#AccaddeOggi: il 26 giugno 1879 nasce Agrippina Vaganova

#AccaddeOggi: il 26 giugno 1879 nasce Agrippina Vaganova

Agrippina Jakovlevna Vaganova nata a San Pietroburgo, è stata una ballerina e insegnante di danza sovietica.

Ha sviluppato un metodo di insegnamento, chiamato appunto il metodo Vaganova, derivato dall’analisi del metodo e della tecnica della vecchia Scuola Imperiale di Balletto nel periodo di massimo splendore sotto la guida del grande maître de ballet Marius Petipa.

Tutta la vita della Vaganova fu legata al Balletto Imperiale, in seguito Kirov Ballet, ora Mariinskij Ballet, di San Pietroburgo. Figlia di un usciere del Teatro Mariinskij, venne accettata nella scuola del Balletto Imperiale.

All’inizio, l’arte del balletto costò fatica poiché il movimento non le riusciva molto naturale ma lentamente, con impegno e forza di volontà, riuscì ad entrare nella compagnia del Balletto Imperiale.

Anche se arrivò al titolo di “Prima Ballerina” solo un anno prima del suo ritiro, la Vaganova diventò ugualmente famosa tra i ballettomani di San Pietroburgo come la regina delle variazioni per il virtuosismo illimitato e l’alto livello tecnico.

È interessante notare che il vecchio Maestro Petipa non era molto attratto dalla danzatrice, anzi i suoi commenti nei diari sulle performance di Agrippina erano spesso sottolineati da aggettivi quali “terribile” o “spaventosa”.

Nel 1917 si ritirò dalle scene e iniziò ad insegnare al Balletto Imperiale. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre il futuro del balletto in Russia sembrava difficile ma Vaganova lottò per la sopravvivenza di quest’arte che amava così tanto e per preservare l’eredità di Marius Petipa.

Il suo insegnamento cercava di combinare lo stile elegante e raffinato del Balletto Imperiale che aveva imparato da maestri quali Enrico Cecchetti con una danza più atletica e vigorosa tipica dello spirito dell’Unione Sovietica. Nel 1933 allestì e coreografò la celebre versione  de Il lago dei cigni con la Ulanova nella parte di Odette-Odile.

Il metodo Vaganova si distingue nell’approccio cosciente del danzatore, nel costante autocontrollo del proprio corpo e nel lavoro della cura della qualità dell’esercizio. Questa tecnica è in costante sviluppo; infatti negli ultimi 10 anni il metodo di Vaganova ha subito un rinnovamento notevole che ha portato ad accrescere il livello tecnico dei ballerini.

Nel 1957 le venne intitolata la scuola di balletto di San Pietroburgo Accademia Vaganova, attualmente considerata la più importante al mondo. Questa tecnica è apprezzata come ottimo metodo d’insegnamento e di allenamento.

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#ACCADDEOGGI: il 20 febbraio 1816 “Il barbiere di Siviglia” di Rossini fu soffocato da una tempesta di proteste

#ACCADDEOGGI: il 20 febbraio 1816 “Il barbiere di Siviglia” di Rossini fu soffocato da una tempesta di proteste

Il barbiere di Siviglia è un’opera buffa di Gioachino Rossini, in due atti, su libretto di Cesare Sterbini, tratto dalla commedia omonima francese di Pierre Beaumarchais del 1775.

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La prima dell’opera rossiniana andò in scena il 20 febbraio 1816 al Teatro Argentina di Roma con il titolo Almaviva, o sia l’inutile precauzione (in deferenza al Barbiere di Siviglia di Giovanni Paisiello del 1782) ma fu soffocata da una tempesta di proteste. Nel pubblico si trovavano infatti molti sostenitori del “vecchio” maestro Paisiello che volevano far fallire l’opera. Tuttavia il giorno successivo, alla seconda rappresentazione, la serata mutò in un altrettanto clamoroso trionfo. L’opera di Rossini oscurò ben presto quella di Paisiello, divenendo una delle più rappresentate e probabilmente la più famosa del compositore pesarese. Ad esempio, ancora nel 1905, il celebre tenore Angelo Masini decise di chiudere la propria carriera con Il barbiere di Siviglia. L’opera è ancor oggi tra quelle maggiormente eseguite nei teatri di tutto il mondo.

