da Redazione Theatron 2.0 | 18 Gen 2018 | Curiosità
1 > Ohad in principio:
La sua carriera di ballerino iniziò nell’esercito israeliano, fu reclutato come intrattenitore a causa di una distorsione a una caviglia, cantando e creando piccole coreografie durante la guerra del Kippur. Dopo essersi congedato dall’esercito all’età di 22 anni, su richiesta della madre, fu accettato come ballerino alla Batsheva Dance Company a Tel Aviv.

2 > Nascita della sua Batsheva:
Dal 1990 Naharin diventa direttore artistico della Batsheva Dance Company, lanciandola in una nuova fase artistica. I ballerini, scelti personalmente dal direttore, sono stati selezionati per la loro unicità: non viene richiesta tanto la tecnicità, quanto la propria sensibilità nel danzare. Durante il suo incarico con la compagnia, Naharin ha coreografato oltre 30 opere per Batsheva Dance Company e Batsheva – the Young Ensemble.
3 > Linguaggio Gaga:
Gaga nasce dalla convinzione di Naharin che il piacere fisico apportato dalla danza fa parte dell’essere vivo e la connessione tra lo sforzo e il piacere è parte del movimento. Lo stile e la tecnica gaga di Naharin si sono sviluppati durante la sua direzione della Batsheva. Il suo stile è distinto per la sua straordinaria flessibilità del busto e degli arti, da movimenti profondamente interdipendenti e da esplosioni, come cadute improvvise. Gaga, prima parola pronunciata da Ohad, non vuol essere tanto una codifica del movimento, ma uno stile per enfatizzare l’esperienza somatica del praticante. Far esprimere i propri instinti animali. Molti hanno notato che le lezioni di Gaga sono costituite da un insegnante che conduce ballerini attraverso una pratica improvvisata che si basa su una serie di immagini descritte dall’insegnante. Naharin spiega che questo tipo di tecnica spinge i ballerini ad oltrepassare il limite della familiarità. Le immagini descritte dall’insegnante servono ad indirizzare l’improvvisazione dei praticanti, utilizzando parti del corpo ignorate in altri metodi.
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4 > Senza specchi :
Nella sala prove non sono presenti specchi perché distraggono, costringono a guardare le immagini riflesse. Ciò consente ai ballerini di allontanarsi dall’autocritica e sentire il movimento dall’interno. Si è consapevoli delle persone presenti nella stanza e ci si rende conto che non si è al centro di tutto, diventando più coscienti della forma poiché non vi è alcuna possibilità di osservarsi, rendendo visibili le infinite probabilità di scoperta del movimento.
5 > Perché Batsheva Dance Company?

La baronessa Bethsabée de Rothschild assunse il nome di Batsheva dopo essere emigrata in Israele nel 1951, era una protettrice della danza e membro della famiglia dei banchieri Rothschild. Nel 1951 Rothschild viaggiò per la prima volta in Israele stabilendosi definitivamente nel 1962 e in Israele contribuì in modo significativo alla danza attraverso l’istituzione della Compagnia Batsheva che divenne uno dei più influenti modelli in Israele. Nel 1968 ha fondato la Bat-Dor Dance School sotto la direzione di Jeannette Ordman, e successivamente la Bat-Dor Company e costruì un centro per questa compagnia a Tel Aviv; ha ricevuto una serie di premi che hanno elogiato il lavoro della sua vita, incluso il Premio Israele nel 1989 per il suo straordinario contributo alla società e al paese. La baronessa Batsheva de Rothschild morì nel 1999.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
da Redazione Theatron 2.0 | 29 Dic 2017 | Curiosità
1 > Danzare in punta di piedi
L’uso delle scarpe da punta si diffonde tra le ballerine nel 19°secolo. Le donne sfidano le leggi dell’anatomia e come creature sovrannaturali danzano eteree in punta di piedi: un’immagine perfetta per gli ideali del Romanticismo che proprio allora influenzava le arti in Europa. Fu l’italo-svedese Maria Taglioni ad eseguire il primo balletto interamente sulle punte, con La Sylphide, nel 1832. Da allora le scarpe da punta si sono evolute parallelamente all’evoluzione dei passi di danza, secondo le scuole delle varie nazioni, portando sempre più virtuosismo nella danza classica e poi neoclassica.

