. Quattro testi scritti appositamente per il teatro, di cui i più lontani nel tempo Eravamoe Porta Furbagià pubblicati singolarmente, e i più recenti, L’uomo nel diluvioe Nessuno può tenere Baby in un angolo, portati in scena con successo dallo stesso autore con Valerio Malorni. Chiude la raccolta un racconto, Piccoli pregi, che del teatro ha l’impeto del monologo. Si spazia dagli esterni agli interni della periferia, dalla condizione identitaria dell’essere migranti alla chimera Europa, dall’amore alla violenza sulle donne, con una domanda di fondo che attraversa tutti i lavori ‘come stiamo al mondo?.
Pubblicato nella collana Percorsi dalla casa editrice Editoria&Spettacolo – che dal 2000 ad oggi ha pubblicato una fetta importante del teatro italiano e internazionale, presente e passato – il volume è una raccolta di lavori scritti tra il ’98 ed il 2018.
Il libro è in distribuzione nei tradizionali canali online (amazon, ibs, etc.), nelle numerose librerie affiliate alla Casa Editrice e ordinabile in qualsiasi Feltrinelli.
Simone Amendola è cineasta e drammaturgo da sempre focalizzato nel racconto delle marginalità. Ha presentato i suoi lavori in alcuni tra i più importanti festival di settore, nel 2016 la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, e ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui Premio Ilaria Alpi (2010) per il documentario narrativo, Premio Solinas (2014) per la sceneggiatura, Premio In-Box (2014) per la nuova drammaturgia.
Scritto durante la formazione drammaturgica “Locus Solus” nel 2017 ad Albinea da febbraio a luglio 2017 seguito dalla regia, “Se un albero cade” è stato presentato per “Albinea in scena” all’interno del Festival del Jazz. La costruzione del testo e la realizzazione della regia – scrive l’autrice Sonia di Guida – ha attraversato tre fasi di studio, lavoro e soprattutto ricerca, quindi un procedimento a me consanguineo. La fase dell’ispirazione ossia di apprendimento, osservazione, esercizio, bozzetto, progettazione mi ha lasciato parecchio materiale per poter lavorare e che nei tempi di scrittura, è stato naturalmente falciato e delineato nella sua forma e sostanza più prossima. Tutto questo succedeva negli incontri presso la struttura, in cucina, in giardino, sulle scale, sul letto, in bagno, sul treno in un continuum fino a casa propria, poi di nuovo sul treno.
La fase della messiscena è stata la più interessante, ho cercato un’attrice e insieme abbiamo sublimato definitivamente il testo e con due musicisti che hanno suonato live con più strumenti. Tutto il lavoro si è compiuto anche grazie allo scambio continuo con altri compagni di viaggio che avevano provenienze diverse dalla mia e anche grazie al docente e all’assistente.
Questo testo mi ha sottoposto triliardi di domande e quadriliardi di dubbi, senza lasciarmi mai una sola risposta. La protagonista vive questo, involontaria di quello che sta sta per accaderle, si fa una semplice domanda, poi ne arriva un’altra, un’altra ancora, e ancora…e quel punto si mette in moto l’inconscio portandola direttamente di fronte a tutte le porte chiuse dei suoi dimenticati ricordi addentrandosi totalmente nella sua – ricerca del tempo perduto. Durante la messinscena mi accorgevo che la struttura letteraria assumeva man mano una forma sempre più frammentata rispetto a come l’avevo immaginata inizialmente, così oggi ho preferito non inserire nessuna nota di regia, per non ostacolare la fantasia del lettore.
Nasco a Bologna e cresco a Casalecchio di Reno. Da quando ho 16 anni scrivo parole più o meno conosciute una di fila all’altra per sfogarmi della bruta società e delle persone che ignorano in generale. Ascolto musica, dipingo, guardo film, vado a mostre, faccio foto, vado in bici, prendo foglie, sassi, fiori, conchiglie, scontrini, so che devo ricordare, leggo, studio poesia, teatro. Oggi ho smesso di fare alcune di queste cose forse perché le persone che ignorano le cose fondamentali e non necessarie le prendo e le de – scrivo in scene teatrali. Poi sono decisamente attratta da quella bruta società che un tempo mi ha fatto penare moltissimo, ammetto che anche oggi mi fa soffrire, però almeno provo a scovarne gli altarini, le bugie, i manini così la derido, la rivolto, la paleso, la trasfiguro ma non le mento mai anche perché quello che mi circonda sembra tutto vero e poi alla fine la realtà supera la fantasia.