 

#AccaddeOggi: Il 10 dicembre 1997 Dario Fo ritira a Stoccolma il Premio Nobel per la letteratura

#AccaddeOggi: Il 10 dicembre 1997 Dario Fo ritira a Stoccolma il Premio Nobel per la letteratura

Il 10 dicembre 1997 il drammaturgo e attore Dario Fo (Sangiano 1926 – Milano 2016) ritira a Stoccolma dalle mani del re Gustavo di Svezia il Premio Nobel per la letteratura, assegnatogli con la seguente motivazione Il 9 ottobre del 1997: “Perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”.

Tra le centinaia di opere e scritti che Dario Fo ci lascia, “Mistero buffo” viene considerata come il suo capolavoro. Presentata nel 1969 come “giullarata popolare”Mistero buffo è un insieme di monologhi che riprendono e descrivono alcuni episodi ad argomento biblico, ispirati ad alcuni brani tratti dai vangeli apocrifi o dai racconti popolari sulla vita di Gesù. L’opra è suddivisa in 8 episodi, che sono: Resurrezione di LazzaroBonifacio VIII, La fame dello Zanni, Storia di San Benedetto da Norcia, Grammelot di Scapino, Grammelot dell’avvocato inglese, Maria alla Croce, Il miracolo delle nozze di Cana. Mistero buffo può liberamente definirsi come opera capostipite di un genere teatrale moderno, con quella narrazione e quello stile che venne in seguito ripreso da altri autori come Paolini, Baliani, Pesce e molti altri appartenenti al teatro contemporaneo.Una fusione di sacro e profano, una parodia, una giullarata che in Italia venne poco apprezzata ma che all’estero gli conferì il Premio Nobel per la Letteratura.

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“Alla premiazione”, ricorda Fo in un racconto, “seguì la rituale cena al Municipio, alle 19 in punto. I Nobel erano seduti nella grande tavolata centrale con 99 coperti. A me avevano assegnato un posto accanto alla principessa Cristina, sorella del re, appassionata di archeologia, con la quale mi fu facile trovare un feeling. Alla mia sinistra, la principessa Vittoria, che i media dicevano colpita da anoressia; in verità mi sembrava tutt’altro che inappetente… si era gettata con voracità sulle portate, tanto che le offrii la metà del mio risotto e lei lo accettò. Finita la cena, i Nobel erano invitati a brindare con il re e la regina, uno alla volta, mentre gli altri commensali si davano alle danze in un apposito grande salone. Franca ed io pensavamo che fosse un saluto e via. Con nostra sorpresa invece, tanto il re che la regina ci trattennero, vollero sapere del nostro lavoro e dell’Italia, accennando perfino alla situazione politica di quel tempo. Il dialogo durò più del previsto. Lasciandoci, ci ripromettemmo di vederci ancora. Quindi ci ritirammo in disparte attendendo, come vuole il rituale, che tutti i Nobel e le loro consorti ultimassero l’incontro, giacché allontanarsi non si poteva e oltretutto le uscite erano bloccate dal servizio di sicurezza.” La serata, racconta ancora Fo, si concluse con il secco richiamo all’ordine della moglie: “Come arriviamo a casa, ti ammollo un sonnifero che ti farà dormire per almeno un paio di giorni. Cammina, che la festa è finalmente terminata.”