2 > La danza è donna?
No, è assolutamente falso, come tutte le forme artistiche, in realtà non ha genere sessuale. All’inizio tutti i ballerini erano esclusivamente uomini! La prima ballerina professionista all’Opera di Parigi, M.lle de La Fontaine, salì sul palco solamente nel 1681, nel balletto Le Triomphe de l’amour.
3 > Chi ha inventato il tutù?
La danza classica trova nel 1800 la sua massima espressione con balletti che ne fanno la storia e che, da un punto di vista accademico, ne segnano il futuro. È a questo periodo evolutivo che si deve l’origine del costume femminile per eccellenza della danza classica: il tutù. Inventato da Eugène Lami, illustre pittore e litografo francese. Indossato, invece, per la prima volta, da Maria Taglioni il 12 marzo 1832 all’Opéra di Parigi per la rappresentazione de La Sylphide.
Il tutù, termine francese che significa “sederino”, può essere prodotto in una versione con piatto corto, professionale o semiprofessionale. Il piatto è un gonnellino corto, rigido che forma un disco vaporoso sopra le anche della ballerina. Resta piatto, rigido a giro vita, quasi parallelo alla linea del pavimento e lascia del tutto le gambe scoperte. Esso era abitualmente separato dal corpetto che veniva steccato e chiuso sul busto, e che andava a coprire la cucitura della gonna. Oggi, volendo rendere sempre più comodo il tutù, si è cucito insieme gonna e corpetto, in modo da essere indossato come un body.
Il piatto corto è generalmente composto da 6 veli di diametro 25 cm circa. Il semiprofessionale ha una ruota larga circa 35/38 cm e si compone di 8 veli. Mentre il professionale può essere anche 40 cm largo ed avere 11 o più veli. Al tulle si aggiunge uno strato finale detto copripiatto, decorato con le più svariate decorazioni, dalla passamaneria alle paillettes, dagli strass ai fiori, etc.
4 > Come fanno le ballerine a non soffrire di mal di testa, dopo una serie interminabile di piroette?
Il segreto è nel loro cervello: le danzatrici, dopo anni di allenamento, evolvono differenze nella modalità di trasmissione dei segnali relativi all’equilibrio che permettono loro di girare su se stesse senza avere capogiri. Dopo un duro allenamento, possono compiere diverse piroette su un piede solo senza farsi girare la testa: ci riescono grazie a una tecnica chiamata spotting, che consiste nel concentrarsi su un punto davanti a sé e far sì che la testa sia l’ultima a muoversi e la prima a ritornare su di esso.
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5 > Perché il 29 Aprile è la Giornata Internazionale della danza?
Nel 1982 l’International Dance Council dell’Unesco ha istituito la Giornata Mondiale della Danza che si celebra in tutti i paesi del mondo il 29 Aprile, giorno in cui nacque Jean-Georges Noverre, danzatore, coreografo e maitre de ballet di corte francese, vissuto dal 1727 al 1810.
Viene considerato l’inventore del balletto moderno. Era in contrasto con la danza del suo tempo, contestava l’organizzazione gerarchica del balletto, predicava una danza veritiera e alleggerita. Per lui il compositore di balletto doveva rappresentare la natura e la verità, offrire una narrazione logica fondata che si occupasse di tre importanti passaggi: l’esposizione, il punto culminante e l’epilogo, esattamente come avveniva nel teatro. I ballerini, secondo Noverre, necessitavano di una cultura generale molto approfondita come lo studio della storia, dell’anatomia, della geometria e di tutte le arti.
La Giornata Mondiale della Danza nasce, però, per ricordare a tutti che l’impulso di ballare è intrinseco nell’essere umano: fa parte della sua natura e incarna la natura stessa. L’energia che l’uomo ha dentro di se può materializzarsi anche attraverso il movimento del suo corpo e la bellezza dei gesti tecnici che sono il mezzo con cui i ballerini si esprimono.