“Il Cielo è cosa nostra – La vera storia di Osso, Mastrosso e Carcagnosso” racconta le losche attività post mortem dei tre fondatori delle mafie: Osso, Mastrosso e Carcagnosso e dei loro altrettanto mostruosi avversari. Mettere in scena il male comporta spesso dei rischi. Ciò che volevo evitare era rendere il male una cosa distante dallo spettatore che, rassicurato dall’ “altro da sé”, dal non essere chiamato in causa direttamente, avrebbe potuto limitarsi a giudicare. Sarebbe stata una scrittura più comoda.
Abbiamo quindi scelto un’altra strada: da bambino, nel buio, c’era un mostro che mi terrorizzava e mi costringeva immobile sotto le coperte. Dopo un po’ mi facevo coraggio e raggiungevo l’interruttore. La luce mi faceva scoprire che il mostro era una semplice ombra. Poi però per tornare a dormire dovevo spegnere la lampadina e insieme al buio tornava la paura… La luce che oggi ho voluto accendere sulla scena è quell’interruttore schiacciato dal bambino, una luce che oggi Illumina questi personaggi diabolici nel loro quotidiano, con i loro vizi, i loro capricci, la loro “normalità”, pur restando mostruosi. E, volontariamente o meno, comici. Come tutti gli uomini.
“Il Cielo è cosa nostra” è una rappresentazione del male sotto la forma della commedia nera e surreale che veicola un messaggio forte e definito di avversione alla mafia, ma sfrutta i binari veloci dell’ironia. Per far questo, il lavoro con gli attori ha richiesto da parte di tutti un particolare impegno. Sono molto esigente e chiedo loro la cosa più difficile: la libertà. Siamo partiti dalle improvvisazioni per arrivare al testo. A quel punto gli attori avevano già la carne dei personaggi.
Lo spettacolo “Il cielo è cosa nostra – La vera storia di Osso, Mastrosso e Carcagnosso” della compagnia The Ghepards è risultato vincitore de “L’Italia dei Visionari” (2017).
Regista e drammaturgo nato a Lecco nel 1981, Francesco Colombo ha studiato al Centro Internazionale La Cometa di Roma e ha frequentato seminari con: Nicolai Karpov, Claudio Conti, Natalia Zvereva, Peter Clough, Aurelio Grimaldi, Bernard Hiller, A. Woodhouse, A. Bergamo, P. Zuccari, P. Sepe, F. Albanese. A teatro ha lavorato con M. Belli, G. Innocenti, L. Nicolaj, V. Salvi, G. Cobelli. Ha avuto anche esperienze di Arte di Strada con due spettacoli da lui ideati e realizzati: “Il ritratto della fortuna” (estate 2006-2014) e “La ballerina” (estate 2015 ). È autore di poesie e testi teatrali: “Anche l’indice parla”, Edizione Nuova Cultura 2009 (Poesia) , “20 poesie disperate e una canzone d’amore”, Edizione Nuova Cultura 2009 (Poesia) , “Io ne so qualcosa”, 2010 (teatro) , “La fanciulla con la cesta di frutta” 2015 (teatro) e “Il cielo è cosa nostra”, 2016 (teatro). Nel 2016 fonda la compagnia “The Ghepards”.
Roma, 6 maggio 1938. È giorno della storica visita nella capitale dell’Italia Fascista del grande alleato tedesco, il fuhrer Adolf Hitler, venuto in visita da Mussolini e accolto da decine di migliaia di uomini, donne e bambini pronti a far sentire tutto il proprio calore al capo di stato tedesco.
In un caseggiato popolare, Luciana, moglie disfatta da sei maternità e da un marito che la trascura, pur essendo fascista convinta e grande ammiratrice del duce, è costretta a rimanere in casa per occuparsi delle faccende domestiche. Quando la sua pappagalletta esce dalla gabbia e si adagia sulla finestra della casa di fronte, Luciana è costretta a bussare alla porta del solitario proprietario che, diversamente da tutti gli altri nel palazzo, non è accorso a salutare l’avvento di Hitler.
Antonio è un affascinante annunciatore radiofonico verso cui Luciana prova da subito un’attrazione fortissima. I due si inseguiranno per tutto il tempo cercando di consolare le loro pene. Quando Luciana però scoprirà le vere tendenze politiche dell’uomo, non riuscirà a placare il suo desiderio verso una persona così “insolitamente” gentile, fino a scoprire che il vero segreto che egli cela.