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Il 27 maggio 1877 nasce Isadora Duncan

Il 27 maggio 1877 nasce Isadora Duncan

Angela Isadora Duncan nata a San Francisco il 27 maggio 1877 è considerata la fondatrice della “danza moderna”. La danza era la sua religione: una danza che fluisse liberamente da un movimento spontaneo, basato sul ritmo della natura, così come lo intendevano gli antichi Greci. L’immagine emblematica di questo movimento, che Isadora cercava di riprodurre nelle sue danze, era l’onda:

l’andamento su cui si muovono il suono e la luce, una linea ininterrotta che simboleggia la ciclicità e l’energia della natura, che continuamente si rigenera.

Le sue idee e i suoi spettacoli erano ispirati all’Antichità e al Rinascimento, in cui si esibiva scalza con i capelli sciolti e avvolta in veli fluttuanti, che ebbero ben presto grande successo in tutta Europa.

A Berlino, nel 1903, tenne una famosa conferenza sulla danza del futuro, ritenuta una sorta di manifesto della danza moderna. Dopo aver riempito i più importanti teatri di tutte le capitali d’Europa, partì per una tournée a San Pietroburgo, che ebbe grandi ripercussioni nel mondo del balletto russo; e infatti lo stesso Diaghilev, il mitico fondatore dei Ballets Russes, dichiarò che era stata Isadora a indicargli la via da intraprendere. 

Aveva una spiccata vocazione pedagogica ed era convinta che l’artificiosità del balletto classico fosse contraria allo sviluppo armonico delle fanciulle, sentiva l’insegnamento come una missione. Fondò varie scuole: due in Germania, una a Parigi, che fu costretta a chiudere quasi subito per lo scoppio della prima guerra mondiale. Proseguirono l’opera di diffusione delle sue teorie le sue prime allieve, che Isadora aveva adottato ufficialmente: Anna, Theresa, Irma, Lisa, Gretel ed Erika, le cosiddette “Isadorables”.

Isadora voleva «una danza che fosse, attraverso i movimenti del corpo, espressione divina dello Spirito umano».

 

#AccaddeOggi: il 20 marzo 1828 nasce Henrik Ibsen

#AccaddeOggi: il 20 marzo 1828 nasce Henrik Ibsen

Henrik Ibsen, nato a Skien, in Norvegia, il 20 marzo 1828 e morto ad Oslo il 23 maggio 1906, è stato un drammaturgo, poeta e regista teatrale norvegese. È considerato il padre della drammaturgia moderna, per aver portato nel teatro la dimensione più intima della borghesia ottocentesca, mettendone a nudo le contraddizioni e il profondo maschilismo.

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Il drammaturgo norvegese, mise in scena personaggi in preda alla contraddizione tra le loro capacità e le loro ambizioni. Gli uomini e le donne creati da Ibsen, pronti a sacrificare tutto per perseguire il proprio ideale e ad esprimere con impeto la propria personalità, restano sorprendentemente vivi a più di un secolo di distanza, poiché traducono con forza le grandi angosce del nostro tempo. Il teatro di Ibsen è stato definito di volta in volta naturalista, simbolista, anarchico… In verità la sua opera, basata su realtà vissute, difendono teorie spesso audaci, calate in personaggi di una verità intensa. La norma di quest’arte è il rigore. Ibsen era convinto che il mondo intero fosse alla ricerca di una fede, di una vocazione. Era convinto che qualsiasi uomo avesse una “passione vitale” che necessitava di tradurre in atti. Tale è la verità degli uomini e delle donne che mette in scena, i quali cercano di essere liberi fino in fondo, fino alla radice del proprio essere. Henrik Ibsen valorizza una tecnica drammaturgica che si rifà alla tragedia greca, dove il passato riaffiora progressivamente di fronte ai personaggi e al pubblico, e così trasforma il teatro borghese in una scena perturbante sulla quale vengono discussi i problemi sociali ed esistenziali all’insegna dell’assoluta necessità di emancipare l’individuo da un radicale “disagio della civiltà” che lo serra con le sue convenzioni.