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da Redazione Theatron 2.0 | 28 Apr 2017 | Curiosità
“Ho imparato a sondare la stupidaggine, ad anatomizzare la puerilità, a vivisezionare il grottesco e l’imbecillità del nostro prossimo, per arricchire il museo della cretineria. Il mio ideale era ormai la creazione dell’imbecille di statura ciclopica”
Ettore Petrolini (Roma, 13 gennaio 1884 – Roma, 29 giugno 1936) è stato un attore, drammaturgo, scrittore sceneggiatore e compositore italiano, specializzato nel genere comico. È considerato uno dei massimi esponenti di quelle forme di spettacolo a lungo considerate teatro minore, termine con il quale si identificavano il teatro di varietà, la rivista e l’avanspettacolo.
La sua importanza nel panorama del teatro italiano è ormai pienamente riconosciuta. Riassumendo in sé l’attore e l’autore, Petrolini ha inventato un repertorio e una maniera, che hanno profondamente influenzato il teatro comico italiano del Novecento.
Scopriamo 5 curiosità su Ettore Petrolini:
1 > Dopo aver fatto, a tredici anni, la dura esperienza del riformatorio, a quindici anni decise di lasciare la casa paterna per dedicarsi alla carriera teatrale. Il più antico riscontro documentario, a tutt’oggi verificabile, che attesti il momento dell’ esordio artistico di Petrolini risale all’anno 1900 e conduce nel rione di Trastevere, nel Teatro Pietro Cossa.
2 > Alcuni caratteristici numeri comici, nati come semplici macchiette, furono rielaborati da Petrolini, che diede loro spessore e consistenza di veri personaggi di commedia. È il caso di Gastone, nato da una macchietta, Il bell’Arturo, inserita nella rivista Venite a sentire del 1915 (scritta da Petrolini in collaborazione con G. Carini), che irrideva sia le star del declinante cinema muto sia i cantanti dell’epoca di Gino Franzi, e che fu ripreso più volte fino a diventare il tragicomico protagonista della commedia Gastone del 1924.
3 > Fu il primo a parlare dell’uso di droghe nel mondo dello spettacolo: la fine del testo di Gastone, satira contro l’attore viveur dell’epoca dei telefoni bianchi, recita “Rina / son per lei la cocaina / se la prende a colazione /pensando a Gastone!”. Fu l’unico a denunciare la magistratura e la polizia colluse con la dittatura, come nello sketch su Girolimoni. E tutto ciò facendo ridere e divertire il pubblico delle sue stesse sciagure, ma ricordandogli sempre – anche parlando apertamente – che era proprio il popolo, succube, timoroso, a rendersi primo complice della “tirannia”.
4 > Petrolini tenne un atteggiamento sbeffeggiante verso la dittatura fascista, che fu tollerato dal regime. In occasione della medaglia, che Mussolini gli volle conferire, ringraziò con un derisorio «E io me ne fregio!», parodia del motto originariamente dannunziano e poi fascista «Me ne frego!».
5 > Silvio D’Amico, che si recò a trovare l’attore fino ai suoi ultimi giorni. Dopo aver abusato sensitivamente di se stesso, e aver goduto in ogni modo possibile del suo successo, sul letto di malato Petrolini esclamò: “Che vergogna, morire a cinquant’anni!”. La salma, vestita con il frac del suo notissimo Gastone, fu tumulata nel Cimitero del Verano a Roma. Il 19 luglio 1943, nel corso del primo bombardamento di Roma, un ordigno colpì la sua tomba, una cappella rettangolare, spezzando il busto di marmo e danneggiando gravemente la sua bara.
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Gastone – Ettore Petrolini
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da Redazione Theatron 2.0 | 5 Apr 2017 | Curiosità, Uncategorized
William Shakespeare (Stratford-on-Avon 1564-1616) è senza dubbio uno dei drammaturghi più grandi, ammirati e rappresentati di tutti i tempi per l’universalità dei temi e il linguaggio straordinariamente ricco.
Figlio di un guantaio e piccolo proprietario terriero, Shakespeare sposa a 18 anni una donna maggiore di lui da cui ha due figli.