Note dell’autore
Il testo messo in scena va analizzato strutturandolo su una linea verticale dove spazio e tempo sono ridotte all’osso e tutto è basato sulla profondità emotiva ed intima dei personaggi, due infelicità incomprese, due sconfitti. Su questa linea vanno poste una macrostoria (costituita al suo interno da tutte le informazioni riguardanti l’epoca, il contesto storico in cui è ambientata, lo sfondo politico relativo, e lo status sociale della donna di quegli anni), e una microstoria, situata al suo interno, costituita invece dall’incontro di due solitudini incomprese che soffrono la loro condizione esistenziale.
È una messa in scena che lavora sulla sottrazione: di colori (smunti, slavati), di ambienti (siamo all’interno di una casa), di titolo (si svolge in un arco temporale di appena poche ore) e di dialoghi (giocati sul non detto). Il nostro compito è quello di scandagliare l’animo umano e di contestualizzarlo nel sentire dell’epoca, fornendo una potente riflessione sul tempo e su come due punti di vista inizialmente inconciliabili, finiscano entrambi per avvicinarsi e coincidere, soli, come entrambi vittime del regime mussoliniano.
La domanda che ci poniamo, citando la messa in scena, è: “La vita, qualunque che sia, vale la pena di essere vissuta?”
L’estratto che segue va da subito dopo quello che viene narrativamente chiamato “incidente scatenante”, l’evento che prende all’amo la storia trascinandola verso una direzione, quella del nucleo dei conflitti dei nostri eroi, sino a poco prima del climax finale, evento che ci porta verso la conclusione.
In questo caso l’incidente è appunto la fuga della pappagalletta di Luciana e il conseguente incontro con il solitario vicino Antonio, momento che farà scattare una scintilla nelle due persone, non solo verso la conoscenza dell’altro ma soprattutto verso quella di se stessi, una scintilla di una vita ormai sopita da tempo.
L’estratto dunque mette a nudo quello che è l’intero secondo Atto della storia, quello più intimo, quello ricco di conflitti e ostacoli da superare, dove i momenti di difficoltà crescenti porteranno allo sviluppo dei personaggi e ad una nuova consapevolezza di essi, che sia positiva o negativa.
Amante, sperimentatore e praticante delle arti teatrali e cinematografiche sin da adolescente, attraverso la frequenza a diversi laboratori di formazione arriva ad esibirsi a soli 16 anni al XIV° Festival Internazionale del Teatro Classico dei Giovani, nella spettacolare cornice del Teatro Greco di Siracusa. Dal 2015, compie il passo decisivo verso il mondo della produzione audiovisiva attraverso il “Director’s Prep”, presso la “London Film School” di Londra e parallelamente al conseguimento della Laurea in Giurisprudenza, e il diploma come Filmmaker presso la scuola di Cinema e Fotografia Pigrecoemme di Napoli, fa esperienza come assistente di regia e operatore su diversi set di lungometraggi e cortometraggi nei quali è tutt’ora attivo anche come montatore. Lavora anche come freelance per la realizzazione di commercial e videoclip musicali, attività nella quale cresce ed è ad oggi attivissimo.
È tra i fondatori di Skratch Fab, una factory produttiva di contenuti per il web e resta sempre operativo con il teatro, con il quale giunge con diverse produzioni sui palcoscenici delle città di Napoli, Roma e Milano e in diverse rassegne nazionali, arrivando a vincere il Miglior spettacolo nella categoria Professionisti al PanTeatro Festival 2018 con un originale adattamento di “Venere in Pelliccia”.
Nel 2019 viene selezionato ufficialmente dalla Biennale College Teatro Venezia U30 per un progetto di spettacolo teatrale inedito e collabora come operatore sugli appunti di un prossimo documentario di Mario Martone. Nel 2020 Collabora come screenwriter con CiaoPeople (gruppo editoriale di Fanpage, The Jackal e Cookist) per la scrittura alcuni concept per campagne speciali di noti brand internazionali. È attualmente in distribuzione il suo cortometraggio “Non è solo un gioco” (2020), mockumentary con Rosaria De Cicco e Antonella Stefanucci, che sta ottenendo numerosi riconoscimenti nei maggiori festival nazionali, non ultima la selezione in concorso presso l’Accademia del Cinema Italiano Premi David di Donatello.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
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