Ciò che determina la tonalità principale dell’opera di Ibsen, e che sembra essere la chiave della sua concezione del tragico, è il dubbio vitale  che distrugge lentamente nel personaggio la vocazione, la felicità, la volontà, l’amore ideale, la realtà vissuta.

Nessuno può sottrarsi al proprio destino, ai propri atti inconsapevoli, alle tare delle generazioni precedenti.

Ogni nuova opera, per me, ha avuto lo scopo di liberarmi e purificarmi lo spirito.

Henrik Ibsen

 

#AccaddeOggi: il 17 marzo 1938 nasce Rudolf Nureyev

#AccaddeOggi: il 17 marzo 1938 nasce Rudolf Nureyev

Rudolf Chametovič Nuriev è stato un ballerino e coreografo russo naturalizzato austriaco, conosciuto da tutti  come Rudolf Nureyev, ritenuto da numerosi critici uno tra i più grandi danzatori del XX secolo insieme a Nižinskij e Baryšnikov.

Nato a Irkutsk in Russia il 17 marzo 1938 e morto a Parigi il 6 gennaio 1993 all’età di 54 anni, da tempo malato di Aids.

A 19 anni, Nureyev è già considerato uno dei più grandi ballerini di tutti i tempi. Artista di straordinaria personalità che influenzò in modo imprescindibile la danza, valorizzando l’importanza dei ruoli maschili fino ad allora legato a semplice porteur, sviluppandone con cura le parti coreografiche.
Fu precursore della ve
rsatilità della danza abbattendo il confine tra il balletto classico e quello moderno danzando entrambi gli stili.

Nel corso della sua vita, Nureyev ha interpretato decine di ruoli, sia classici che moderni, sempre con enormi potenzialità tecniche e di immedesimazione. Come i cantanti lirici che per essere tali a tutti gli effetti non devono limitarsi a saper cantare, così l’essere ballerino per Nureyev significava essere anche attore, capace di coinvolgere il pubblico e trascinarlo nel vortice delle storie raccontate in musica dai grandi compositori.

Inoltre, non bisogna dimenticare che crearono per lui tutti i massimi geni della coreografia, fra i quali vanno annoverati Ashton, Roland Petit, Mac Millian, Bejart e Taylor.

Rudolf Nureyev, non è stato soltanto il più grande ballerino del novecento, ma anche l’artefice di una profonda trasformazione della danza classica e al di fuori  della scena l’icona di un modo di vivere ribelle, libero e anticonformista.

Riportiamo un estratto della Lettera alla Danza che lo stesso Rudolf Nureyev scrisse quando la sua vita stava per volgere al termine, una “lettera al mondo”, un testamento spirituale:

“[…]Sono qui, ma io danzo con la mente, volo oltre le mie parole ed il mio dolore.

Io danzo il mio essere con la ricchezza che so di avere e che mi seguirà ovunque: quella di aver dato a me stesso la possibilità di esistere al di sopra della fatica e di aver imparato che se si prova stanchezza e fatica ballando, e se ci si siede per lo sforzo, se compatiamo i nostri piedi sanguinanti, se rincorriamo solo la meta e non comprendiamo il pieno ed unico piacere di muoverci, non comprendiamo la profonda essenza della vita, dove il significato è nel suo divenire e non nell’apparire. Ogni uomo dovrebbe danzare, per tutta la vita. Non essere ballerino, ma danzare.

Chi non conoscerà mai il piacere di entrare in una sala con delle sbarre di legno e degli specchi, chi smette perché non ottiene risultati, chi ha sempre bisogno di stimoli per amare o vivere, non è entrato nella profondità della vita, ed abbandonerà ogni qualvolta la vita non gli regalerà ciò che lui desidera. È la legge dell’amore: si ama perché si sente il bisogno di farlo, non per ottenere qualcosa od essere ricambiati, altrimenti si è destinati all’infelicità. Io sto morendo, e ringrazio Dio per avermi dato un corpo per danzare cosicché io non sprecassi neanche un attimo del meraviglioso dono della vita […]”

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