A 22 anni abbandona la famiglia per cercare fortuna a Londra dove diventa attore oltre che autore di testi e impresario teatrale. Raggiunto il successo, grazie all’appoggio del duca di Southampton, diviene nel 1599 proprietario di un teatro, il celebre Globe, dove fa rappresentare i suoi testi.
Della sua vita privata si sa ben poco: le uniche notizie riguardavano vicende legali di scarsa importanza oppure le date di pubblicazione o di rappresentazione delle sue opere. Dopo aver accumulato una discreta fortuna, ritorna a Stratford dove vive da gentiluomo di campagna fino alla morte.
Andiamo a scoprire 5 curiosità su di lui:
1 > Probabilmente Shakespeare non si scrive così. Secondo le fonti del tempo ci sono oltre 80 modi diversi di scrivere Shakespeare, da “Shappere” a “Shaxberd”. In nessuna delle sei firme che si conservano fino ad oggi, possiamo ritrovare il cognome scritto così come lo conosciamo oggi. Infatti si firmò “Shakespe”, “Shakspe”, “Shakspere”, “Shakespear” “Willm Shakp,” “Willm Shakspere” and “William Shakspeare”.
2 > Shakespeare ha inventato oltre 3000 parole, come “fashionable”, “eyeball” , “wild goose chase”, “swag” etc etc, entrate nel linguaggio comune, oltre a molte espressioni popolari come “non è tutto oro quello che luccica” oppure “ molto rumore per nulla”, alcune delle quali sono anche dei titoli di commedie.
3 > Molti dicono che il suo vero mestiere fosse l’attore. Secondo alcuni documenti sembra che recitò per un’opera di Ben Jonson e in seguito proseguì anche con le sue stesse piéce.
4 > C’è chi dice che in realtà Shakespeare avesse origini italiane e che il suo vero nome fosse Guglielmo Spaccalancia, figlio di una nobildonna siciliana e perseguitato a causa della religione calvinista. Questa tesi sostiene che egli abbia viaggiato da Palermo, a Messina, da Venezia a Verona, per arrivare infine a Stratford e a Londra. A sostegno di questo filone c’è l’amore di Shakespeare per l’Italia, l’ambientazione di molte sue opere e la conoscenza non solo del teatro italiano ma anche della sua lingua.
5 > Shakespeare è sepolto nella Holy Trinity Church di Stratford-upon-Avon. Per dissuadere tutti i profanatori di tombe, all’epoca molto comuni, egli stesso scrisse un epitaffio che suona come una maledizione: “Caro amico, per l’amor di Gesù astieniti, dallo smuovere la polvere qui contenuta. Benedetto colui che custodisce queste pietre, E maledetto colui che disturba le mie ossa “. Secondo un’altra leggenda inoltre nella tomba del grande drammaturgo sarebbero custodite delle opere inedite.
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Fondazione Milano – Altro Cibo – intervento di Giorgio Albertazzi: Shakespeare
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da Redazione Theatron 2.0 | 28 Mar 2017 | Curiosità
« … è stata tutta una vita di sacrifici e di gelo! Così si fa il teatro. Così ho fatto! Ma il cuore ha tremato sempre tutte le sere! E l’ho pagato, anche stasera mi batte il cuore e continuerà a battere anche quando si sarà fermato. »
Eduardo De Filippo (Napoli, 24 maggio 1900 – Roma, 31 ottobre 1984), è stato un drammaturgo, regista, attore, sceneggiatore e poeta italiano.
Considerato uno dei maggiori artisti italiani del Novecento, è stato autore di numerose opere teatrali da lui stesso messe in scena e interpretate e, in seguito, tradotte e rappresentate da altri anche all’estero. Autore prolifico, lavorò anche nel cinema con gli stessi ruoli ricoperti nell’attività teatrale. Per i suoi meriti artistici e i contributi alla cultura, fu nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Eduardo era impegnato sul fronte delle carceri minorili e in difesa della gioventù emarginata, voleva creare villaggi-comunità dove «questi giovani possano togliersi dalla strada, dalle grinfie della camorra, e imparare un mestiere», e sperava che da senatore della Repubblica avrebbe potuto fare di più contro la burocrazia e le difficoltà che aveva incontrato. Ecco perché accettò la nomina «per altissimi meriti nel campo artistico e letterario» a senatore a vita, nel 1981, per scelta del presidente Pertini. Prese posto tra i banchi della Sinistra indipendente. Così, a chi lo chiamava «senatore», Eduardo rispondeva, spiegando il suo sì: «Ho accettato questa nomina ora, dopo che altre volte me l’avevano proposta, perché purtroppo ci sta gente che non capisce, che ha bisogno dei titoli… Ma per favore, ci ho messo una vita a diventare Eduardo, e voglio essere chiamato così».
Vi proponiamo 5 curiosità su Eduardo che, forse, non tutti conoscono:
1 > Il drammaturgo prima di affermarsi come genio indiscusso del teatro napoletano decise, almeno fino agli anni Trenta, di proporsi al pubblico con una serie di pseudonimi. Tra i più conosciuti si ricordano Tricot, con il quale presentò l’opera “Sik Sik l’artefice magico”, Molise, C. Consul, R. Maffei, G. Renzi e H. Retti con il quale mise in scena la commedia “Prova generale. Tre modi di far ridere”.
2 > Nel 1948 il drammaturgo napoletano comprò il Teatro San Ferdinando, edificio settecentesco in rovina. Investì la maggior parte dei suoi guadagni per la ricostruzione di questa struttura. Fu inaugurato nel 1954 con l’opera “Palummella zompa e vola”. Al San Ferdinando De Filippo non mise in scena solo sue opere ma lo utilizzò anche per far esibire attori e registi emergenti.
3 > Eduardo non amava la televisione, al punto che volle che le sue opere fossero riprese in ambienti che riproponevano teatri fittizi. Celebre è il dialogo tra l’artista e un operatore della Rai. Alla frase “Pronto, qui è la televisione”, Eduardo rispose: “Un attimo che vi passo il frigorifero”.
4 > Così quando un attore della Compagnia di De Filippo chiese un aumento della paga: “Direttore…”. “Sì?”. “Sa direttore, io tengo famiglia…”. “Ah, tenete famiglia? Bene…”. “E… vorrei, insomma, una paga… sa, sono quattro stagioni che faccio con voi”. “Quattro stagioni? Non vi avevo visto”.
5 > Patroni Griffi: “Eduardo comandava, non metteva mai a parte la compagnia dei suoi progetti artistici ed era, a quanto mi risulta, anche tirato nelle paghe. E invece lo vogliono far passare per un buon padre” – “Dava il massimo e lo pretendeva, odiava i leccapiedi” – La volta che interruppe la recita: “Signori spettatori, l’attore qui – non ricordo mai i nomi – ha sbagliato la battuta; adesso la ridice”…
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1984: l’ultima volta che Eduardo De Filippo appare in pubblico
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da Redazione Theatron 2.0 | 20 Mar 2017 | Curiosità
Il Dramma Scozzese
Secondo una superstizione di origine anglosassone, diffusasi in tutto il mondo, si ritiene che porti sfortuna il dramma Macbeth di William Shakespeare. Per questa ragione, gli attori evitano di pronunciarne il nome quando si trovano dentro un teatro e lo sostituiscono con l’espressione “Il Dramma Scozzese” (in inglese: “The Scottish Play”). Allo stesso modo, si crede che bisognerebbe evitare il più possibile di recitare i brani del dramma che contengono gli incantesimi pronunciati dalle tre streghe.
Nel mondo teatrale anglosassone, quando un attore pronuncia il nome del dramma in teatro, deve uscire dal teatro, ruotare su se stesso tre volte, sputare da sopra la spalla sinistra e recitare una battuta di un altro dramma shakespeariano, quindi bussare alle porte del teatro e attendere di essere invitato a rientrare.
Secondo la leggenda più diffusa, per scrivere la canzone delle tre streghe presente nel dramma Shakespeare avrebbe copiato la formula di un sortilegio da delle vere streghe, le quali avrebbero perciò maledetto il dramma per vendicarsi. Secondo un’altra versione della storia, nella prima messa in scena del dramma, sarebbero state utilizzate delle vere streghe per impersonare le tre streghe e queste avrebbero recitato sul palco delle vere formule magiche, per questo motivo, da allora l’opera sarebbe maledetta. Una diversa leggenda vuole che nella prima messa in scena del dramma l’attore protagonista che interpretava Macbeth sia morto appena prima o durante la produzione, il che avrebbe causato la sfortuna dell’opera.
Colori proibiti
In quasi tutte le tradizioni teatrali vi sono dei colori che sono considerati sfortunati e che quindi non devono essere indossati o portati dagli attori sul palco o in teatro.
Nel mondo teatrale anglosassone è considerato sfortunato il colore blu (a meno che non sia accompagnato dal color argento). Questa superstizione è dovuta al fatto che un tempo le stoffe di questo colore erano molto costose. Accadeva, quindi, che alcune compagnie teatrali, pur non molto floride, si dotassero di costumi blu per compiacere il pubblico, ma poi andassero fallite a causa della spesa eccessiva. Se però la compagnia era talmente ricca da potersi addirittura permettere finiture d’argento, allora il rischio di fallimento si riteneva scongiurato.
Nel mondo teatrale francese è considerato sfortunato il colore verde. Si crede che questa superstizione possa derivare dalla leggenda secondo la quale un costume di questo colore sarebbe stato indossato da Molière nella sua ultima interpretazione del Malato immaginario, il 17 febbraio 1673, cui seguì la sua morte poche ore dopo. Secondo un’altra ipotesi, invece, la superstizione deriverebbe dal fatto che le luci in uso nei teatri nel XIX secolo non mettevano in risalto il colore verde, che così appariva sbiadito al pubblico.
Nel mondo teatrale italiano è considerato sfortunato il colore viola. Questa superstizione deriva dal fatto che il viola è il colore dei paramenti liturgici usati in Quaresima. In questo periodo dell’anno (40 giorni prima della Pasqua) nel Medioevo erano vietati tutti i tipi di rappresentazioni teatrali e di spettacoli pubblici. Ciò comportava che questo periodo si traduceva per gli attori in un periodo di mancati guadagni.
Non dite Buona Fortuna
In tutte le tradizioni teatrali è assolutamente vietata ogni formula augurale prima dell’inizio di uno spettacolo. In compenso vengono adottate diverse alternative: nei teatri inglesi il più comune “good luck” è sostituito dall’espressione idiomatica “Break a leg!” (letteralmente “Rompiti una gamba”, l’equivalente dell’italiano “In bocca al lupo”), un po’ come in Germania dove gli attori invocano la fortuna dicendosi “Hals und Beinbruch!” (“Rompiti una gamba e il collo”).
In Italia, come in tutti gli altri Paesi di lingua neolatina, l’augurio scaramantico per eccellenza è senza dubbio “Merda, merda, merda!”, gridato all’unisono dagli attori prima di entrare in scena, e spesso accompagnato anche da goliardiche pacche sul sedere. L’origine di questa tradizione si rintraccia nel passato, quando il pubblico si recava a teatro con carrozze trainate da cavalli. Se il via vai di carrozze era notevole, lo era anche la quantità di escrementi che gli animali lasciavano sulla strada e che il pubblico, involontariamente, introduceva all’interno della sala. Così più spettatori partecipavano, più escrementi c’erano a teatro.
Attenti al copione!!
Nel mondo teatrale italiano, la caduta accidentale del copione sul pavimento del palco o per terra durante le prove è considerata di cattivo auspicio, quasi come un presagio che rappresenta metaforicamente la “caduta” dell’intero spettacolo. Se questo capita, per rimediare al danno l’attore che ha fatto cadere il copione deve subito raccoglierlo e batterlo per tre volte consecutive per terra, nel punto esatto in cui è caduto.
Non si fischia a teatro
Per gli scaramantici attori teatrali i fischi richiamano altri fischi: quelli del pubblico ovviamente. In particolare nel mondo teatrale anglosassone si ritiene che questa superstizione risalga al periodo in cui in Inghilterra i tecnici di scena, per comunicare fra di loro il cambio di una scena, si lanciavano dei brevi fischi. Di conseguenza un attore che avesse fischiato avrebbe potuto trarre in errore i tecnici, compromettendo così l’intero spettacolo.
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